Guerra in Ucraina

«Siamo stanche di essere solo madri, vogliamo anche combattere»: così la guerra sta cambiando l'Ucraina

di Chiara Sgreccia da Kiev   23 febbraio 2024

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«A Kiev, la capitale, la normalità sembra tornata. Ma è solo in superficie. La pressione del conflitto schiaccia tutta la società», racconta Natalia in "Vite sospese", il podcast de L'Espresso con WeWorld

«Noi ucraine siamo stanche di essere madri, vogliamo uccidere». Iryna lo dice con ironia, a margine di una conversazione che va avanti da ore sulla disparità di genere nel Paese di Volodymyr Zelensky che proprio in questi mesi, tra le molteplici difficoltà, cerca di superare anche quella dei soldati al fronte. Tanti ne muoiono ogni giorno: i cimiteri sono una distesa di bandiere blu e gialle che segnalano le tombe dei militari, il loro fruscio si sente anche a distanza. Tanti sono stanchi di combattere ininterrottamente da due anni, senza sapere se e quando potranno tornare.

 

Le mogli, le donne rimaste a casa manifestano in piazza Indipendenza (Maidan) a Kiev, la capitale. Il resto del mondo conosce questo luogo perché lì, tra il novembre 2013 e il febbraio 2014, c’è stato il cuore delle proteste che ha portato alla “Rivoluzione della dignità” o “Euromaidan”. Un passo importante nel processo di formazione dell’identità dell’Ucraina che ha ribadito l’indipendenza conquistata nel 1991 dalla dissolta Unione sovietica e la volontà del suo popolo di allontanarsi da quella sfera d’influenza. Un passo che, però, ha anche spinto l’allora già presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, a ribadire l’autorevolezza con la forza: cioè con l’invasione della Crimea. Dando così inizio alla stessa guerra di oggi, dal 24 febbraio 2022 estesasi su larga scala.

 

Quasi ogni giorno le donne si incontrano nel centro di Kiev, tra i souvenir di guerra che gli ambulanti esibiscono sui banchi, i turisti, i soldati con lo sguardo spento che onorano i caduti, la vita che prova a scorrere normalmente, almeno fin quando non suonano le sirene a indicare un possibile bombardamento russo. E le bandiere, una miriade di vessilli ucraini, riempiono anche Maidan. Immobili, nonostante il freddo, le donne protestano contro Oleksandr Syrskyj, il generale conosciuto come «il macellaio» dopo la sconfitta di Bakhmut e nominato da Zelensky nuovo capo delle forze armate al posto di Valerij Zalužnyj qualche settimana fa. Perché pare non abbia abbastanza a cuore le vite dei soldati. Perciò le donne resistono ore senza parlare, con lo sguardo gelido e un cartello in mano, ai piedi dell’alta colonna che sostiene la statua di Berehynia, lo spirito femminile che protegge la nazione, simbolo di indipendenza, per chiedere che la Verkhovna Rada, il Parlamento ucraino, approvi la legge in discussione da mesi per istituire termini chiari per la rotazione e il congedo dei soldati al fronte. Termini che per ora non ci sono.

 

 

Per fare rientrare a casa chi è esausto, però, «serve mobilitare almeno altri 450-500 mila coscritti», aveva sottolineato Zelensky alla fine dello scorso dicembre. E un piano per farlo ancora non c’è. Così c’è chi manifesta perché vorrebbe la leva obbligatoria anche per le donne, che nell’esercito oggi sono già 60 mila, 10 mila quelle che combattono in prima linea, secondo i dati dell’ong Zemliachky, che si occupa di fornire l’equipaggiamento e di cucire le uniformi alle volontarie che vogliono raggiungere il fronte. «L’uniforme, quando sei sul campo, è come una seconda pelle, è essenziale che sia comoda. Mentre solo da pochi mesi il dipartimento della Difesa ha iniziato a produrne anche per le donne che hanno taglie ed esigenze fisiche diverse da quelle degli uomini», spiega Nadiia Haran, sergente dell’esercito che fa parte di Veteranka, il movimento delle veterane ucraine.

 

Ma il problema non sta solo nella carenza di un equipaggiamento efficace, bensì nella generale mancanza d’integrazione delle donne all’interno delle strutture militari. Come dimostra la serie di tre rapporti “Invisible Battalion”, coordinata dalla sostenitrice dei diritti delle donne e volontaria per le Forze armate ucraine, Maria Berlinska, non solo le molestie ma anche le discriminazioni e i comportamenti inappropriati sono molto frequenti nei confronti delle soldatesse. Solo che poche ne parlano: «Quando una donna ottiene una promozione, ad esempio, sono abituali le battute che insinuano che ci sia un motivo sessuale dietro. A me è successo varie volte», racconta Haran. Che sottolinea, però, come il fatto che sempre più donne stiano entrando a fare parte dell’esercito contribuisca a fare progredire la parità di genere: «Non bastano le leggi, a cambiare dev’essere la cultura. Come regola generale, le vittime di molestie sessuali possono rivolgersi al loro comandante, ma se questo è l’autore del reato, ha un buon rapporto con chi l’ha commesso o è suo dipendente, è improbabile che la denuncia vada avanti. Così, a causa della mancanza di soluzioni efficaci, il problema delle molestie viene solo occasionalmente risolto. E ci sono casi in cui le denunce hanno portato al licenziamento della vittima invece che dell’aggressore». 

