Gli Stati Uniti attendono il risultato dei conteggi dei voti postali. Ma mentre Joe Biden spiega che servirà aspettare, il presidente uscente parte subito all'attacco denunciando brogli e intestandosi la vittoria
WASHINGTON - È un Donald Trump furioso quello che si rivolge alla nazione alle due del mattino passate. "Un gruppo triste di persone vuole rubare il voto agli americani", dice riferendosi a quegli stati che stanno ancora contando i voti senza quindi assegnare un vincitore. Ma anche al democratico
Joe Biden che ha tenuto il suo discorso da Wilmington, in Delaware, qualche ora prima di lui. Dalla Casa Bianca, Trump lancia accuse gravissime, nonostante il rischio di destabilizzare pesantemente il Paese. E invoca l’intervento della Corte Suprema. Accanto la moglie e il vice presidente Mike Pence, tutti senza mascherina
[[ge:rep-locali:espresso:285348282]] Forse proprio prevedendo un intervento incendiario del genere,
Joe Biden ha sciolto per primo il silenzio. Nonostante si mostri fiducioso non proclama vittoria come il suo avversario. “Non spetta a me né a Donald Trump stabilire chi abbia vinto queste elezioni”. Il candidato democratico avverte che occorrerà aspettare, ma ostenta ottimismo sull’esito del voto negli stati ancora in bilico ovvero Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. Nessuna sorpresa: “Sapevamo che ci sarebbe voluto tempo”. Biden però assicura che “ogni scheda sarà contata”. Anche quelle arrivate per posta.
Nessuno dei due intanto raggiunge il numero magico di 270 grandi elettori, necessario per dichiarare vittoria.
L’America resta quindi con il fiato sospeso. Su tutti un interrogativo: capire se il “miraggio rosso” di cui si parla da settimane si concretizzerà. Una cosa è certa, il confronto (e lo scontro) tra le due anime del paese è serrato, più di quanto ci si aspettasse. A pesare è ora
l’incognita del voto per posta e le battaglie legali che ritarderanno sensibilmente la conta finale dei voti.
Il destino della nazione si gioca negli stati chiave di Michigan, Wisconsin e soprattutto in Pennsylvania, un terreno scivolosissimo per entrambi i candidati. Non a caso sia Trump che Biden hanno dedicato a questo stato ingenti energie negli ultimi giorni di campagna. Si sono rivolti alle periferie, hanno parlato alle donne dei sobborghi, agli operai. A coloro, insomma, che nel 2016 regalarono lo stato a Trump. Senza però tralasciare le minoranze, i giovani, le chiese.
Scontato il bottino di Trump in Kentucky, Carolina del Sud e Oklahoma; Pare che si assestino a destra anche Georgia e Carolina del Nord. Previsto l’esito in Vermont, Delaware e Maryland, assicurati da Biden. Trump conferma il Texas e intasca i suoi 38 grandi elettori. Ma per la prima volta dal 1976 – quando cioè si aggiudicò la vittoria il democratico Jimmy Carter – scricchiola la roccaforte repubblicana nello stato vista la vittoria risicata di 52 a 46.
Si tingono di rosso anche l’Ohio e Florida, dove entrambi i partiti avevano investito tempo ed energie, per conquistare l’elettorato ispanico e quello degli over sessanta. Inutile la sortita di Barack Obama, arrivato nel “Sunshine State” per tentare di convincere gli indecisi. Nonostante tutto, sembra comunque che Biden abbia raccolto meglio di Hillary Clinton nel 2016. In compenso, però,
Biden espugna l'Arizona, uno Stato di tradizione repubblicana.
Una sfida tutt’altro che sonnacchiosa, insomma, quella tra i “vecchi” Donald, 74 anni, e Joe, 78 tra un mese.
Il duello dei record. Innanzitutto per le mostruose iniezioni di denaro nelle rispettive campagne: attorno ai 3 miliardi di dollari; ma anche per la straordinaria affluenza e partecipazione popolare. Sono stati 102 i milioni di americani che hanno espresso la loro preferenza con voto anticipato o per posta prima della chiusura ufficiale dei seggi. A giocare un ruolo fondamentale, il timore di contagio da Covid19. Gli americani hanno in massa optato per il voto per posta. Nel complesso, gli esperti si aspettano di registrare una cifra complessiva di 160 milioni di americani, ovvero circa il 67% degli aventi diritto. Non accadeva da oltre un secolo.
Due campagne elettorali completamente diverse. Quella di Trump, concentrata a “mantenere l’America grande”; quella di Biden in “lotta per l'anima della nazione”, dilaniata da divisioni razziali, economiche, sociali. Una nazione flagellata innanzitutto dalla piaga del coronavirus che ha lasciato sul campo oltre 232mila persone, contagiandone quasi 10 milioni. Una catastrofe che ha colpito in maniera spropositata le minoranze e gli indigenti. Senza parlare del conseguente disastro economico che ha polverizzato i posti di lavoro di milioni di persone, distruggendo gran parte dei successi ottenuti dalle politiche economiche dall’amministrazione Trump. Almeno fino alla pandemia, difatti, la corsa di Trump alla rielezione sembrava pressoché inarrestabile. Merito anche e soprattutto dei risultati ottenuti in campo economico, con livelli di disoccupazione al minimo storico del 3,5%.
