Il personaggio
Karim Ahmad Khan, l'accusatore dell’Aja che indaga sui crimini di guerra di Vladimir Putin
Il procuratore generale del Tribunale penale internazionale sta raccogliendo le prove sulle azioni contro l’umanità in Ucraina. Dal 2013 a oggi
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La raccolta delle prove è già cominciata. Karim Ahmad Khan, procuratore generale del Tribunale penale internazionale (Tpi) dell’Aja, non ha perso un attimo. Le indagini per i presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità in Ucraina possono partire: una squadra dell’Ufficio del procuratore è già sul campo da mercoledì scorso. Colpire un edificio in un’area di civili, una scuola o un’università: qualsiasi target che non è militare costituisce un crimine di guerra, così come l’uso di armi non convenzionali. I sopravvissuti sono il cuore delle indagini. Oleksandra Matviichuk, direttrice del Centre for civil liberties, ha riferito su Twitter di aver ricevuto i contatti di una donna sopravvissuta alla violenza sessuale da parte di soldati russi: un altro dei crimini contro l’umanità. Il giorno prima un membro del suo Centre che aiutava nell’evacuazione dei civili è stata uccisa in macchina insieme a due volontari. C’è il sospetto che si tratti di un omicidio mirato. Ma non bastano le immagini: bisogna andare sul posto, raccogliere prove e ascoltare i testimoni, anche tra i milioni di rifugiati. Come Karim Khan ha sempre fatto.
«Estremamente importante aprire queste indagini. Una voce collettiva si è alzata, ci permetterà di cercare la verità, seguendo il mandato del Tribunale internazionale», ha riferito dopo aver pubblicato già il 2 marzo una dichiarazione ufficiale che confermava l’apertura delle indagini. «Abbiamo iniziato a valutare la logistica per poter raccogliere le prove e poterle preservare. Non ci fermeremo».
Nonostante i limiti della giurisdizione e il fatto che né la Russia né l’Ucraina siano Stati parte del Tribunale penale internazionale, è possibile attivare una procedura speciale. È quello che ha fatto l’Ucraina all’inizio del conflitto in Donbass nel 2014: uno Stato non membro, tramite una formale dichiarazione depositata accetta la competenza del Tpi sul proprio territorio. Questo ha già permesso l’apertura di una «preliminary examination», conclusasi nel dicembre 2020. Quanto alla Russia, dato che le indagini si svolgono sul territorio ucraino, non deve approvare la decisione, come spetterebbe a uno Stato membro. Rispetto alla giurisdizione del Tpi, rimane escluso solamente il crimine di aggressione: non si può indagare nei confronti di uno Stato non firmatario dello Statuto di Roma del 1998, alla base della creazione del Tribunale dell’Aja.
Il salto in avanti che ha permesso al procuratore di procedere è conseguenza immediata della richiesta giunta da 39 Stati membri, prima fra tutti la Lituania e tra gli altri anche l’Italia. Un numero senza precedenti. E Karim Khan si aspetta che aderiscano altri. L’indagine proverà a coprire i crimini commessi sul suolo ucraino dal 21 novembre 2013 fino ai nostri giorni ai danni di civili inermi e delle strutture che servono alla vita quotidiana, da parte di tutte le forze in campo: esercito, milizie, gruppi di autodifesa. «Dopo Norimberga e dopo lo Statuto di Roma, si sono definiti degli standard minimi che in guerra le parti in conflitto devono rispettare», continua Khan. «Non c’è nessuna necessità militare che possa giustificare in alcun modo l’aver colpito, con l’uso massiccio di armi, dei civili che non hanno voluto né dichiarato una guerra. Armi che non possono essere precise in aree densamente popolate. I combattimenti nelle zone urbane, i crimini contro bambini e crimini di genere o sessuali devono essere immediatamente indagati. Abbiamo un obbligo verso la Legge: nessuno è al di sopra di essa».
La rapidità di questa decisione è legata anche alla storia personale e professionale del procuratore generale Karim Khan, 52 anni, da trenta sul campo. Nato ad Edimburgo da genitori di origine pakistana, da giovane laureato in Giurisprudenza e dopo un dottorato a Oxford, lavora come legale nel 1997-1998 al Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia e subito dopo a quello per il Rwanda fino al 2000. Da allora si è poi occupato, da accusatore e da parte civile, come avvocato penalista internazionale, di Liberia, Sierra Leone, Cambogia, Libano, Iraq davanti al Tpi, fino a diventarne procuratore generale nel giugno 2021.
Nella sua dichiarazione che annuncia l’inizio delle indagini in Ucraina, un ultimo passaggio è dedicato ad un esplicito invito a fornire direttamente, sulla email del procuratore generale informazioni rilevanti alle indagini.
Del resto, nel curriculum di Karim Khan c’è l’esperienza diretta di indagini sul campo. Per tre anni è stato a capo di Unitad, il team investigativo delle Nazioni Unite per i crimini commessi dall’Isis in Iraq: genocidio, crimini di guerra, crimini contro l’umanità. Un lavoro che L’Espresso ha raccontato al settembre 2019, con un reportage sul terreno di indagine. Tra le strette di mano a governanti, giudici, ambasciatori, leader delle diverse comunità, con cui ha cercato pragmaticamente e cordialmente la collaborazione, mostrando una sincera fiducia nelle istituzioni irachene per quanto spesso instabili e corrotte, Karim Khan è soprattutto ricordato per il tempo speso con le persone, le vittime e i familiari delle vittime, insomma le voci principali delle sue indagini.
Per esempio in Sinjar, la terra degli Yazidi, al nord-ovest dell’Iraq. Sono tante le foto che lo ritraggono insieme a Nadia Murad, premio Nobel per la Pace e sopravvissuta al genocidio. Ma accanto a lei, tante altre famiglie yazide. All’apertura delle fosse comuni nel villaggio di Kocho, Karim Khan ha dichiarato agli yazidi presenti: «Sono qui per servire, siamo i vostri servitori. Avete aspettato già abbastanza e devo dirvi la verità: dovrete aspettare ancora a lungo». Quello che probabilmente oggi potrebbe dire al popolo ucraino. A Kocho, tuta bianca e stivali, Karim Khan rimase poi una settimana intera accanto a i suoi uomini e a quelli dei team iracheni di medicina legale a cercare i resti delle vittime e le prove delle esecuzioni, vigilando sulla scena del crimine, difendendo i suoi testimoni.
«In ogni parte del mondo in cui sono stato coinvolto, come parte dell’accusa, della difesa o in rappresentanza dei civili, ho trovato somiglianze ma anche sfide diverse», aveva raccontato. «Ogni contesto va studiato ma l’unica regola da seguire sempre e che vale ovunque è seguire le prove. Nessuna speculazione né agenda politica ma solo prove. Perché le indagini sono un prerequisito per la stabilizzazione e per una società sostenibile». Tuttavia il lavoro del Tpi, a conclusione di indagini lunghe parecchi anni può non vedere coronata l’attesa di giustizia e i responsabili non essere mai puniti. Perché spesso ci sono le prove ma non si riesce a risalire al responsabile principale delle atrocità. I segnali giunti a proposito dell’Ucraina lasciano intravedere che vada diversamente. Intanto è una prima risposta allo shock e alla violenza che oggi milioni di ucraini stanno provando. «L’umanità non ha raggiunto quel grado di maturità tale da astenersi dal compiere questi crimini orrendi», diceva Karim Khan riferendosi all’Isis. Realista ma mai rassegnato.