L’Europa deve avvicinarsi. Lo ha dimostrato recentemente la grave crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina. Solo unita l’Europa può vincere questa sfida e, in termini pratici, ciò significa che alle dichiarazioni dei politici devono ora seguire azioni concrete verso una sovranità europea anche nel settore energetico. Con l’attuazione di un’Unione Europea dell’Energia, l’Europa può non solo dimostrare il potere della solidarietà in momenti di crisi, ma addirittura emergere da questi tempi difficili più forte nel lungo termine e fare progressi significativi sulla strada della neutralità climatica.
Le reazioni nazionali sembrano promettere una soluzione rapida di fronte alla crisi. Ma nel medio e lungo periodo nessuna nazione può farcela da sola: abbiamo bisogno del buon senso europeo anche per il gas e l’elettricità, per il carbone e il petrolio. Un esempio di come la collaborazione e l‘unirsi di forze e risorse sia fondamentale a livello europeo è stata l‘emergenza della pandemia, una situazione completamente diversa ma in qualche modo analoga. All’inizio ogni Paese ha combattuto il virus da solo. Dopo settimane difficili, è stata finalmente trovata l’unità europea nello sviluppo e nell’approvvigionamento dei vaccini. L’accordo sul fondo di ricostruzione è stato un altro passo decisivo, non solo per uscire dalla crisi, ma anche sulla strada della solidarietà europea.
Guardando allo status quo, esiste una buona base: il cosiddetto “regolamento SOS”, un meccanismo europeo di solidarietà che mira a garantire l’approvvigionamento di gas nell’Ue. Tutti i Paesi sono chiamati a prepararsi alle emergenze elaborando soluzioni per un’eventuale carenza di energia. L’idea di fondo è chiara: chi vuole contare sulla solidarietà deve prima utilizzare il proprio potenziale e mettere la responsabilità nazionale a servizio della precauzione comune. Ciò significa che tutti devono innanzitutto risparmiare, generare energia e mobilitare risorse per evitare l’emergenza.
Una base fondamentalmente buona, con un’unica fregatura: Il regolamento può entrare in vigore solo se accordi bilaterali chiari definiscono nei dettagli l‘attuazione dello stesso in caso di emergenza. Perché quando il gioco si fa duro, la solidarietà non deve essere solo proclamata, ma anche messa in pratica.
Ad oggi esistono solo pochi accordi a livello bilaterale tra gli Stati membri. In Germania, per ora, esistono solo con Austria e Danimarca. Inoltre, questi accordi già esistenti risalgono a prima della crisi e di conseguenza non contengono norme adeguate alla situazione attuale. La Germania non ha alcun accordo di solidarietà con altri partner europei, nemmeno con la Francia, la Polonia o l’Italia. (E che sia membro dell’Ue o meno, quanto sostenuto finora vale anche per la Svizzera: se possono, i vicini dovrebbero aiutarsi a vicenda nei momenti di bisogno. Il confine esterno dell’Ue non dovrebbe diventare un muro per gli aiuti reciproci di emergenza). L’ideale sarebbe un accordo europeo Nord-Sud attraverso le Alpi con Germania e Francia, Austria,Svizzera e Italia. Ma questa aspirazione è ancora molto lontana.
È anche evidente che ogni Paese ha potenzialità e sfide diverse. Ma perché non combinare le risorse esistenti? Prendiamo l’esempio franco-tedesco, il cosiddetto motore europeo. Esiste il Trattato di amicizia di Aquisgrana del 2019, ma sette mesi dopo l’inizio della guerra in Ucraina, i due Paesi non hanno ancora un accordo di solidarietà, né una clausola di assistenza energetica in caso di necessità. E potrebbe accadere che quest’inverno la Francia abbia un problema di elettricità e la Germania una carenza di gas. Ciò significa che è urgente un accordo di solidarietà. E anche se negli ambienti governativi si afferma che siano stati fatti i primi passi, senza un accordo concreto, queste rimangono di fatto solo dichiarazioni d’intenti non vincolanti, proprio come il già citato “Regolamento SOS” europeo.
Di fronte alla grave minaccia e al drastico aumento dei prezzi dell’energia, regolamenti e accordi non sono sufficienti. L’Europa deve compiere ulteriori passi verso l’integrazione: un’Unione Europea dell’Energia è attesa da tempo, anche se per il momento le diverse posizioni politiche (ad esempio sul nucleare) si scontreranno.
Perché nonostante tutte le differenze, le potenzialità esistenti potrebbero essere combinate: con partenariati per l’elettricità verde, ad esempio, o con gasdotti transfrontalieri e una rete europea dell’idrogeno. E anche se dovessimo dipendere dalle importazioni, agire insieme come Ue sarebbe sicuramente più efficace di perseguire strategie nazionali che finirebbero solo per creare competizione tra gli Stati membri. Tutto ciò rappresenterebbe un importante progresso. Anche se, a guardare alla storia dell’Unione europea si tratta in realtà di un ritorno alle origini- dopo tutto, la Comunità del carbone e dell’acciaio nata dopo la Seconda guerra mondiale è stata il primo passo verso la creazione dell’Ue. Il passo successivo è l’Unione dell’energia. E non deve passare più di mezzo secolo perché ciò avvenga. Abbiamo già aspettato troppo a lungo in termini di protezione del clima. Bisogna agire immediatamente, con decisione e in modo sostenibile.
In sostanza, la situazione attuale è un test per l’Ue per vedere se alla retorica politica seguiranno azioni concrete. Se non troviamo un nuovo terreno comune, gli Stati europei rischiano di ricadere nell’egoismo nazionale invece di dimostrare la forza europea nell’approvvigionamento energetico. Solo questa, però, è la nostra garanzia per il futuro.
Andreas Jung è Vicepresidente federale della Cdu e portavoce per la protezione del clima e l’energia del gruppo parlamentare Cdu/Csu. Membro del Bundestag dal 2005. Dal 2019 membro dell’Assemblea parlamentare franco-tedesca. Dal 2022 membro del Comitato franco-tedesco per la cooperazione transfrontaliera. Dal 2021 membro della Commissione per la protezione del clima e l’energia del Bundestag tedesco.
(Traduzione : Amélie Baasner con Amanda Morelli)