A quasi tre anni dalla morte della giornalista Daphne Caruana Galizia, le riforme promesse dal governo ancora non si vedono. E il premier Abela è già in difficoltà, tra nuovi scandali e le imbarazzanti rivelazioni sul mancato soccorso dei barconi provenienti dalla Libia

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I migranti respinti in Libia e quelli morti in mare. I rapporti ambigui con la Cina. Gli intrecci tra criminalità, politica e giustizia. Il nuovo che avanza a Malta appare sempre più simile a quel passato di malaffare e corruzione che il nuovo governo dell’isola, in carica dall’inizio dell’anno, afferma di voler cancellare. Per capire se qualcosa sta davvero cambiando nello Stato più piccolo dell’Unione Europea, un Paese in posizione strategica di fonte alle coste africane, da sempre crocevia nei traffici di armi, denaro e uomini, conviene partire da una notizia di una ventina di giorni fa, passata inosservata in Italia. Charles Mercieca, un giovane avvocato in forze all’ufficio del procuratore generale di Malta, ha rassegnato le dimissioni per passare al pool di difesa di Yorgen Fenech, l’uomo d’affari sotto processo come mandante dell’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia, uccisa da un’auto bomba il 16 ottobre del 2017.

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14/10/2019
Mercieca nega di essersi mai occupato dell’inchiesta sull’assassinio quando lavorava per la pubblica accusa, ma il suo sorprendente cambio di casacca ha fatto comunque rumore nell’isola. Il ministro della Giustizia, Edward Zammit Lewis ha commissionato un’indagine interna sul caso, dopo che anche la famiglia Caruana Galizia ha denunciato la violazione del codice di condotta degli avvocati. In un Paese dove da sempre il potere giudiziario è alle dipendenze della politica non è certo la prima volta che un magistrato passa dall’altra parte della barricata e trova un impiego in uno studio legale. Sono i tempi e i modi del passaggio a creare imbarazzo nel governo guidato dal laburista Robert Abela, 42 anni, presentato all’opinione pubblica come il volto pulito della politica maltese.

Abela, figlio di un ex presidente della Repubblica, si è fatto carico l’impegnativa missione di far dimenticare il suo predecessore e compagno di partito Joseph Muscat, travolto a gennaio dallo scandalo di corruzione e soldi offshore dentro il suo governo, uno scandalo a suo tempo denunciato da Caruana Galizia. Grazie alle inchieste della giornalista assassinata si scoprì che Fenech, ora a processo per l’omicidio, era il titolare di una società di Dubai da cui erano partiti due milioni di dollari destinati ad altre due sigle offshore di Panama. I beneficiari finali del pagamento erano l’allora ministro Konrad Mizzi e Keith Schembri, capo di gabinetto di Muscat.
Il premier maltese Robert Abela

A dicembre dell’anno scorso, una risoluzione del Parlamento europeo aveva espresso seri dubbi sulla credibilità delle indagini sulla morte di Caruana Galizia. E adesso, a sei mesi di distanza, dopo il cambio della guardia al vertice della politica locale, il nuovo governo non può permettersi nuovi passi falsi in quello che appare il banco di prova più importante per riconquistare credibilità internazionale. Una rimonta che appare quantomeno complicata, se si considera, per fare un esempio, che il già citato Mizzi, figura centrale nel caso Caruana Galizia, si è finora sottratto alle indagini perché da metà marzo vive Londra. Il ritorno in patria sarebbe impossibile per non meglio precisati “motivi di salute”. La giustificazione dell’ex ministro è stata accolta a La Valletta con una qualche ironia visto che a differenza della Gran Bretagna, ancora in piena tempesta Covid, Malta ha ormai superato l’epidemia di coronavirus con soli sei morti e 600 casi su una popolazione di 500 mila abitanti.
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Senza troppi di giri di parole, i parlamentari del Partito Nazionalista, all’opposizione, hanno accusato Abela di aver concesso un salvacondotto a Mizzi, legatissimo a Muscat. Accuse respinte dal premier, che però proprio in questi giorni è costretto a difendersi anche in un altro caso dai delicati risvolti internazionali. A Malta il giudice Joe Mifsud sta indagando sul respingimento illegale in Libia di un barcone di migranti e il capo del governo potrebbe essere chiamato in tribunale a giustificare il mancato soccorso da parte delle Forze armate. Lo scorso aprile, subito dopo Pasqua, le autorità di La Valletta si sono infatti servite di un’imbarcazione privata per raccogliere una cinquantina di disperati in fuga e riportarli a Tripoli tra le braccia dei loro aguzzini. Cinque di loro non ce l’hanno fatta: sono morti nel viaggio di ritorno verso la Libia, mentre altri sette sono annegati prima dell’intervento dei soccorritori. In un secondo caso, come documentato dalle inchieste del quotidiano Avvenire, una nave militare maltese l’11 aprile ha intercettato un gommone carico di migranti, almeno un centinaio, e invece di portarli al sicuro li ha riforniti di carburante e di un motore nuovo indirizzandoli verso l’Italia, dove sono poi sbarcati nel porto siciliano di Pozzallo. L’intervento della Marina di La Valletta, così come è stato documentato negli articoli pubblicati da Avvenire, rappresenta una violazione palese degli accordi e delle convenzioni internazionali e rischia seriamente di guastare le relazioni con Roma e con l’Unione europea.