 

 

In Ucraina manca un’estensione della legislazione sulle molestie sessuali e sulla violenza di genere al personale militare. «Non esiste una strategia, una politica sistemica per prevenirle e contrastarle. Gli psicologi non hanno le qualifiche per trattare con le vittime di molestie e con gli autori dei reati. L’analisi dei dati suggerisce che le conoscenze che abbiamo sul numero di denunce nelle strutture militari sono incomplete e documentate in modo imperfetto. Attualmente, le vittime non ricevono supporto medico, psicologico e legale, collocamento lontano dagli autori dei reati o indagini e procedimenti giudiziari adeguati. Nel settore della sicurezza mancano anche programmi di formazione, istruzione e comunicazione sull’uguaglianza di genere. Anche se la situazione sta gradualmente migliorando. Integrando le donne nelle strutture militari, i migliori eserciti del mondo hanno fatto molta strada nello sviluppo di una politica di uguaglianza di genere, valida poi per tutta la società», riassume Berlinska.

 

Che non sia ancora arrivato il momento per una mobilitazione obbligatoria delle donne lo pensa, intanto, la maggior parte della popolazione ucraina, stando alle voci raccolte dal Kyiv Independent. Lo certifica Zelensky che ha chiarito che non firmerebbe una legge per autorizzarne la chiamata alle armi. Ed è d’accordo anche Iryna: «Non tutti gli uomini ucraini sono pronti a restare a casa con i bambini mentre le mogli combattono», aggiunge per ingannare le 12 ore che scorrono con lentezza sul treno che da Chelm, città polacca vicina al confine, arriva fino a Kiev. Il convoglio è pieno di persone che rientrano a casa da viaggi di lavoro o di piacere che obbligano gli ucraini a uno sforzo in più, visto che non ci sono i voli aerei per collegare il Paese all’interno. Iryna parla con la voce bassa, per non svegliare gli altri che nello scompartimento dormono, complice il buio pesto che avvolge il convoglio, sia fuori sia dentro. Un buio totale come il silenzio, rotto solo dal rumore delle ruote del treno che stridono sulle rotaie, producendo quell’odore acre che si dice essere tipico delle ferrovie dell’Est.

 

«La vita a Kiev sembra tornata normale, tranne per il fatto che mancano i concerti. I cantanti internazionali non vengono a suonare qui», scherza Oksana, 36 anni, che vive e lavora nella capitale e che, quando le va, raggiunge senza problemi i suoi cantati preferiti all’estero. «In superficie la vita sembra tornata normale», chiarisce: «Oggi a Kiev una persona può lavorare, avere delle relazioni, fare sport, avere accesso a tutti i servizi, scegliere come passare il tempo libero. Ma resta schiacciato dalla pressione di una guerra che non si sa quando potrà finire e se ci lascerà vivi e liberi un domani. Io ci penso ogni giorno. Questa pressione non è più una parte della vita, è la nostra vita ormai».

 

A confermare le parole di Oksana c’è l’atmosfera che si respira lungo le strade di Kiev. Cupa non solo perché la nebbia oscura il sole nella maggior parte dei giorni di febbraio, ma soprattutto perché la fine della guerra sembra lontana dopo che la controffensiva ucraina d’estate e d’autunno non ha ottenuto i risultati sperati. Ancora di più dopo la caduta di Avdiivka, la città nell’oblast di Donetsk in cui si combatteva da mesi e che i russi sono riusciti ad accerchiare, obbligando i soldati ucraini ad abbandonarla per salvarsi la vita. Così, anche se a Kiev non si combatte, la guerra si sente forte: sono tanti ad avere parenti, amici e conoscenti coinvolti direttamente nel conflitto, mentre l’operato delle ong per supportare le Forze armate necessita della partecipazione di tutta la società civile, convinta, nella maggior parte dei casi, che quella che si sta combattendo sulla pelle degli ucraini non sia una guerra di territorio, ma di valori. Una guerra che dovrebbe preoccupare molto di più l’Occidente, che rischia – se Putin vincesse – di finire schiacciato dall’imperialismo russo. Per alcuni è probabile che dopo la conquista dell’Ucraina, Putin si muoverebbe anche verso l’Europa dell’Est. Per altri si tratta di una questione ideologica, ma non meno importante perché la vittoria russa sarebbe un assist potente al pensiero autoritario che metterebbe in crisi le già fragili democrazie contemporanee.

 

 

«Anche l’organizzazione della vita notturna, almeno quella ufficiale che termina con il coprifuoco di mezzanotte, è dedicata ai combattenti. I ticket d’ingresso ai night club o il costo di un drink diventano donazioni per l’esercito», spiega ancora Iryna con gli occhi offuscati dalle lacrime. È quasi mezzogiorno e il treno attraversa Bucha, la città nell’oblast di Kiev conosciuta per il massacro perpetrato dai russi a marzo 2022, durante l’occupazione, nel tentativo fallito di raggiungere e conquistare la capitale ucraina.