Stati Uniti

Le presidenziali negli Stati Uniti saranno anche un voto sul diritto all'aborto

di Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni da New York   7 febbraio 2024

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Dopo che la Corte Suprema ha rimesso ai singoli Stati il potere di vietare l’interruzione di gravidanza molti l’hanno già proibita. E la vittoria di Trump potrebbe peggiorare le cose. Per questo nelle prossime elezioni questo tema sarà centrale

Ci sarà il futuro delle donne sulle schede elettorali del cinque novembre. Il loro corpo, la loro salute, fisica e mentale, il loro credo. Ci sarà un’America a due anime che, sulla strada dei diritti, corrono in direzioni opposte. Queste presidenziali, infatti, saranno le prime dopo il ribaltamento nel 2022 della sentenza “Roe vs Wade” che dal 1973 garantiva l’interruzione di gravidanza a livello federale, rimettendone la competenza ai singoli Stati. Nel segreto dell’urna, quindi, non peseranno solo temi tradizionali come economia, sicurezza e immigrazione, ma anche questioni contingenti come la politica estera e le posizioni personali sull’aborto.

Per il democratico Joe Biden, in corsa per la rielezione, la difesa di questo diritto è un punto fondamentale della campagna, che marca il contrasto con i conservatori antiabortisti. «La vita e la salute delle donne sono a rischio», ha scritto in occasione del 51esimo anniversario della storica sentenza. Mentre i repubblicani erano alle prese con le primarie del New Hampshire – in cui Donald Trump ha battuto Nikki Haley – il presidente si trovava in Virginia per difendere la libertà di scelta. Con lui anche la vice Kamala Harris, impegnata in un tour nazionale per condividere le storie delle donne colpite dalle restrizioni.

Scottato da una popolarità ai minimi, Biden spera che la questione riesca a galvanizzare sia la base – insofferente non solo al fattore età, ma soprattutto al modo in cui l’amministrazione sta gestendo il conflitto tra Israele e Hamas – sia gli elettori indecisi che potrebbero scegliere di andare a votare proprio per i timori legati alle sorti dell’aborto.

«Dovrebbe fare di più, spiegare le conseguenze pratiche che ci sarebbero votando per lui o per il probabile candidato Donald Trump», dice a L’Espresso, Mary Ziegler. La giurista è considerata una delle più importanti storiche del dibattito sull’aborto negli Usa. «Fino a ora si è concentrato a dare la colpa all’avversario per il ribaltamento della sentenza, ha attaccato i repubblicani per le restrizioni passate nei singoli Stati; ha garantito che metterà il veto se mai il Congresso dovesse approvare una legge che vieti l’interruzione volontaria di gravidanza a livello federale. Tutto giusto, ma non basta».

A quasi due anni dalla decisione della Corte Suprema di cassare la “Roe vs Wade”, le ripercussioni sono enormi. Quattordici governatori hanno vietato quasi completamente l’Ivg (ad eccezione di malformazioni gravi del feto o pericolo di vita della madre, o – ma non tutti – in presenza di violenza e incesto), altri lo prevedono solo fino alla sesta settimana di gravidanza. L’America è oggi lacerata: a novembre democratici e repubblicani tenteranno di accompagnare la scelta del presidente a referendum specifici. Da una parte ci sono gli Stati-rifugio che non solo proteggono questo diritto ma si stanno anche muovendo per sigillarlo nelle Costituzioni locali, come ad esempio Colorado, Maryland e New York; dall’altra, quelli repubblicani che invece si battono per cancellarlo.

Altro tema fondamentale è quello della pillola abortiva. A fine marzo i nove saggi della Corte si riuniranno per discutere le limitazioni all’uso del mifepristone, accogliendo un ricorso dell’amministrazione Biden contro una sentenza d’appello volta a ridurne l’accesso, proibendo la prescrizione telematica e l’invio per posta (pratica che ha permesso a molte donne di bypassare le restrizioni).

