Polveriera africana

Le due facce della Francia: per la democrazia in Niger, per il golpe in Ciad

di Vincenzo Giardina da N’Djamena (Ciad)   25 settembre 2023

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Parigi sta perdendo influenza nell’area e sceglie il doppio standard, alleandosi con i dittatori o in difesa del diritto di voto in base ai propri interessi. Ecco perché

Eccezione francese. Pronta a supportare un intervento militare esterno contro i golpisti nigerini, Parigi va d’accordo con quelli ciadiani. Lo conferma l'ultima intervista tv del presidente Emmanuel Macron, che annuncia il ritiro dell'ambasciatore e dei soldati francesi da Niamey accusando le "autorità di fatto" di "non voler più combattere i terroristi". Critiche zero invece per il Ciad. Dove padre e figlio entrambi golpisti sono al potere da decenni, proprio come il congolese Denis Sassou-Nguesso: già colonnello putschista al comando delle milizie paramilitari Cobra, soprannominato “l’empereur” per lo stile poco liberale, è un altro alleato di Parigi che potrebbe rischiare la poltrona. Chiamatelo se volete doppio standard. O vocazione democratica a corrente alternata. Con una premessa: nelle sue ex colonie d’Africa, a oltre 60 anni dalle indipendenze, la Francia non è più influente come prima. E nemmeno più la causa di tutti i mali.


Dopo il nigerino Mohamed Bazoum, che è in arresto dal luglio scorso ma che per Parigi resta il capo di Stato legittimo, come conferma la decisione di richiamare in patria l'ambasciatore Sylvain Itté in segno di protesta, è caduto Ali Bongo, erede di una dinastia al potere in Gabon per 55 anni. A rovesciarli sono stati ufficiali dell’esercito che promettono di salvare la patria: un monito per altri presidenti al comando da una vita grazie a elezioni contestate e quasi sempre truccate. “A chi toccherà il prossimo coup d’etat?” s’interroga con 'L’Espresso' Afolabi Adekaiyaoja, analista dell’istituto nigeriano Centre for Democracy and Development. “L’indicatore chiave è lo scollegamento totale tra autocrati di lungo corso e nuove generazioni di cittadini”.


Tra gli indiziati c’è Sassou-Nguesso, 79 anni, al potere dal ‘79 con solo una breve interruzione. Tra il suo Paese e il Gabon corre un confine lungo 2mila chilometri. Quando è stato arrestato Ali Bongo, l’“empereur” è rimasto silenzioso. Mentre il principale quotidiano congolese, “Les Dépêches de Brazzaville”, titolava senza enfasi: “Colpo di mano in Gabon”.


Secondo Jean-Pierre Darnis, professore all’Université Côte d’Azur di Nizza e alla Luiss Guido Carli di Roma, tra le situazioni dei due Paesi esistono analogie. “Come in Gabon, anche in Congo ci sono state critiche alla regolarità delle elezioni” dice il docente a 'L’Espresso'. “Adesso a dare forza agli oppositori di Sassou-Nguesso potrebbe essere sia la sua età avanzata sia la stanchezza per la sua occupazione dello Stato”. Finora i francesi sono rimasti dalla parte dell’“empereur”. Se in Niger si sono concentrati sull’uranio, in Congo hanno fatto affari con il petrolio: oggi Total Energies resta il produttore numero uno, a conferma di un’alleanza anche politica, nonostante tutto.


Il punto di osservazione migliore per capire le scelte di Parigi è però N’Djamena, la capitale del Ciad, fino al 1958 “Africa equatoriale francese”. È pomeriggio. Nubi nere minacciano temporale quando i caccia con il tricolore bianco, rosso e blu decollano dalla pista dell’aeroporto internazionale. Camp Kosseï, la base dei militari francesi, estesa su circa 80 ettari, è lì accanto. Un chilometro più in là c’è invece l’hotel “La Tchadienne”, tappa pressoché scontata per chi arriva dall’Europa. Il rombo dei caccia plana sulla piscina dell’albergo. I soldati tatuati sulle sdraio nemmeno si voltano: sono francesi, come i commilitoni in mimetica che qualche ora dopo siedono ai tavoli del disco-pub “Perceptions”, non lontano dal Palais présidentiel, sulla riva destra del fiume Chari. Per partecipare alla serata rock & blues e hip-hop bisogna superare i metal detector all'ingresso del locale. Sono garanzie di sicurezza aggiuntive per i francesi, alleati numero uno di Mahamat Deby Itno: un generale che ha preso il potere alla morte del padre-presidente sospendendo la Costituzione, ma che per Parigi resta dalla parte giusta. A differenza dei militari golpisti del Niger.


