Intervista

«Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sarà una tragedia»: parla il suo ex portavoce

di Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni da Washington   18 marzo 2024

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Narciso. Amico di Putin. Senza alcun rispetto per le istituzioni. I rischi di una vittoria dell’ex presidente raccontati dal suo collaboratore che fu licenziato dopo undici giorni Anthony Scaramucci

I libri di storia lo ricordano come il portavoce della Casa Bianca con la vita più breve: undici tumultuosi giorni nel luglio del 2017. Oggi Anthony Scaramucci – «The Mooch», come lo chiamavano nei corridoi della West Wing – ha completamente rinnegato l’esperienza trumpiana, diventando uno dei più fieri detrattori dell’ex presidente. «Mi pronuncio contro di lui perché è una persona pericolosa, in grado di danneggiare la democrazia americana», spiega quando lo raggiungiamo al telefono.

Scongiurare che il suo vecchio capo si trasferisca per la seconda volta al 1600 di Pennsylvania Avenue è oggi una delle principali preoccupazioni di Scaramucci, che con l’imprenditore ha lavorato gomito a gomito sin dalla campagna elettorale del 2016. E avrà un bel da fare perché Trump sta proseguendo indisturbato la corsa – ormai in solitaria – verso la nomination del partito repubblicano e con ogni probabilità il prossimo novembre sfiderà il presidente in carica Joe Biden in quello che si preannuncia come un memorabile testa a testa.

Tanto che nella Capitale già si discute sul manipolo di lealisti che un Trump 2 potrebbe portare nello Studio ovale. Fedeltà, la dote più importante che il leader cercherà nei curriculum. Secondarie, competenza ed esperienza. Il repubblicano attingerà nel mondo Maga, quello degli inossidabili duri e puri. Impossibile contare sulla vecchia squadra, pur ben polposa dato il febbrile turnover della Casa Bianca negli anni del primo mandato. Croce nera sul vice Mike Pence, con cui i rapporti si sono completamente deteriorati dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. È finita a pesci in faccia con il secondo ministro della Giustizia Bill Barr e i titolari della Difesa James Mattis e Mark Esper. E poi, ancora, con il segretario di Stato Rex Tillerson, i National Security Adviser, HR McMaster e John Bolton, i capi di Gabinetto John Kelly e Mark Meadows. Ma l’elenco potrebbe continuare ancora.

«Tra tutti i membri dell’esecutivo dell’amministrazione, solo Ben Carson (ex ministro dello Sviluppo urbano, ndr) lo sta appoggiando. Il messaggio è chiaro: lavorare con lui è rischioso». E Scaramucci, italoamericano di Long Island, l’ha provato sulla sua pelle ma è caduto in piedi. Dopo la parentesi istituzionale, è tornato alla finanza con la SkyBridge Capital la sua società globale di investimenti alternativi. L’ultimo dei suoi libri, “Wall Street to the White House and Back”, spiega il segreto della sua «indistruttibile resilienza».

Anthony Scaramucci

 

Scaramucci, lei di certo non compare nella shortlist appuntata sul taccuino del suo ex amico Donald.
«Ovviamente no. Un suo ritorno alla Casa Bianca passerà alla storia come una grande tragedia per il popolo americano e per l’Occidente. Consiglierei a chiunque di tenersene alla larga, di non fare l’errore che molti di noi hanno commesso pensando di essere patrioti».

Neanche la figlia Ivanka e la moglie Melania si stanno esponendo, come invece fecero nel 2016. Perché?
«Non sono contente, vogliono restare fuori dalla politica».

Sia Biden sia l’ex presidente sono avanti con l’età, ma solo per il primo sembra essere un problema. È colpa della comunicazione dem?
«I repubblicani sono più bravi a spostare l’attenzione da quell’argomento. Infatti, anche Trump è smemorato e confonde molti nomi; dice cose assurde, difficili da capire. La campagna vera e propria dei democratici, però, non è ancora cominciata, siamo in una fase iniziale. Quando andranno alle urne, gli elettori non ricorderanno quello che è successo a marzo, ad aprile o a giugno. Contano gli ultimi due mesi prima delle elezioni. Per questo non hanno ancora aperto veramente il portafogli per spiegare davvero chi è davvero l’avversario. Ora Biden è indietro nei sondaggi, ma sono sicuro che vincerà le elezioni».

