Tutti i venerdì esplode la protesta contro il governo di Sebastian Piñera, repressa dalle forze dell’ordine con violenze brutali. Così sono nate le Brigate della salute per soccorrere i cittadini feriti. «C’è talmente tanta rabbia dentro che abbiamo perso la paura»

Jaime ha 54 anni, è cileno, lavora come architetto ed è uno scudiero. Per essere esatti è il capo degli scudieri della Brigata Movimiento Salud en Resistencia. Dal 19 ottobre 2019 Jaime stacca dal lavoro, si toglie camicia e pantaloni, imbraccia uno scudo di lamiera e si dirige in Plaza de la Dignidad a Santiago a proteggere i manifestanti. Da oltre un anno il Cile è sconvolto da disordini quotidiani contro il governo di Sebastian Piñera. La protesta, iniziata con gli studenti che saltavano i tornelli della metro per un aumento del costo del biglietto, aveva portato in piazza nel novembre 2019 un’enorme quantità di persone: oltre un milione e mezzo. Nonostante la pandemia i disordini non sono mai cessati e ogni venerdì decine – a volte centinaia – di migliaia di persone scendono in piazza a protestare per le enormi disuguaglianze sociali che affliggono il Paese. Jaime spiega: “La mia generazione ha lottato contro la dittatura di Pinochet, sono stato un militante e mi sento in debito nei confronti del mio Paese, voglio fare tutto quello che posso per renderlo un posto migliore”.

 

Dopo pochi giorni dall’inizio dei disordini, nell’ottobre 2019, Piñera ha dichiarato: “Siamo in guerra contro un nemico potente e implacabile” riferendosi ai manifestanti. Le forze dell’ordine hanno subito iniziato a reprimere le proteste in maniera brutale: assassini, pestaggi e stupri. Per aiutare i feriti i cittadini cileni hanno iniziato ad organizzarsi autonomamente. Al centro di Santiago si sono creati tre punti informali per prestare le cure di primo ausilio, uno all’interno della Federazione degli studenti dell’Università del Cile, un altro in un teatro e il terzo presso l’edificio Londres 38, un ex centro di tortura dell’epoca di Pinochet. In breve tempo si sono autorganizzate varie “Brigate della salute”, gruppi di medici, infermieri e cittadini comuni che hanno iniziato a turnarsi per aiutare i manifestanti feriti. Oggi sono una quindicina e una delle prime a nascere è stata il Movimiento Salud en Resistencia. Le Brigate della Salute sono illegali, non si possono scattare foto dei volti dei medici e divulgare la loro identità.

È venerdì 22 gennaio, dallo scorso ottobre i disordini sono ripresi con più forza e le manifestazioni più grandi si organizzano sempre il venerdì. Alle 17 i volontari del Movimiento Salud en Resistencia si riuniscono nella loro sede, una casa privata che un cittadino ha prestato alla Brigata. Oggi i volontari sono una ventina fra medici e scudieri, hanno diverse età, ci sono moltissimi ragazzi fra i 25 e i 35 anni ma anche professionisti di 60 anni. Ci sono alcune giovani che arrivano indossando sandali con lacci di seta, vestiti estivi corti a stampe floreali. A Santiago del Cile è estate, le ragazze hanno i lunghi capelli scuri ancora bagnati dalla doccia appena fatta e si sparge il profumo di shampoo in contrasto al forte odore di disinfettante che pervade tutta la sede. Ci sono due lettini ospedalieri, sopra si stanno organizzando i kit per ogni medico: guanti, bende già scartate e grandi spruzzini contenenti liquidi con cui sciacquare la pelle dei manifestanti colpiti dai getti d’acqua dei carri idranti, in cui sono spesso sciolte sostanze chimiche che provocano gravissime ustioni alla pelle. Alle pareti un cartello con la scritta “No nos soltemos, noi non lasciamo perdere” e sotto le direttive del primo intervento in caso di shock e la “triade della morte”, termine medico con cui si indicano le condizioni maggiormente letali che si manifestano nei pazienti traumatizzati con i relativi trattamenti necessari. Ovunque sono sparsi scudi di lamiera e caschi con croci azzurre.

