Analisi
Quando Donald Trump ha riconosciuto l'emirato dei talebani: le mille parole che hanno tradito le donne dell’Afghanistan
L'accordo firmato dagli Usa nel febbraio 2020 e confermato da Joe Biden: in appena tre pagine, il patto che ha riportato al potere gli estremisti
La sconfitta della coalizione occidentale in Afghanistan è scritta nero su bianco dal 29 febbraio 2020 nell'accordo tra gli Stati Uniti di Donald Trump e i talebani. Quel giorno, mentre il mondo sta precipitando nell'epidemia che la dittatura cinese ha nascosto per settimane, le delegazioni mettono fine a un'occupazione militare cominciata l'8 ottobre 2001. Era la risposta all'attacco a New York e Washington dell'11 settembre, quasi tremila morti nel giro di una mattinata, orchestrato dai terroristi di Osama Bin Laden, ben protetto nelle sue roccaforti afghane.
Mentre in queste ore la disperazione spinge gli abitanti di Kabul ad aggrapparsi ai carrelli degli aerei in decollo, il patto è tuttora pubblicato sul sito del Dipartimento di Stato: tre pagine e mezzo in formato pdf, poco più di mille parole, che tradiscono per semplificazione, ingenuità e cinismo il linguaggio tipico dell'amministrazione Trump. Lo si legge fin dal titolo: «Accordo per portare la pace in Afghanistan tra l'Emirato islamico afghano, che non è riconosciuto dagli Stati Uniti come stato ed è noto come i Talebani, e gli Stati Uniti d'America». Una formula, quella che nomina l'Emirato islamico pur non riconoscendolo, ripetuta ben sedici volte nel definire le clausole della ritirata. E fatta propria dall'attuale presidente americano Joe Biden, che su questo impegno elettorale ha mantenuto la promessa del suo predecessore.
Il tradimento dei cittadini afghani, donne e uomini, che si sono fidati e hanno collaborato con la presenza occidentale, è evidente già verso la fine della prima pagina: «Gli obblighi dell'Emirato islamico afghano, che non è riconosciuto dagli Stati Uniti come stato ed è noto come i Talebani, in questo accordo si applicano nelle aree sotto il loro controllo fino alla formazione del nuovo governo islamico afghano, come verrà determinato dal dialogo e dai negoziati intra-afghani». Un governo islamico con i talebani, come il passato insegna, non può che essere islamista: cioè contro la democrazia, contro le donne libere, contro la conoscenza, l'arte e la cultura. E contro i collaboratori delle forze straniere, interpreti, impiegati, militari, che non si pentono pubblicamente.
Dopo l'indicazione dei tempi entro i quali la coalizione internazionale doveva lasciare l'Afghanistan, si passa ai prigionieri di guerra e ai detenuti politici: cinquemila da parte talebana, mille da altre parti. «L'Emirato islamico afghano, che non è riconosciuto dagli Stati Uniti come stato ed è noto come i Talebani, garantisce che i detenuti liberati si impegneranno alle responsabilità richiamate in questo accordo, in modo che non costituiscano una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati».
Molti dei prigionieri appaiono infatti negli elenchi del terrorismo internazionale. Ma gli Stati Uniti avvieranno una revisione amministrativa delle attuali sanzioni e della lista dei ricercati a favore dei membri dell'Emirato islamico afghano, con l'obiettivo di rimuovere le sanzioni entro il 27 agosto 2020. L'amministrazione americana, inoltre, si impegna a fare lo stesso con gli elenchi pubblicati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Quindi «gli Stati Uniti e i loro alleati si asterranno dalla minaccia o dall'uso della forza contro l'integrità territoriale e l'indipendenza politica dell'Afghanistan o dall'intervento nei suoi affari interni».
