Congo
Dietro la morte di Luca Attanasio potrebbe esserci il racket dei visti Schengen
L'ambasciatore italiano in Congo voleva vederci chiaro. «Non è stato un sequestro. Bisogna indagare sul traffico all’interno dell’ambasciata di Kinshasa», accusa un testimone
Non posso più tacere perché i responsabili della morte dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo sono ancora liberi». A parlare, per la prima volta, è un imprenditore italo congolese, “sponsor” dell’ambasciata italiana nella Repubblica democratica del Congo. La sua è una denuncia precisa che getta una nuova luce sul contesto dell’agguato a Goma, il 22 febbraio 2021.
Un racconto che disegna uno scenario, un contesto, già acquisito dalla magistratura romana e che coinvolge direttamente alcuni personaggi che gravitavano intorno alla rappresentanza italiana, interessati a un racket di rilascio dei visti Schengen e a una serie di stranezze contabili. Un vero e proprio sistema che vedeva nell’ambasciatore un nemico. Secondo la giustizia congolese, autori dell’agguato sono stati sei cittadini del Paese, componenti di una banda dedita a sequestri a scopo di estorsione. «Fa male sentire che Attanasio e Iacovacci sono morti per un tentativo di rapimento. Il marcio lo avevano vicino. Nessuno si è posto finora il dubbio che tutto sia scaturito da quello», dice la fonte.
Il testimone che ha rotto il silenzio ripercorre le verità contenute negli esposti presentati al tribunale di Kinshasa, e arrivati, tramite la Farnesina, alla Procura di Roma. Collaboratori e funzionari della nostra ambasciata, ora non più operativi nella capitale congolese, avrebbero rilasciato visti dietro pagamento di cifre che oscillavano tra i 5 e i 6 mila dollari. Somme astronomiche in un Paese in cui lo stipendio medio mensile si aggira intorno ai 200 euro.
«Sono anni che sento di brogli per i visti in quella ambasciata, ma nessuno ha mai fatto niente. Perché nessuno ha collegato la morte di Attanasio a ciò che aveva scoperto? Era risaputo che esisteva un business intorno al rilascio di un centinaio di visti illegali al mese. Per non parlare dei soldi del budget per le gare di fornitura all’ambasciata fatti sparire negli anni. C’era chi, pagate le fatture, chiedeva al fornitore, una quota, uno sconto che finiva nelle sue tasche. E ci sono stati maneggi anche sui soldi di noi sponsor della Festa della Repubblica del 2 giugno e della Festa della cucina».
La fonte fa nomi e cognomi di persone sul cui conto sono state aperte indagini. Si tratta, in particolare, di un funzionario il cui nome ricorre in vari esposti e in una relazione dei carabinieri dell’ambasciata di Kinshasa che lo avevano sorpreso mentre lasciava il Consolato con una borsa piena di passaporti.
«La magistratura italiana – dice il testimone – dovrebbe andare a fondo. Questo personaggio ha sempre preso soldi dalla vendita illegale dei visti. Sono a conoscenza anche di una truffa al capo dei Servizi congolesi: venticinquemila dollari per dei visti promessi ma mai rilasciati. Il funzionario si è volatilizzato, ma i suoi complici in ambasciata hanno coinvolto un italiano molto in vista in Congo che ha risarcito il truffato per fargli ritirare la denuncia». Ma sul conto del funzionario c’è molto altro. «Dopo la morte di Attanasio ha ricevuto a Goma una busta piena di soldi davanti ad altre persone. E sempre lui ha preso il denaro che era in possesso di Attanasio quando è stato ucciso, denunciandone lo smarrimento». Di sicuro, ricostruisce la fonte, Attanasio poco prima di partire per la missione durante la quale è stato ucciso, aveva promesso di indagare a fondo. «Attanasio non avrebbe ammesso illeciti, ma voleva acquisire altre informazioni. Era un diplomatico intransigente e aveva affrontato anche il funzionario al centro dei sospetti. Ne aveva parlato con persone vicine dicendo: quello gioca troppo con i visti».
La persona in questione è stata oggetto di denunce inoltrate alle autorità congolesi e acquisite anche dalla Farnesina che, contattata da L’Espresso, non ha fornito ulteriori elementi.
Di sicuro a segnalare anomalie è stata anche la moglie dell’ambasciatore Zakia Seddiki. Entrando nella posta elettronica istituzionale del marito aveva notato che erano state cancellate le mail dell’intero 2020, fino a pochi giorni prima dell’agguato. Un elemento non sufficientemente valutato all’epoca. A non accontentarsi della versione ufficiale sono stati anche il padre del diplomatico, Salvatore Attanasio e il fratello del carabiniere ucciso, Dario Iacovacci, sottufficiale di Marina.
«Da tempo si rincorrono voci ma anche notizie circostanziate su azioni poco limpide di alcuni soggetti che operavano in ambasciata. Perché il ministero degli Esteri non è intervenuto?», si chiede Dario Iacovacci. «E poi – prosegue – c’è la storia della scorta dimezzata». Ovvero del secondo uomo che avrebbe dovuto vigilare sulla sicurezza di Attanasio lasciato a casa, come dell’intero dispositivo di tutela del diplomatico anche in sede. Ma anche del giallo sull’intera organizzazione del viaggio di Attanasio, circostanza per la quale ci sono già due indagati in Italia. Si tratta dei due funzionari del Programma alimentare mondiale, Rocco Leone e Mansour Rwagaza, accusati di omesse cautele e omicidio colposo, già arrivati al giro di boa dell’udienza preliminare che riprenderà il 14 settembre.
Il ministro congolese – spiega Dario Iacovacci – sostiene di non aver mai ricevuto nessun documento che diceva che l’ambasciatore e mio fratello sarebbero andati in missione nel Kivu». Ma le stranezze non si esauriscono qui: c’è anche «l’uccisione del procuratore che indagava sull’agguato. Noi – dice - andremo avanti fino in fondo. Per questo ci siamo costituiti parte civile in Italia, mentre lo Stato dal quale ci sentiamo traditi non si è mai presentato davanti al Gup».
Antonella Napoli è autrice del libro inchiesta “Le verità nascoste del delitto Attanasio”, Edizioni All around