 

“Quando sono iniziate le proteste la sensazione che ho sentito è stata magica: si poteva ritornare a credere – racconta Cecilia, 64 anni, psicologa del Msr – Poi sono iniziati gli abusi delle forze di polizia. La violazione dei diritti umani in questo Paese è istituzionalizzata e succede da sempre. Però questa volta la violenza è diventata visibile a tutti e ha colpito cittadini comuni di diversi livelli ed estrazione sociale. Si tratta di persone a cui un giorno di manifestazione ha cambiato la vita per sempre, sia per chi è stato accecato, detenuto, violentato o picchiato”. Cecilia ha la carnagione olivastra, i capelli neri e un portamento elegante. Si commuove, le trema la voce e congiunge le mani come se non potesse credere che dopo così tanti anni quel ricordo le possa provocare ancora un dolore così forte: “Quando avevo 15 anni sono stata esiliata a causa della dittatura di Pinochet. Oggi aiuto i manifestanti perché so cosa vuol dire essere maltrattati dal proprio Paese. Credo che la criminalizzazione delle proteste e gli abusi siano una conseguenza della dittatura e del fatto che i responsabili non abbiano mai pagato. Le forze dell’ordine oggi godono di un forte senso di impunità”.


Sono le 17.30 e i volontari del Msr iniziano a vestirsi. Scarponi, protezioni di plastica lungo le gambe, giubbotto antiproiettile, tuta impermeabile, guanti: non può rimanere scoperto nemmeno un centimetro di pelle. Sul viso mascherina anti-covid, casco con le croci azzurre disegnate sopra e maschera antigas che copre tutto il viso, per evitare i fumi dei lacrimogeni e soprattutto le pallottole con cui dal 19 ottobre 2019 le forze dell’ordine hanno accecato oltre 460 manifestanti. Le diverse Brigate si sono organizzate e da una radio arrivano gli ordini: il gruppo Msr è destinato a Plaza de la Dignidad oggi. La voce alla radio gracchia: “Per ora la piazza è calma, i manifestanti sono migliaia ma fino ad ora non ci sono poliziotti a reprimere”. Uno dei medici commenta: “La calma prima della tempesta. Sappiamo già cosa ci aspetta”. Ci si divide in due gruppi. Ogni medico ha il suo scudiero, sono uomini e donne di ogni età che dal 19 ottobre 2019 si mettono davanti ai manifestanti per proteggerli dagli idranti e dalle pallottole della polizia. Gli scudi sono grandi e di lamiera e quando arriva un ferito gli scudieri lo proteggono mentre i medici gli prestano soccorso. I volontari del Msr escono dal cancello, la sede si trova in uno dei quartieri più alla moda di Santiago. Mentre si sentono le sirene delle ambulanze e si alzano i primi fumi dei lacrimogeni a Plaza de la Dignidad, al bar ci sono decine di persone. La musica dei locali invade la via, il sole è tenue e le persone bevono la propria birra osservando il gruppo di volontari che sembrano astronauti pronti allo sbarco lunare. Santiago, città dove le disuguaglianze sociali sono sempre state enormi, oggi è più divisa che mai: da una parte ci sono le persone che il venerdì sera vanno al bar e al parco, dall’altro ci sono cittadini comuni che una volta alla settimana imbracciano uno scudo schivando pallottole e lacrimogeni.

 

“Il popolo cileno è sempre vissuto nella resistenza: alla fame, al neoliberalismo, alla mancanza di eduzione e di salute – testimonia Tamara, dottoressa e portavoce del Msr – Noi come medici ci consideriamo parte del popolo che lotta in questa rivolta. Siamo fra i 100 e i 200 volontari, dipende dal periodo. Ci sono stati medici feriti da proiettili, arrestati e ustionati. Io ho provato sulla mia pelle le ingiustizie sociali di questo Paese, vengo da una famiglia umile”. Tamara ha 34 anni, due figli e alterna l’impegno preso con Msr con il suo impiego: “Sento che non ho altra scelta, dopo il lavoro non posso andare a casa a guardare la tv”. È stata sin dalle prime proteste in strada e ricorda: “Un giorno abbiamo soccorso un ragazzo, aveva 15 anni, era stato colpito da un proiettile di gomma che si era conficcato fra l’occhio e la narice e lo abbiamo tolto sul posto con anestesia locale. Ha iniziato a piangere, gli abbiamo chiesto se provava dolore e lui ha risposto: «No, non mi fa male. Provo solo tanta rabbia». Un’altra volta è arrivato un manifestante di 35 anni, una bomba lacrimogena gli si era conficcata nel braccio e aveva iniziato a sparare gas, quando è riuscito a toglierla il suo bicipite era distrutto, sembrava carne macinata. Era calmo, ma l’unica domanda che ci faceva era se sarebbe potuto tornare a lavorare”.

