Dopo l’inchiesta dell’Espresso sul “suicidio” del ragazzo italiano in una prigione francese, centinaia di reazioni e messaggi affinché si scopra come sono andate le cose. E si muove anche il Parlamento

È un vento che sale la richiesta di verità sulla morte di Daniel Radosavljevic, il cittadino italiano di 20 anni, misteriosamente trovato impiccato nel carcere di Grasse in Costa Azzurra. A poche ore dalla pubblicazione della nostra inchiesta esclusiva sui misteri che circondano la morte del ragazzo, sono state centinaia le reazioni che sollevano una grande richiesta: #GiustiziaPerDany.

«Non ti preoccupare Dany ora ci pensiamo noi a fare giustizia. Non è possibile che un ragazzo di soli 20 anni muoia così». «Non se ne è parlato neanche sui media francesi», ci fanno sapere oltralpe. «Mi auguro che le autorità italiane facciano gli stessi sforzi fatti per Giulio Regeni per chiarire le circostanze del “suicidio” e perseguire gli eventuali responsabili. E che l’Espresso segua con la stessa attenzione la vicenda nei mesi e anni futuri. Giusto per dimostrare che non esistono cittadini di serie A e cittadini di serie B», ci scrive Franco da Milano.

Esclusivo
Daniel, italiano “ufficialmente” suicida a 20 anni in cella. Ma i documenti raccontano un’altra storia
03-02-2023

Daniel è stato trovato impiccato nel penitenziario francese il 18 gennaio. Pochi giorni prima, il 15 gennaio, l’ultimo contatto con la famiglia: era sereno, raccontano i parenti che con lui avevano discusso dell’imminente rientro in Italia e del futuro che sarebbe stato certamente migliore per Daniel che sognava di diventare educatore minorile.

Il 18 gennaio il cellulare della madre ha squillato di nuovo. Dall’altro lato del telefono la direzione del carcere. «Il detenuto Daniel Radosavljevic si è suicidato per impiccagione durante il regime dell’isolamento, applicato più volte dal 16 gennaio, seppur in diverse sezioni». Una versione che non trova conferma nelle voci dei detenuti riprese da L’Espresso che, attraverso un cellulare clandestino, suggerito un finale diverso.
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Daniel è morto mentre era nelle strutture di uno Stato straniero. Era stato picchiato dalle guardie. «Come? - chiedono i parenti – Normalmente», rispondono i detenuti, quasi a implicare che ci sia una “giusta quantità" di abusi che una persona possa subire da parte di esponenti di uno Stato democratico. «Non ha appeso un lenzuolo alla finestra. A tre metri d’altezza? Impossibile», ripetono nel video de L'Espresso che da giorni rimbalza in rete.


Il 24 gennaio quando la signora Branka Milenkovic arriva al carcere di Grasse per ritirare i beni personali del figlio, chiede di poter visionare la salma: nota una ferita sul retro del cranio, un’altra d’arma da taglio immediatamente sotto il costato, il mignolo rotto, delle scarificazioni tipiche da corda di diametro molto sottile impresse a ridosso della parte centrale del collo e nessun segno sulla porzione superiore del collo e nella zona mandibolare, come ci si aspetterebbe dall’azione abrasiva della corda a causa del peso del corpo impiccato e della sua gravità. Le mani non hanno le unghie, tagliate di netto anche in prossimità della parte superficiale del polpastrello. Chiede spiegazioni: è per l’autopsia o è successo altro? Silenzio.

Niente torna al suo posto dentro questa storia. Verità per Daniel, ripetono i parenti. #GiustiziaPerDany è l'hashtag ripetuto sotto gli articoli pubblicati da L'Espresso.
Il caso è arrivato anche sui tavoli del Parlamento italiano: a L'Espresso diversi esponenti politici hanno comunicato che non resteranno a guardare. Lo Stato tutela dalle ingiustizie e dai soprusi, non li esercita. Dovrebbe essere un fondamentale per qualsiasi Paese dell'Unione Europea.