La posizione di Abela si è fatta ancora più imbarazzante da quando è emerso che le operazioni di respingimento segnate dalla morte di 12 migranti sono state affidate a Neville Gafà, che ha confermato sotto giuramento di aver eseguito le disposizioni del capo del governo. Gafà, accreditato di ottimi rapporti con le autorità di Tripoli, è un nome noto alle cronache maltesi per la sua amicizia con Schembri, già capo di gabinetto dell’ex premier Muscat coinvolto insieme a Mizzi nello scandalo dei pagamenti offshore che ha portato alla caduta del precedente governo. In altre parole, un uomo dal passato ingombrante tira in ballo il capo dell’esecutivo di La Valletta in un’operazione palesemente illegale. Dall’Unione Europea per il momento è arrivata solo una vaga esortazione ai Paesi membri perché «continuino a lavorare gli uni con gli altri». Il credito di Abela verso Bruxelles non è però illimitato e le ultime capriole del governo non fanno che aumentare la diffidenza verso il presunto nuovo corso della politica maltese.

La posizione geografica della piccola isola ne fa la piattaforma ideale per ogni sorta di traffico tra Africa ed Europa. Commercio di uomini, i migranti abbandonati in mare dagli scafisti, ma anche di armi destinate a rifornire le milizie che si combattono in Libia. A fine aprile il Times of Malta, il principale quotidiano del Paese, ha rivelato che i servizi di intelligence locali stanno indagando su società maltesi e straniere sospettate di lavorare per conto di Khalifa Haftar, il generale che guida le forze ostili al governo di Tripoli. Non è una sorpresa, allora, se sul piccolo Stato si concentrano le attenzioni delle potenze che puntano a rafforzare la loro posizione nel Mediterraneo ai danni dei tradizionali alleati europei, dalla Gran Bretagna (Malta fa parte del Commonwealth) all’Italia.

Come hanno dimostrato le inchieste del consorzio giornalistico Eic (European investigative collaborations) di cui L’Espresso fa parte, passano da La Valletta gli affari della cerchia di parenti e favoriti di Recep Erdogan, il presidente della Turchia. E poi c’è la Cina, che negli ultimi anni si è fatta largo a suon di investimenti. Merito del governo di Muscat, che ha dato via libera a Pechino anche in settori strategici come l’energia e le telecomunicazioni. E così nel 2014 la cinese Shanghai Electric ha comprato per 100 milioni di euro il 33 per cento di Enemalta, l’ex monopolista pubblico dell’elettricità, a cui vanno aggiunti altri 150 milioni per una centrale. È sbarcata a Malta anche Huawei, la multinazionale delle tlc messa al bando negli Usa dall’amministrazione Trump che la considera una sorta di centrale dello spionaggio al servizio del regime cinese.

Il governo di La Valletta, invece, non solo si è affidato al partner di Pechino per la sperimentazione della tecnologia 5G, ma ha siglato con Huawei anche un contratto milionario per installare un sistema di videosorveglianza con riconoscimento facciale nelle principali località dell’isola. Vengono dalla Cina anche svariate decine (non esistono statistiche aggiornate in merito) di uomini d’affari che negli anni scorsi hanno ottenuto il passaporto maltese, quindi con libero transito negli Stati dell’Unione europea, grazie a uno specifico programma avviato dal governo Muscat per attirare capitali sull’isola. Un programma criticato da Bruxelles perché non prevede i controlli giudicati indispensabili per sbarrare la strada a criminali e riciclatori di denaro.

Al momento il governo Abela non sembra intenzionato a correggere il tiro sulla questione della “cittadinanza facile”. E non ci sono novità in vista neppure per la costruzione di una nuova grande (20 mila metri quadrati) ambasciata di Pechino nella località di Pembroke, a pochi chilometri dalla capitale, nonostante le proteste dei residenti contro un cantiere che spazzerebbe via una delle poche aree verdi della zona. Nulla cambia, per il momento, nonostante le ombre di un passato imbarazzante. Gli accordi con Huawei e Shanghai Electric sono stati infatti siglati grazie al decisivo intervento di Sai Ling, una mediatrice di nazionalità cinese. Non proprio un personaggio qualunque, visto che è la moglie di Mizzi, l’ex fedelissimo di Muscat con società personale a Panama. Mizzi all’epoca era ministro dell’Energia, quindi direttamente coinvolto in quegli affari. Fu Daphne Caruana Galizia puntare il dito per prima contro Ling, pagata 13 mila dollari al mese come console generale a Pechino. Un altro scoop caduto nel vuoto.

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