Nessun settore della politica europea è stato risparmiato dall'effetto Covid. Nemmeno le lobby. Ma quelle delle organizzazioni non profit, inferiori per numero e risorse rispetto a quelle aziendali, in questi mesi di pandemia sono riuscite molto meno delle rivali a rappresentare la voce degli interessi collettivi. Lo dice lo studio “Rappresentanza durante la crisi del Covid”, elaborato dalle Università di Amsterdam, Copenaghen e del Trinity College di Dublino dopo avere intervistato 1.443 gruppi di interesse di dieci Paesi diversi.
Circa il 26 per cento dell'attività lobbistica civica è stata abbandonata da marzo a causa delle restrizioni Covid.
La buona notizia però è che la voce delle lobby etiche è sempre più ascoltata nella capitale d'Europa. Se la Commissione Juncker organizzava solo il 17 per cento dei suoi incontri con le lobby delle ong quella Von der Leyen fino a oggi ha riservato il 27 per cento delle riunione e dei contatti lobbistici con le organizzazioni non profit, in linea con la percentuale rappresentata sul totale degli 11.968 iscritti (tra cui 154 ong italiane e 362 lobbisti etici italiani a tempo pieno). «Promuoviamo la partecipazione dal basso e il lobbying civico per arginare il potere e l’influenza negativa di quelle lobby che sono disposte a sacrificare il benessere della comunita? per il guadagno di pochi», dice
Federico Anghelé, direttore dell'ufficio italiano di The Good Lobby, una ong europea che promuove il lobbismo civico.
Tra i dossier più trattati, oltre al Green Deal, tema principe di questi mesi su cui tengono testa alle lobby inquinanti, ci sono anche
la cooperazione internazionale, la salute, lo stato dei mari e dell'ambiente e gli affari interni. In pochi si rendono conto ad esempio che dietro la proposta sul tavolo della Commissione europea di tassare il carburante delle società aeree europee, utilizzando gli introiti a favore della mobilità verde, c'è un quadriumvirato di giovani europei, tra cui l'italiano Sandro Esposito, che ha raccolto decine di migliaia di firme in petizioni. O che se esiste un regolamento europeo che impone ai produttori di garantire i pezzi di ricambi dei prodotti per almeno sette-dieci anni dalla produzione lo si deve alla collaborazione tra un gruppo di ong che ha organizzato una intensa campagna a favore di una produzione responsabile.
Anche in Italia le ong sono attive in politica. Tra gli esempi virtuosi ci sono realtà come Terres des hommes Italia, che nel 1998 ha contribuito alla legge sul Turismo Sessuale, introducendo il concetto di extra territorialità, e che oggi lavora su temi come il
cyberbullismo o la pedofilia online, o Amnesty International, che ha spinto per l'introduzione del reato di tortura nell'ordinamento italiano, unico stato europeo fino al 2017 a non avere recepito la Convenzione Onu sulla tortura per mancanza di un articolo apposito nel Codice penale.
Ma se a Bruxelles l'attività dei lobbisti nei confronti delle Istituzioni e anche delle rappresentanze nazionali è regolata e resa trasparente mediante un registro unico della trasparenza in cui devono registrarsi tutti coloro che vogliono avere a che fare con la Commissione europea, in Italia uno strumento simile stenta ad arrivare.
Nonostante i 50 progetti di legge elaborati in 40 anni, manca ancora un registro dei lobbisti e manca un'agenda pubblica degli incontri tra politici, funzionari pubblici e lobbisti - in cui entrambe le parti sono tenute a comunicare la data dell’incontro, i temi in discussione e quale documentazione e? stata depositata - oltre a sanzioni che puniscano i comportamenti illeciti dei lobbisti. Chissà che non debba essere questo il prossimo campo di battaglia di chi vuole influenzare la politica a volto scoperto, negli interessi della collettività.