Un repubblicano che ha buone parole per il presidente. Di questi tempi è una rarità.
«Ha fatto un buon lavoro. L’economia sta andando bene; in politica estera vuole proteggere l’Ucraina. Deve però risolvere il problema dei confini, ma anche l’aumento della criminalità nei centri urbani del Paese. E Trump che fa? Si è schierato con persone come Viktor Orbán e Vladimir Putin. In generale, credo che entrambi i candidati siano anziani. Però uno è a favore delle istituzioni del sistema americano. L’altro sembra, invece, lodare la leadership di molti avversari degli Usa e delle democrazie occidentali».

Lei conosce bene Trump. Com’è a porte chiuse?
«È un uomo molto intelligente e nessuno dovrebbe sottovalutarlo. Ha una grande squadra in questa campagna elettorale, molto organizzata. Credo che il suo più grande difetto sia il narcisismo, vuole tutta l’attenzione su di sé. L’altra questione è che non rispetta le istituzioni. Ha una serie di procedimenti penali a suo carico. Ricordiamo che il governo lo accusa di avere fatto parte della strategia premeditata per l’assalto al Campidoglio».

Perché è ancora così forte, nonostante beghe giudiziarie e scandali?
«C’è un gruppo molto ampio di persone, per lo più bianche, che si sentono escluse da un sistema che considerano iniquo. E lui rappresenta la loro rabbia. A prescindere da ciò che farà o da quante accuse penali saranno mosse contro di lui, i suoi sostenitori sono ancora dalla sua parte perché cercano qualcuno che scuota e distrugga il sistema».

Il partito repubblicano sembra completamente assoggettato. C’è ancora qualche barlume di resistenza nel Gop?
«Ad esempio, Mitt Romney non lo sostiene. Lo stesso vale per Adam Kinzinger e Liz Cheney. Certo poi ci sono figure importanti dalla sua parte, come Mitch McConnell, Tim Scott e Lindsey Graham. Lo appoggiano perché pensano che possa vincere. Anche se rischia di causare danni significativi al Paese, sono disposti a farlo per scopi politici. C’è però anche un ampio gruppo di repubblicani, incluso me, che accetterebbe i difetti dell’amministrazione Biden,  piuttosto che la potenziale minaccia che Donald Trump rappresenta».

 

Le urne dello scorso Super Tuesday hanno decretato la fine della corsa dell’avversaria Nikki Haley. Lei le darà un endorsement? Dove finiranno i suoi voti?
«È una buona questione. Intanto, tra gli elettori di Haley, più del 35% ha dichiarato che non voterà mai per Trump. E lui ha già detto di non volere nessuno che abbia dato soldi all’ex governatrice, non vuole che facciano parte della sua campagna».

Come immaginerebbe un secondo mandato di Trump?
«Sarebbe molto pericoloso e meno moderato per tre motivi. Numero uno: farà uscire gli Stati Uniti dalla Nato, era il suo obiettivo già nel 2016. Numero due: sarà molto negativo per il Medio Oriente. Questo perché è legato a Vladimir Putin che è in debito con gli iraniani per tutte le armi che gli hanno fornito per la guerra con l’Ucraina. Teheran vuole l’instabilità nel Golfo e la fine di Israele. Numero tre: minerà la democrazia americana. Pensate a quel che ha fatto l’ultima volta, cercando di rimanere al potere pur avendo perso le elezioni».

Se dovesse vincere, Trump ha già detto che si vendicherà. Sono minacce reali?
«Penso che la stampa sarà in pericolo. Ugualmente gli avversari politici e chiunque si sia espresso contro di lui. Ha detto molto apertamente che cercherà di usare i meccanismi del governo per perseguire quelle persone, cercherà di revocare le licenze dei network televisivi. D’altra parte, ha portato Viktor Orbán a Mar-a-Lago per cenare con lui. Nei comizi usa una versione deformata del nostro inno nazionale che onora chi ha assalito il Campidoglio. L’America è stata, nel corso della sua storia, molto stabile. Ha sempre avuto trasferimenti di potere pacifici. Quello che sta facendo Trump è sconvolgente».