Dominic Cummings è l'ombra del premier. Ha guidato la campagna per la Brexit. E secondo molti oggi è lui a governare il Regno Unito. Continuando la battaglia anti-Ue ma mettendo nel mirino anche Parlamento e media

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Rasputin. Machiavelli. Richelieu. Così viene descritto Dominic Cummings, 48 anni, già regista della campagna che ha portato alla vittoria del Leave nel referendum sulla Brexit di quattro anni fa, oggi potentissimo consigliere speciale di Boris Johnson. Secondo molti è lui, un consulente non eletto, a governare il Regno Unito a fianco del primo ministro. Nonostante il suo ostentato disprezzo per la politica di professione, Cummings ne è un formidabile protagonista: l’uomo a cui si deve l’intero, sorprendente corso della politica britannica degli ultimi tempi.

C’è appunto lui, ben più del populista Nigel Farage e dell’opportunista Johnson, dietro la spregiudicatissima campagna per il Leave e il suo inaspettato trionfo nel 2016. C’è lui dietro la scelta estrema, nel 2019, di provocare una inedita crisi costituzionale sospendendo il Parlamento britannico, polarizzato dalla Brexit in fazioni opposte e paralizzanti, e andare allo scontro con la Corte Suprema. E c’è sempre lui, oggi, a spingere per la linea dura nei negoziati con l’Unione europea, inamovibile su una scelta cruciale per la sua visione del futuro del Regno Unito: avere mano libera sugli aiuti di Stato e su un progetto di centralizzazione del potere che scavalca gli assetti attuali.

Lo conferma il Financial Times: «Il vero punto critico è la questione degli aiuti di Stato, in particolare l’insistenza, da parte di Johnson e del suo potente consigliere speciale Dominic Cummings, sul fatto che Londra debba avere mano libera nel dare supporto pubblico a società private per risollevare l’economia dopo la crisi del Covid, per trasformare le regioni del Paese lasciate indietro e mettere il turbo al settore tecnologico». A rischio di un “no deal”, una Brexit senza accordo.
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I costi di questa scommessa sono potenzialmente così alti da gettare nell’incredulità anche gli osservatori meno impressionabili, compresi i negoziatori europei. Le ripercussioni economiche di un no deal, su un Paese già tecnicamente in recessione, sono incalcolabili. Le alternative velleitarie. «Non c’è all’orizzonte alcun trattato commerciale equivalente all’accesso al mercato europeo. Nemmeno quello eventuale con gli Stati Uniti. L’ostacolo è, semplicemente, geografico», afferma David Henig, direttore dell’Uk Trade Policy Project dell’European Centre for International Political Economy, centro di ricerca indipendente sulle questioni importanti che riguardano l’Europa.

Poi c’è il rischio per la tenuta costituzionale e territoriale, con la Scozia a grande maggioranza anti-Brexit e sempre più tentata dalle sirene indipendentiste. Infine, l’incalcolabile danno di reputazione globale, il vulnus culturale e politico rappresentato dalla violazione intenzionale di un trattato internazionale nella culla della “rule of law”. Uno shock che ha provocato la rivolta anche dei più ferventi Brexiteer dentro il partito conservatore.

E allora perché? «L’influenza di Cummings sul Primo ministro è enorme. E a Cummings non importa niente delle ripercussioni di un no deal, purché abbia il potere per realizzare la sua idea di Gran Bretagna», spiega Henig.

Una visione in tre tempi. Il primo, raggiunto, ottenere la Brexit, vista come protezione dalla crisi delle democrazie europee. «Sono convinto che un ritorno al protezionismo e all’estremismo anni Trenta sarebbe disastroso», scriveva Cummings tre anni fa: «Il progetto europeo sta provocando la crescita dell’estremismo. Il modo più rapido per arrivarci è continuare a non avere controllo democratico sull’immigrazione e sulle politiche umanitarie a favore di terroristi e criminali. La soluzione migliore è ridurre temporaneamente l’immigrazione non qualificata. Per questo è necessario uscire dall’Unione europea».

Il secondo, a buon punto, è abbattere le strutture di mediazione esistenti: Parlamento, “civil service”, vale a dire l’apparato amministrativo dello Stato, e la Bbc, la tv pubblica britannica. Il Parlamento, nella visione di Cummings, va controllato con una maggioranza blindata e obbediente. Il “civil service”, invece, deve essere scardinato con una rivoluzione culturale che rimetta in discussione il cursus honorum classico. Paradossalmente, Cummings si è laureato in Storia a Oxford e poi, da autodidatta, si è dedicato a scienza, tecnologia, innovazione.