“Questo è un momento delicato” si confida un diplomatico europeo mentre sulla pista da ballo si fanno avanti manager dai tratti asiatici. “I francesi hanno investito molto nel Niger, sul piano politico e anche per via dei giacimenti di uranio che riforniscono le loro centrali nucleari; non vogliono perderlo ma di fatto, con i golpe cominciati nel 2020 in Mali, nella regione del Sahel il Ciad è rimasto il loro ultimo baluardo”. Per Parigi la famiglia Deby non si discute. Il sostegno è incondizionato, nonostante la trasmissione del potere per via ereditaria e la tolleranza zero verso il dissenso.
Ma torniamo qualche anno indietro. Nel 1960, l’indipendenza del Ciad aveva una premessa: N’Djamena avrebbe dovuto restare un alleato chiave, sia sul piano politico che su quello militare. Da allora la presenza dei soldati francesi è stata una costante. Nel 1986 Parigi lanciò l’operazione ‘Eparvier’ per salvare il presidente Hissene Habré, un golpista che aveva già aiutato a prendere il potere e che anni dopo sarebbe stato condannato all'ergastolo per crimini contro l’umanità da un tribunale panafricano. Allora l’intervento francese permise di respingere un’offensiva ordinata dal colonnello libico Muammar Gheddafi: fu la cosiddetta “guerra delle Toyota”, con i pickup con le mitragliatrici sul pianale di carico a sfidarsi nel Sahara. Un altro golpe, quello del 1990 di Idriss Deby Itno, il padre dell'attuale generale-presidente, era stato messo a segno senza che Parigi si opponesse. In seguito, più volte, i servizi di intelligence e i bombardamenti francesi avevano bloccato la strada alle colonne dei ribelli che minacciavano N'Djamena.


Di “dilemma ciadiano” dice anche Darnis. “Nel 2021, dopo la morte di Idriss Deby per le ferite riportate nella battaglia con un gruppo ribelle, la Francia ha subito accettato la presa del potere del figlio Mahamat nonostante fosse avvenuta in modo incostituzionale” ricorda l’esperto. “Si è trattato di una scelta realista, che però è vista da tutti i democratici africani come una contraddizione forte: Parigi sarebbe incoerente perché denuncia i golpe solo quando le fa comodo”.


La pensa così anche Abdelkarim Yacoub Koundougoumi, direttore per l’Africa dell’ong Internet sans frontieres e dirigente del partito di opposizione Projet pour une Alternance Crédible au Tchad (Pact). “Altro che svolta democratica, a N’Djamena la repressione non si ferma” denuncia. Lo scorso anno Koundougoumi aveva partecipato al “dialogo nazionale” organizzato da Mahamat Deby in Qatar, senza mai farsi illusioni. Poi aveva seguito, dal suo esilio a Parigi, in collegamento con gli attivisti di N’Djamena, le manifestazioni di piazza per chiedere il rispetto delle norme democratiche e costituzionali. In un giorno solo, il 20 ottobre, i militari avevano aperto il fuoco uccidendo decine di persone. Un episodio che Mahamat Deby vuole cancellare dalla memoria: per aver criticato la condotta dei soldati e del governo in quell’occasione, l’ambasciatore tedesco Jan-Christian Gordon Kricke è stato espulso dal Ciad. Su questa decisione, definita “deplorevole” dall’Unione Europea, la Francia non si è espressa in modo diretto.


Con i nuovi golpe la tensione è cresciuta anche in Ciad. La Francia però non abbandona gli amici. Che ringraziano: per dire, Mahamat Deby è stato finora uno dei pochissimi a volare in Niger per incontrare Bazoum dopo l’arresto. È verosimile che il generale ciadiano abbia tentato una mediazione d’accordo con i francesi: gli ex colonizzatori saranno pure in ritirata, ma restano un’assicurazione sulla vita.