L’emergenza
Jair Bolsonaro ha devastato l’Amazzonia senza pietà
Con il governo di Destra la deforestazione è cresciuta a livelli record e gli incendi sono aumentati. Si spera che la rielezione di Lula riporti la protezione del territorio tra le priorità
«Non ci possono essere incendi in Amazzonia perché la foresta è umida». «Ai popoli indigeni non verrà concesso nemmeno un millimetro di terra in più». «Le pressioni mondiali sulla crisi climatica sono un gioco commerciale». Queste sono solo alcune delle frasi pronunciate dal presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che lo scorso 30 ottobre ha perso le elezioni presidenziali: a vincerle è stato il suo rivale Luiz Inácio Lula da Silva con il 50,9 per cento dei voti.
L’ambiente e la deforestazione dell’Amazzonia sono stati argomenti chiave durante la campagna elettorale e i programmi dei due candidati sul tema non avrebbero potuto essere più diversi. Sotto il governo Bolsonaro la deforestazione in Amazzonia è aumentata del 75,6 per cento, mentre gli incendi forestali, quasi tutti dolosi, sono cresciuti del 24 per cento. A lanciare l’allarme è l’ultimo rapporto stilato da Greenpeace in cui si dichiara pure che le emissioni di gas serra del Paese sono aumentate del 9,5 per cento. Come mostrano i dati dell’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (Inpe), tra l’agosto 2020 e il luglio 2021 sono stati distrutti ben 13.235 chilometri quadrati di foresta amazzonica.
«Il governo Bolsonaro rappresenta una retrocessione senza precedenti rispetto alle politiche ambientali», sostiene María del Carmen Villarreal, politologa dell’Università Federale di Rio de Janeiro: «In quattro anni si sono annullati tutti i passi avanti che erano stati fatti in questo ambito. Ovviamente anche durante i governi di Lula ci sono state molte critiche per la gestione ambientale, ma quei problemi non possono assolutamente essere paragonati al disastro avvenuto sotto la guida di Bolsonaro».
Il leader di ultradestra, che ha più volte dichiarato il proprio appoggio alla spietata dittatura che governò il Paese dal 1964 al 1985, ha pubblicamente messo in discussione la reale gravità del cambiamento climatico. Ha smentito i dati sulla deforestazione e ha sminuito le criticità portate alla luce dagli attivisti. «L’unico vero problema secondo l’attuale presidente è che queste sono terre molto ricche e dovrebbero essere dedicate alla produzione senza freni. Il governo Bolsonaro è parte del problema ambientale: ha adottato la distruzione dell’ambiente come politica», continua Villarreal.
Oggi l’Amazzonia viene descritta da molti attivisti come “terra di nessuno”. L’intero territorio è infatti devastato da attività illecite collegate all’estrazione dell’oro, alla vendita di animali, al traffico di legname. Attività che mirano a sfruttare la natura a qualunque prezzo, senza tenere conto dell’inquinamento, delle conseguenti migrazioni forzate o delle malattie provocate nelle popolazioni indigene. «I governi di Lula sono riusciti a diminuire la deforestazione del 70 per cento ed è stato creato un programma pionieristico per la salvaguardia dell’Amazzonia. L’ambiente e il cambiamento climatico sono stati messi in quegli anni al centro della discussione, così come i diritti dei popoli indigeni», afferma Villarreal. Il programma di Lula è incentrato sullo stop alla deforestazione e sulla trasformazione di molte aree in riserve protette. Ma, come avverte Marica Di Pierri, portavoce dell’associazione A Sud, gli ultimi due mesi del governo Bolsonaro potrebbero essere pericolosi: «In ballo ci sono 14 proposte di legge, definite “pacote de destruição ambiental”, pacchetto di distruzione ambientale, che prevedono di eliminare le valutazioni d’impatto ambientale e una serie di nuove concessioni per attività minerarie in territori indigeni. Norme che mirano a indebolire ulteriormente i vincoli ambientali e minare i diritti delle comunità indigene».