«L’aborto ormai viene considerato un crimine negli Stati che lo vietano, per i trasgressori è previsto il carcere», puntualizza Ziegler. In Texas, Ohio, Idaho, Alabama, Arkansas, per citarne alcuni, regna il caos sulla vaghezza del concetto di “eccezione”. Anche quando l’Ivg è contemplata «spesso i medici preferiscono non praticarla, piuttosto che scegliere discrezionalmente se una persona stia per morire o meno; hanno paura di finire in prigione perché i divieti non sono chiari». La vita delle donne è in pericolo: nelle realtà in cui il bando è totale o quasi, i tassi di mortalità materna sono notevolmente aumentati.

Emblematica la storia di Kate Cox, costretta a lasciare il Texas perché la Corte Suprema locale le aveva negato la procedura, nonostante le gravi malformazioni del feto e la gravidanza a rischio. In Oklahoma, invece, Jaci Statton ha sporto denuncia perché i medici si erano rifiutati di prenderla in cura, suggerendole di aspettare nel parcheggio fino a quando le sue condizioni non fossero peggiorate.

Secondo uno studio della rivista Jama, negli Stati che hanno messo al bando l’aborto, sono quasi 65 mila le donne rimaste incinte a seguito di uno stupro. Tra queste, pochissime sono riuscite a ottenere un’interruzione legale. «Si è verificato un peggioramento dell’accesso già precario alle cure ostetriche e ginecologiche – spiega ancora l’esperta – ad esempio, in Mississippi, la maggior parte delle contee non ha un ginecologo». In questa parte di America “pro-life”, gli aborti non sono diminuiti, come speravano i legislatori. «La storia – dice Ziegler – ci insegna che criminalizzare l’aborto è più semplice che impedirlo. La domanda non è calata, perché non sono scomparsi fattori come povertà, razzismo, violenza domestica o semplicemente la libertà di scelta».

Nonostante viaggiare fuori dai confini statali per abortire possa essere proibitivo per molte, secondo i dati del Guttmacher Institute, sono oltre 92 mila le pazienti che lo hanno fatto nei primi sei mesi del 2023.

Per gli attivisti pro-choice un secondo mandato Trump potrebbe peggiorare la situazione, limitando ulteriormente l’accesso attraverso ordini esecutivi. E questo nonostante quasi la metà degli americani, tra cui un terzo dei repubblicani, sia favorevole a una legge che lo legalizzi a livello nazionale. Una tendenza dimostrata anche dal risultato dei sette referendum locali tenuti dal 2022: hanno sempre vinto i sostenitori di questo diritto, anche in Stati conservatori come Kansas e Kentucky.

L’ex presidente preferisce al momento non enfatizzare troppo il tema durante i suoi comizi, visto che alle urne esso favorisce i democratici; ma si vanta comunque di aver nominato i tre giudici della Corte decisivi per eliminare la sentenza “Roe vs Wade”. «Se vincesse, non potendo correre per il terzo mandato, potrebbe snobbare il volere popolare e stringere maggiormente le briglie per compiacere la base che non lo ha mai abbandonato», ipotizza Ziegler. Incluso il mondo evangelico più conservatore. E la situazione potrebbe peggiorare ancora. Ad esempio se la Corte stabilisse che il Comstock Act (una norma del 1873 contro la spedizione di materiale ritenuto osceno) potrebbe essere applicato per vietare le pillole abortive, usate nella maggioranza degli aborti. «All’improvviso potremmo avere un dipartimento di Giustizia trumpiano che persegue persone ovunque».

Sembra fantapolitica, ma meglio non abbassare la guardia, allertano gli attivisti. Lo scenario più plausibile è comunque un lungo stallo a livello federale. Come è improbabile una messa al bando nazionale sotto Trump, è difficile che con un Biden bis il Congresso riesca a restituire alle donne americane le protezioni garantite sotto Roe. «Ci vorrà almeno mezzo secolo prima che l’aborto torni a essere garantito a livello federale. Nella Corte Suprema i conservatori hanno una maggioranza di 6 a 3. Occorrerà tanto tempo prima che questi giudici vadano in pensione. Ecco perché vediamo così tante energie spese a livello statale, solo lì il cambiamento è possibile».