Una cosa è certa,
questo voto è stato un vero e proprio referendum sull’operato di Donald Trump ed in particolare sulla sua gestione della pandemia. In un botta e risposta continuo sui temi più cari a queste elezioni come economia, pandemia, sanità, questioni razziali, i due candidati hanno raccontato realtà completamente diverse. Biden – sostenuto dall’ex presidente Barack Obama - spiegava ai supporter che “Donald Trump sarà il primo presidente a lasciare la Casa Bianca con una percentuale di occupazione più bassa di quella trovata all’inizio del mandato”; Trump replicava stizzito “fake news!” davanti a supporter sempre in delirio. Senza bisogno di snocciolare dati ufficiali, ovviamente: “L’anno scorso per l’economia del Paese è stato un anno fantastico, quello che verrà sarà ancora meglio”.
E ancora, il repubblicano vantava di aver salvato “due milioni di persone”, arrivando a sostenere in Michigan, a quattro giorni dal voto, nelle ore in cui gli Stati Uniti registravano un nuovo picco di contagiati, che la situazione fosse meno grave di quello che sembrasse perché “i dottori prendono più soldi se qualcuno muore di Covid”, alludendo al fatto che gonfiassero le cifre per un proprio tornaconto. Un discorso perverso, secondo Biden perché Trump “non fa nulla se non per soldi”. E chiude la questione a Filadelfia con uno slogan efficace: “Per sconfiggere il virus, dobbiamo prima sconfiggere Donald Trump. Lui è il virus”.
Agli opposti anche le scelte dei candidati per l’organizzazione dei comizi: poco annunciati, drive in con poche decine di persone, quelle di Biden, in rispetto delle norme anti-covid; plateali quelli di Trump, con centinaia di persone a seguirlo, per lo più senza mascherina, gesto ormai diventato firma politica. Se nel 2016 fu messo in croce per aver detto durante un dibattito con la candidata Hillary Clinton di non esser sicuro di accettare il risultato elettorale,
quest’anno l’allusione a brogli da parte delle amministrazioni locali a guida democratica di stati chiave come la Pennsylvania è stato il ritornello vincente di ogni bagno di folla. Che soprattutto negli ultimi giorni sono stati tanti.
Finisce coì la lunga giornata elettorale, iniziata presto per Joe Biden. Alle 7 del mattino insieme alla moglie Jill e alle due nipotine, Finnegan e Natalie, era andato a messa nella chiesa di St. Joseph a Wilmington, la città in cui vive nello stato del Delaware. La famiglia Biden è difatti cattolica e praticante. Aveva poi visitato la tomba dell’adorato figlio Beau, scomparso per un tumore al cervello nel 2015. Nello stesso cimitero riposano la prima moglie e la figlioletta di un anno, morte in un incidente stradale negli anni ’70. Biden era poi andato nella cittadina di Scranton. Sul muro dell’abitazione in cui è nato, nel 1942, aveva lasciato la dedica “Da questa casa, alla Casa Bianca con la grazia di Dio”. La data, quella del 3 novembre 2020.
La giornata era continuata a
Filadelfia, in Pennsylvania, lo stato chiave per l’assegnazione della presidenza. “Philly is the key, Philly is the key”, Filadelfia è la chiave, avea detto il candidato democratico, la chiave verso la Casa Bianca. In serata era tornato nella sua Wilmington e qui, dopo una visita al Chase Center, e una chiacchiera con i giornalisti, a casa, ad attendere i risultati del voto. Biden è apparso sereno, nel giorno più importante della sua carriera politica. Ha atteso il risultato a casa, circondato dalla sua famiglia. Insieme a lui la candidata a vicepresidente Kamala Harris, di ritorno da un comizio a Detroit, in Michigan, altro stato fondamentale. Toni pacati i suoi, nessun passo più lungo della gamba, parole pacate e misurate, consapevole che le incognite sono troppe, tante quanti gli stati incerti.
Trump invece si era barricato al terzo piano della Casa Bianca, tv accese. Tante le telefonate. Con lui la famiglia e i più stretti collaboratori. Dopo aver fatto 14 comizi in tre giorni, nel giorno del voto il presidente Trump si era spostato da Washington DC solo per andare nella vicina Arlington, in Virginia, dove si trova il quartier generale repubblicano. Con l’avvicinarsi delle chiusure delle urne, il tono sicuro delle prime ore della mattina che gli facevano pronosticare “una vittoria con più margine di quella del 2016”, aveva iniziato a vacillare, prendendo in considerazione per la prima volta anche una possibilità di sconfitta. Credo di vincere, aveva detto al suo staff, poco prima della chiusura dei seggi nei primi stati, Indiana e Kentucky, “Vincere è facile, perdere non lo è mai”. Ha aspettato i risultati insieme alla famiglia e membri dello staff. Intanto il party della notte elettorale, inizialmente previsto al Trump International Hotel, era stato spostato alla Casa Bianca. Gli inviti ristretti da 400 a 250. Ma a quanto sembra, occorrerà cambiare ancora i programmi.