Quello che serve, sostiene il consulente, è una nuova classe di matematici, scienziati, esperti. Perché, scrive sul blog personale, una sorta di manuale di filosofia politica: «C’è una discrepanza fra il progresso tecnologico e la fragilità della nostra civiltà, la qualità della classe dirigente e la capacità delle istituzioni di gestire tecnologia e fragilità. È una miscela esplosiva di ignoranza e potere. Se continuiamo con la politica tradizionale, questa miscela ci scoppierà in faccia».

Nell’ultimo anno sono già sette i mandarini a capo di dipartimenti strategici saltati nello scontro con il consulente di Johnson. Ma ce n’è anche per i media: la Bbc, ad esempio, semplicemente «va schiacciata» con il boicottaggio delle trasmissioni da parte degli esponenti del governo, taglio dei fondi pubblici, depenalizzazione dell’evasione del canone televisivo.

A dimostrazione di questa strategia, all’inizio di quest’anno Cummings ha pubblicato sul proprio blog una dettagliata inserzione di lavoro, dopo il trionfo alle politiche di dicembre. Indirizzo Downing Street: «Si cercano data scientists, project manager, policy expert, matti e disadattati assortiti con competenze non convenzionali…».

È sua anche la Startup Britain, spirito e metodi da Silicon Valley per portare la rivoluzione nel cuore antico del potere britannico: «Brexit richiede: a) molti cambiamenti profondi nelle procedure e nella struttura dei processi decisionali; b) alcune persone al governo che siano preparate a correre dei rischi per rivoluzionare le cose; c) un nuovo governo con una maggioranza significativa e senza la necessità di preoccuparsi di essere impopolare a breve termine mentre tenta soluzione rapide a problemi di lunga data».

Scopo finale: fare del Regno Unito la capitale mondiale di scienza e tecnologia. E creare una Google britannica, costruita a tavolino scommettendo con investimenti a pioggia in decine di startup. Ambizione considerata velleitaria dallo stesso settore tecnologico britannico, che peraltro, conferma il Times, Cummings non ha consultato. Nel frattempo, riformare la politica e la pubblica amministrazione. Sogna uno Stato accentratore, focalizzato sull’innovazione e con il portafoglio aperto in due direzioni. La prima si è già vista all’opera durante la pandemia: appalti pubblici milionari affidati senza contratto, con procedura d’emergenza, a società riconducibili a suoi amici o collaboratori.

La seconda guarda agli Usa, non certo all’Europa. A marzo il governo britannico approva uno stanziamento iniziale di 800 milioni di sterline per il progetto, figlio prediletto di Cummings, di una nuova agenzia dedicata alla ricerca scientifica «ad alto rischio e ad alto rendimento». L’equivalente britannico della Advanced Research Project Agency (Arpa), l’Agenzia pubblica statunitense per l’Innovazione.

Ma poi Cummings, nel portare avanti il suo progetto, commette un peccato di hubris. In pieno lockdown infrange le restrizioni guidando per 400 chilometri, da Londra a Durham, per portare moglie e figlio dai nonni. Non solo: durante la permanenza viola le regole almeno un’altra volta con una gita a Barnard Castle, sempre con moglie e figlio di tre anni, giustificata con la necessità di «verificare di vederci abbastanza bene» per guidare fino a Londra. Voci di corridoio raccontano di uno scontro violentissimo fra Johnson e Cummings all’indomani della notizia, ma comunque sia in pubblico il Primo ministro difende il consigliere e non lo abbandona. Perché? «Cummings gli serve a vincere le elezioni. Al contrario di lui, ha una visione per il Paese», continua Henig.

Non c’è dubbio che il Regno Unito, alle prese con il doppio shock economico e politico di Covid e Brexit e la minaccia sempre più realistica di una frattura dell’unità nazionale, abbia urgente bisogno di un piano di rilancio economico e di una forte visione politica per l’immediato futuro. E che Johnson abbia l’ambizione personale di entrare nel Pantheon dei grandi della Storia. Per ora possiede solo una aleatoria, pasticciata retorica sovranista che non regge alla prova dell’analisi razionale. Quello che nessuno ha ancora capito, e il mito che Cummings ha abilmente creato contribuisce a infittire la nebbia, è se Dom stia trascinando il suo Paese e l’Europa in un gioco di cui non ha calcolato le reali conseguenze.