Il caso

Una legge per "aiutare a morire": così la Francia affronta il tema del fine vita. Mentre in Italia tutto è fermo

di Chiara Putignano   22 maggio 2024

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Il disegno di legge proposto dal presidente Emmanuel Macron è sotto la lente della commissione parlamentare speciale, ma prima di vedere la luce potrebbero passare mesi. Una procedura lunga e un dibattito complesso che però prosegue da anni. Intanto nel nostro Paese si preferisce far finta di niente e ostacolare questo diritto

Un aiuto a morire. Questa è la traduzione letterale di quello che Oltralpe chiamano "Aide à mourir" e che, negli ultimi giorni, ha infiammato il dibattito etico e politico francese. Ad aprile Emmanuel Macron ha presentato un disegno di legge per regolamentare il suicidio medicalmente assistito e qualche giorno fa la proposta è passata al vaglio della commissione parlamentare speciale. Il risultato è un testo ben diverso da quello iniziale, nonostante la richiesta di cautela del presidente francese e l’invito della ministra della Sanità Catherine Vautrin a «mantenere un equilibrio».

 

In particolare, ad accendere gli animi è stata l’eliminazione del criterio sulle prospettive diagnostiche del paziente. Se sul paletto dell’essere affetti da «una malattia grave e incurabile» non batte ciglio nessuno, la maggior parte dei deputati ha storto il naso sulle «condizioni di pericolo di vita a breve o medio termine» per ricevere l’idoneità alle pratiche di fine vita. Un ostacolo, quello del tempo, considerato da diversi parlamentari e medici difficile da valutare, riporta il quotidiano Le Figaro. Per questo la commissione ha deciso di modificare la dicitura, parlando piuttosto di «malattia in stato avanzato o terminale». Quindi si dà la possibilità al paziente di decidere non appena venga a conoscenza di avere una malattia incurabile. Evitando sofferenze e, allo stesso tempo, ampliando la platea dei casi che potranno fare richiesta.  

Quello presentato a monte da Emmanuel Macron è un testo particolare. Non vengono mai utilizzati termini come suicidio assistito o eutanasia. A spiegarlo è stato lo stesso presidente in un’intervista congiunta ai giornali Libération e La Croix. «Abbiamo scelto le parole “aiuto a morire” perché è semplice e umano, e perché definisce ciò di cui stiamo parlando. Il termine eutanasia si riferisce alla fine della vita di una persona, con o senza il suo consenso, il che ovviamente non è il caso in questione. Non si tratta nemmeno di suicidio assistito, che corrisponde alla scelta libera e incondizionata di una persona di disporre della propria vita. Il nuovo quadro propone un percorso possibile, in una determinata situazione, con criteri precisi, in cui la decisione medica ha un ruolo da svolgere». 

 

Eppure nelle cinquanta ore di dibattiti che hanno animato la commissione, la parte che ne è uscita con più modifiche è proprio quella riguardante le definizioni. I paletti messi dal disegno di legge di Macron per l’accesso al fine vita prevedono: la maggiore età del paziente, l’essere affetti da patologie che non possono essere attenuate da trattamenti medici e, soprattutto, la capacità di esprimere la propria volontà in maniera libera e chiara. Il dibattito si è dilungato particolarmente sull’articolo 5, in cui viene definito questo “aiuto a morire”. In quel punto c’è un rapido passaggio su quelle casistiche in cui, impossibilitato a farlo il paziente, l’atto letale viene compiuto da persone terze in sua vece. La commissione dell'Assemblea Nazionale ha optato per l'adozione di un emendamento che elimina il criterio dell'impossibilità fisica, lasciando al paziente la possibilità di decidere tra questi due metodi di aiuto nel morire: «La scelta tra eutanasia e suicidio assistito dovrebbe spettare al paziente e non al tipo di malattia. Non spetta alla presenza di una possibile paralisi sostituirsi alla volontà del paziente», ha commentato la deputata di Reinassance Cécile Rilhac.

 

Il testo modificato arriverà il 27 maggio in Emiciclo e i lavori potrebbero durare anche un anno. Quello della Francia verso il fine vita è un percorso lungo che parte nel 2016 con la legge Leonetti-Claeys. Un provvedimento che consente la sedazione profonda e continua per evitare l’accanimento terapeutico. Il vuoto legislativo però negli anni ha spinto molti pazienti oltre confine verso paesi come Belgio e Svizzera, luoghi sicuri in cui porre fine alle proprie sofferenze. Il testo di Macron, quello con cui «si guarda la morte in faccia» ma con «equilibrio», è uscito dalla commissione con una nuova veste che non accontenta proprio tutti. Ma nulla di cui preoccuparsi secondo la ministra della Sanità Vautrin, secondo la quale c’è tempo: «Questa è la prima tappa di un lungo percorso». 

 

Nel frattempo in Italia il tema del fine vita è al palo. Nonostante il suicidio medicalmente assistito sia legale dal 2019, a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale, non c’è ancora una legge a livello nazionale. Ma anche in questo caso i requisiti sono stringenti. Può accedervi chi è affetto da una patologia irreversibile, che sia fonte di sofferenze psichiche o fisiche intollerabili. La persona inoltre dev’essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, ma capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Non molto lontana quindi dalla proposta di legge di Macron. Tuttavia accedervi è quasi impossibile. E visto l’immobilismo del Parlamento, che continua a rimandare la discussione per una norma comune, le regioni hanno iniziato a discuterne da sé. La prima è stata l’Emilia-Romagna

 

Il tentativo della giunta guidata da Stefano Bonaccini è stato quello di uniformare l’accesso a una pratica che, seppur esistente, è difficile da applicare. Sforzo immediatamente picconato dal Governo Meloni che ha fatto ricorso contro la Regione. Tentativo che, in prima battuta, è stato definito dal governatore di regione come una «battaglia politica sulla pelle dei pazienti». Le due delibere della giunta emiliano-romagnola, approvate lo scorso febbraio, sostanzialmente istituiscono il Corec, ovvero il Comitato regionale per l’etica nella clinica, che ha il compito di fornire consulenza sui singoli casi dei pazienti che richiedono l’accesso alle pratiche per il fine vita. Nel secondo atto invece vengono stilate alcune istruzioni tecnico-operative per le aziende sanitarie del territorio e istituisce delle commissioni di valutazione, che si occupano di seguire il paziente durante tutto il percorso. Un percorso che potrebbe mettere fine alle sofferenze di tanti pazienti in 42 giorni, ma che la Destra sta tentando di ostacolare da mesi.