La vittoria di Lula è stata accolta con entusiasmo dai leader mondiali, soprattutto dagli altri presidenti di sinistra latinoamericani. Nel continente, infatti, si è creato uno scenario inedito: i sei Paesi più importanti e popolosi (Argentina, Messico, Cile, Brasile, Colombia, Perù) sono governati da presidenti di sinistra e la loro cooperazione potrebbe fare la differenza, soprattutto in materia ambientale. «La comunità internazionale gioca un ruolo decisivo. In seguito all’elezione di Lula, la Norvegia ha dichiarato che riprenderà a inviare quei fondi per la protezione dell’Amazzonia che, assieme alla Germania, aveva bloccato dopo la vittoria di Bolsonaro», spiega Di Pierri. Per il futuro del Brasile la Cop27 – il summit dell’Onu sul clima in corso in Egitto – sarà fondamentale: «Lula intende consolidare un’alleanza tra gli Stati con importanti superfici forestali, come il Congo e l’Indonesia, affinché i Paesi membri della Convenzione stanzino fondi per la protezione delle foreste».
Durante gli anni del governo Bolsonaro i discorsi d’odio nei confronti dei popoli indigeni e degli attivisti ambientali hanno causato un’impennata dei crimini, dalle minacce agli omicidi, verso chi protegge il territorio. Secondo l’ultimo report della Commissione Pastorale della Terra, solo nel 2022 in Amazzonia si sono registrati 33 omicidi legati ai conflitti della terra; sette vittime erano bambini o adolescenti e quattro di loro erano indigeni. Secondo l’ong Global Witness, il Brasile è al primo posto nel mondo per omicidi di attivisti ambientali e leader indigeni, la maggior parte dei quali avviene in Amazzonia. Lo scorso giugno ha fatto il giro del mondo la notizia dell’uccisione del giornalista britannico Dom Phillips e dell’indigenista brasiliano Bruno Pereira, fatti scomparire mentre stavano perlustrando la Valle del Javari, uno dei più grandi territori indigeni del Paese.
Ma non sono stati gli unici omicidi a scuotere l’Amazzonia: lo scorso 3 settembre è stato assassinato a colpi d’arma da fuoco Janildo Oliveira Guajajara. L’uomo faceva parte dei “Guardiani dall’Amazzonia”, un gruppo di cittadini indigeni che da dieci anni protegge la foresta dalle numerose attività illegali che la stanno distruggendo. Janildo, come gli altri Guardiani, viveva sotto costante minaccia ed è stato assalito mentre camminava per strada nella cittadina di Amarante, vicina al territorio indigeno di Araribóia, dove vivono molti trafficanti di legname. «Se si guarda una mappa del territorio si nota chiaramente che stanno distruggendo completamente la foresta», spiega Sarah Shenker, ricercatrice di Survival International: «Ma le popolazioni indigene stanno proteggendo quella terra da generazioni. Il motivo per cui i Guardiani devono tutelare l’Amazzonia è che il governo brasiliano sta fallendo nel farlo. Anzi, il governo Bolsonaro sta incoraggiando chi compie attività illegali nella foresta a continuare».
La popolazione Guajajara non protegge solo il territorio: salvaguarda gli Awá, una tribù incontattata che vive con loro nel territorio di Araribóia. Gli Awá dipendono dalla loro terra per tutto, dall’alimentazione alle medicine, e ogni contatto esterno potrebbe essere fatale. «Gli incontri fra popolazioni indigene mai contattate prima e altre persone ha già portato a situazioni disastrose nel passato», spiega Shenker, che ha accompagnato i Guardiani nei pattugliamenti: «Gli Guajajara vogliono evitare che gli Awá vengano sterminati per malattie o per attacchi violenti». Il lavoro dei Guardiani finora è stato un successo: quando hanno iniziato, le strade illegali per il traffico di legname erano 72, oggi sono cinque. I Guardiani uccisi, però, sono sei. Come dice Shenker, «Janildo sapeva che avrebbe potuto pagare con la vita, ma era determinato a essere un Guardiano perché non vedeva altra possibilità per il futuro della foresta e della sua famiglia».