In cambio, il nuovo Emirato islamico afghano si impegna, almeno sulla carta, a non permettere ad alcuno dei suoi membri, individui o gruppi, compresa Al Qaeda, di usare il suolo dell'Afghanistan per minacciare la sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati. E a non dare ospitalità o cooperare con attività terroristiche. Per questo, «l'Emirato islamico afghano, che non è riconosciuto dagli Stati Uniti come stato ed è noto come i Talebani, non procurerà visti, passaporti, permessi di viaggio o altri documenti legali per entrare in Afghanistan a quanti costituiscono una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati».
E qui, se non è una menzogna velata di diplomazia, l'amministrazione Trump mostra la sua imperdonabile ingenuità: «Gli Stati Uniti e l'Emirato islamico afghano... sostengono le relazioni positive gli uni con gli altri e si attendono che le relazioni tra gli Stati Uniti e il nuovo governo islamico afghano, così come verrà determinato dal dialogo e dai negoziati intra-afghani, saranno positive. Gli Stati Uniti sostengono la cooperazione economica per la ricostruzione con il nuovo governo islamico afghano... e non intervengono nei suoi affari interni».
Tutto questo viene sottoscritto a Doha, in Qatar, uno degli emirati dal volto poliedrico: ospita la più grande base aerea militare americana nella regione e, contemporaneamente, è sotto processo a Londra con l'accusa di aver finanziato attraverso le sue banche l'Isis, lo Stato islamico, durante la guerra civile in Siria. Sempre il 29 febbraio 2020, l'amministrazione Trump rilascia una dichiarazione congiunta con la principale vittima consegnata al patibolo dei talebani: sono altre tre pagine in formato pdf che obbligano la Repubblica islamica di Afghanistan - lo Stato appena dissolto con la fuga all'estero del presidente Ashraf Ghani – ad accettare il loro accordo. «La Repubblica islamica di Afghanistan», è scritto, «dà il benvenuto alla riduzione della violenza e prende atto dell'accordo Usa-talebani, un importante passo verso la fine della guerra. L'accordo Usa-talebani spiana la strada ai negoziati intra-afghani su una soluzione politica e un cessate il fuoco permanente e complessivo. La Repubblica islamica di Afghanistan riafferma la sua disponibilità a partecipare ai negoziati e a raggiungere un cessate il fuoco con i talebani».
Il punto sulla lotta al terrorismo è un'ulteriore prova di cinismo. «La Repubblica islamica di Afghanistan riafferma inoltre l'impegno in atto per prevenire che qualsiasi membro o gruppo terroristico internazionale, comprendendo Al Qaeda e Isis, usino il suolo afghano per minacciare la sicurezza degli Stati Uniti, i loro alleati e altri Paesi. Per accelerare la ricerca della pace», fanno mettere nel comunicato i delegati di Trump, «la Repubblica islamica di Afghanistan conferma il suo supporto al ritiro per fasi delle forze Usa e della coalizione, in seguito all'adempimento da parte dei Talebani dei loro doveri previsti dall'accordo Usa-talebani e da qualsiasi accordo raggiunto dai negoziati intra-afghani».
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A questo punto, l'esercito più sgangherato, impaurito e corrotto della coalizione, viene abbandonato al suo destino: «In seguito all'adempimento da parte dei talebani dei loro doveri previsti dall'accordo Usa-talebani, la Repubblica islamica di Afghanistan, gli Stati Uniti e la Coalizione valutano congiuntamente che il livello attuale di forze militari non è più necessario. Fin dal 2014 le forze afghane sono state all'altezza nel garantire la sicurezza e hanno aumentato la loro efficacia».
L'altezza e l'efficacia le abbiamo viste con la fuga e le diserzioni in massa di queste ore. Dopo aver consegnato ai terroristi la Somalia e gran parte dell'Iraq, Washington e i suoi alleati aggiungono una medaglia di latta alle loro sconfitte. Mentre le forze americane saranno presto dirottate a occuparsi di Taiwan e delle minacce di invasione di Pechino, al resto del mondo libero rimane un fastidioso dilemma: la coalizione era più disumana quando sparava ai tagliagole talebani o lo è oggi che abbandona al loro destino le tante donne afghane che hanno creduto nella libertà?