 

In Plaza de la Dignidad ci sono decine di migliaia di persone che chiedono le dimissioni di Piñera, libertà per gli oltre 2500 manifestanti incarcerati e la fine della repressione delle proteste. Si inizia a marciare per la Alameda, il viale principale di Santiago, la protesta è pacifica fino a quando non arriva un dispiegamento delle forze dell’ordine. Decine di camion blindati e carri idranti circondano i manifestanti. Moltissime persone, soprattutto giovanissimi, iniziano a martellare a terra per raccogliere le pietre e le lanciano contro i carri. Si dà fuoco alle prime molotov artigianali, i lacrimogeni sono così tanti che non si vede nulla e non si riesce a respirare. La Alameda è invasa dai blindati, i carri idranti si scagliano contro i manifestanti, che sono costretti a rifugiarsi dietro le edicole e i pali della luce. Gli scudieri sono l’unica protezione a loro disposizione, si barricano davanti ai cittadini e tengono in alto gli scudi mentre i manifestanti si abbassano e li sostengono con le mani. Arrivano i primi feriti, donne e uomini col corpo in fiamme a causa delle sostanze chimiche che sparano i carri idranti. Sono isterici, i medici cercano di calmarli parlando attraverso la maschera antigas. I manifestanti si attaccano con tutte le loro forze alle braccia che li sorreggono urlando: “Aiutatemi, la mia pelle va a fuoco”. I medici si recano dove ci sono manifestanti in difficoltà; ci si deve spostare di corsa quando i carri idranti sono distanti. A coordinare tutto c’è Jaime, il capo degli scudieri, che impartisce ordini urlando attraverso la maschera antigas. Ogni medico corre al braccio del proprio scudiero. Il pavimento è bagnato dall’acqua del carro idrante, a terra mancano le pietre lanciate dai manifestanti e correre con indosso l’attrezzatura è sfiancante. Una delle giovani dottoresse inciampa e si ferisce alla caviglia. La portano di peso in un parco, la medicano dietro ad un cespuglio. Davanti a lei gli scudieri la proteggono. Un’altra dottoressa dice: “Rimettiamoci in cammino, non possiamo andarcene. È questione di responsabilità”.

 

“I manifestanti hanno così tanta rabbia dentro, dopo oltre un anno di abusi, che hanno perso la paura – racconta Nina, psichiatra del Msr - i ragazzini si lanciano di peso contro i blindati della polizia, non hanno più timore di morire”. Nina ha 63 anni, ha organizzato la sua vita familiare e lavorativa per essere sempre disponibile quando si tengono le proteste: “All’inizio c’era l’euforia di manifestare e al contempo il terrore di dover fronteggiare di nuovo la repressione. Io da giovane ero una militante e durante la dittatura di Pinochet ho iniziato a lavorare come psichiatra con i prigionieri politici. Se hai una coscienza politica oggi devi essere a manifestare e ad aiutare come puoi. Ma tutto ciò ha un costo, all’inizio noi medici in prima linea non ci siamo preoccupati di come stavamo reagendo a tutti gli eventi traumatici che stavamo vivendo, ma poi ci siamo resi conto che ha delle ripercussioni forti perché è come se vivessimo sulla nostra pelle il trauma subito dalla persona che soccorriamo”.

 

Il sole è calato e si cammina fino a Plaza de la Dignidad: è guerra. Blindati che vanno a fuoco, i medici e gli scudieri si mettono intorno al carretto con cui trasportano i feriti più gravi. Sono una ventina, alzano le mani in segno di resa e urlano di essere medici, i poliziotti avanzano con il blindato e li schiacciano contro il carretto. Dopo pochi minuti arriva un ferito grave, sangue su tutto il viso e sul corpo, viene caricato e portato via da medici e scudieri. I manifestanti sono spinti sul ponte dai carri idranti, gli scudieri si mettono ai quattro angoli del ponte per proteggerli. Il carro si trova a pochi metri di distanza e il getto dell’acqua spinge tutti contro la bassa ringhiera. Bisogna sorreggersi l’un l’atro per non cadere di sotto. I medici e gli scudieri riescono a lasciare il ponte, i manifestanti sono dispersi. In una via secondaria c’è un blindato, circondato da molte persone che gridano. I militari chiudono le porte del camion e se ne vanno. “C’era un ragazzo a terra, un manifestante. Lo stavano ammazzando di botte, abbiamo cercato di aiutarlo ma non abbiamo potuto fare nulla”, raccontano i presenti, mentre il blindato sfreccia sulla strada. I volontari di Msr si guardano e cominciano ad avviarsi verso la sede. Una di loro dice: “Ogni volta che rientriamo ho la sensazione che quando cala la notte è il momento in cui ci sarebbe più bisogno di noi nelle strade”. Jaime, il capo degli scudieri, imbraccia il suo scudo e avvisa con la radiolina che il gruppo si sta ritirando. “Quando vado alle proteste – dice - e proteggo i manifestanti mi sento bene, so che è mio dovere farlo. Vorrei poter fare di più. Spero che un giorno mia figlia racconti ai miei nipoti che il nonno faceva lo scudiero e che questo li renda orgogliosi”.