Dopo il #metoo il linguaggio ha subito una drastica ripulita. Ma mantenere l'ex presidente e il suo vice dentro certi steccati non è facile. Il suo staff è preoccupato perché in quello risiede buona parte delle possibilità di successo dei repubblicani

Marzo 2016. Durante un confronto televisivo con svariati candidati repubblicani per la Casa Bianca, la anchor del canale Fox News, Megyn Kelly, rivolge a Donald Trump una domanda che lui ritiene troppo cattiva. Solo poche ore dopo, durante un’intervista rilasciata alla Cnn, Trump sostiene che l’insolenza della Kelly poteva avere una sola spiegazione: «Le usciva il sangue anche dal naso. Era in preda al ciclo mestruale».

 

Pochi mesi più tardi, una volta conquistata la nomination, durante la campagna che lo vedeva opposto a Hillary Clinton, se ne andò indisturbato in tv su Abc per lanciare il suo cavallo di battaglia nei confronti della rivale: «Ma se Hillary non è in grado di soddisfare il marito Bill, come possiamo pensare che possa soddisfare in qualche modo gli americani?».

 

Quando Omarosa Manigult Newman, una delle sue ex più strette collaboratrici, ha scritto un libro per raccontare i suoi folli mesi dentro la Casa Bianca, Trump ha usato contro di lei l’artiglieria pesante: «Una povera cagna, stramba e pazzoide».

 

Sono trascorsi appena sette anni da queste performance e forse non molti ricordano che vivevamo dentro a un universo molto diverso, una mondo che è esploso e dissolto in pochi mesi a partire dall’ottobre del 2017 quando affiorarono le prime accuse di molestie sessuali nei confronti di Harvey Weinstein. Stava nascendo ufficialmente il fenomeno #metoo.

 

Agosto 2024. Sulla strada che conduce alla Casa Bianca, Trump si trova di fronte a un’altra donna, stavolta di colore e di origini asiatiche. Che non si tratterà di uno scontro elettorale all’indice dell’aplomb anglosassone è chiaro a tutti. Aggettivi come “miserabile”, “nauseante” “orribile” e “lunatica” fanno parte dell’arsenale con cui Trump attacca regolarmente Kamala Harris. La domanda che si fanno in molti - a cominciare dagli strateghi repubblicani - è questa: Trump potrebbe oggi rivolgersi a Kamala con lo stesso livore mostrato nei confronti di Hillary senza subire danno? Oggi, nel 2024, Donald sarebbe ancora in grado di scherzare sul ciclo mestruale di una giornalista?

 

Riuscire a rispondere compiutamente a questa domanda, potrebbe consentire di mettere le mani su un numero di elettori considerevole. Entrambe le parti lo sanno benissimo.

 

Non è un caso se nelle scorse settimane il team strategico repubblicano ha nominato undici donne di colore iscritte al partito, per sondare il terreno e scoprire quale sarebbe la loro reazione a seguito di un attacco diretto a Kamala, magari a sfondo sessista. Otto di esse, pur ribadendo un grande supporto a Trump, hanno confessato che tale strategia potrebbe mettere a disagio un “certo tipo di elettorato” femminile.

 

Non ci sono dubbi, la donna tipica che sostiene Trump, si scandalizza con poco, disprezza le colleghe democratiche e probabilmente approva ogni singola sillaba di scherno che esce dalla bocca di Trump. Ma qui non parliamo di accaniti supporter conservatori, qui parliamo di quei milioni di elettori (ed elettrici) che ancora non si sono fatti un’idea. E a far venire il mal di testa agli strateghi di Trump adesso arrivano anche alcuni dati interessanti.

 

Soltanto nella prima settimana di campagna presidenziale, Kamala Harris ha stabilito alcuni record. Il primo, ben 170.000 volontari iscritti per aiutarla fino a novembre. Il secondo, 200milioni di dollari di donazioni che - attenzione bene - arrivano nel 66% dei casi da persone che non avevano mai donato neppure un dollaro per la politica. Tra di loro una grandissima fetta di donne. Se un candidato è in grado di mobilitare i disillusi, se riesce a farli uscire di casa entro il 5 novembre per andarsi a registrare al voto, per l’avversario sono guai.

 

Mike Johnson, Speaker della Camera per i Repubblicani e mammasantissima del partito, ha detto che vuole farsi due chiacchiere in privato con Donald Trump con l’intento di stabilire alcune “linee guida” sul linguaggio da tenere. Certo, ammesso che Trump abbia voglia di dare retta a qualcuno.

 

P. Rae Easley, conservatrice e popolarissima conduttrice radiofonica nera di Chicago, avverte il suo candidato e spesso suo ospite: «Non c’è bisogno di attaccare qualcuno di sesso femminile cercando ogni volta di toglierle il vestito».

 

Dovrebbe ricordarsi di quando il Trump conduttore del reality “The Apprentice” dichiarava candidamente che ogni concorrente flirtava con lui, che è una cosa naturale flirtare con uno come lui, che le relazioni tra uomo e donna sono sempre a sfondo sessuale se no c’è qualcosa che non torna.

C’è poi un’altra trappola che i repubblicani devono assolutamente evitare ed è quella delle insinuazioni razziste. Ange-Marie Hanckock Alfaro, docente della università di South California ed esperta di politiche Afro-Americane è convinta che Trump sia molto scaltro nell’utilizzare la narrativa secondo cui i neri siano in media meno intelligenti dei bianchi americani «Se Kamala Harris sarà in grado di farlo uscire allo scoperto, Trump potrebbe pagare un prezzo in voti».

Ma i democratici fanno bene a non illudersi facilmente. Madgie Nicoles, Presidente della colazione Haitiani per Trump (in prevalenza di pelle nera) smonta la teoria secondo cui un linguaggio troppo diretto e misogino, possa danneggiare Donald. «I democratici sono bravissimi a fare le vittime. Sarà uno scontro disgustoso e Trump la spunterà».

I sondaggi indicano che seppure possibile, il trionfo di Trump è però ancora tutto da costruire. Ognuno sciorina la propria indagine, ma omette di spiegare che gli è stata commissionata con “specifici parametri” che alla fine finiscono col favorire il candidato amico. Propaganda.

 

La sicumera di Madgie Nicoles, ad esempio, è per niente condivisa da Whit Ayres, uno dei sondaggisti più fidati di Trump: «Andare allo scontro frontale con la Harris usando un linguaggio sessista sarebbe altamente stupido. Quando è accaduto, in un passato recente nei confronti di una giudice di colore, Trump ne ha pagato le conseguenze a livello legale e di popolarità. È una strategia che ti esplode in faccia. Trump ha così tanti motivi per demolire la Harris, stando alla larga dalle questioni fisiche o personali. Le posizioni su aborto, carburanti fossili e migranti sono i punti su cui Trump dovrà scavare il distacco decisivo. Diffondere retorica a mani basse comporta il rischio di alienare le elettrici e anche tutti coloro che non sono necessariamente di estrema destra».

 

Vedremo presto quanto Trump saprà attenersi al copione. Certo, il suo vice J.D. Vance, è partito piuttosto male, il suo passato recente è poco allineato con i guru del partito, dopo che sono riaffiorate sue dichiarazioni su Kamala Harris. Per Vance, Kamala sarebbe una “childless cat lady”, ovvero una signora senza figli, acida e risentita, che riversa la sua frustrazione sugli americani. Quante donne senza figli (e senza troppe convinzioni politiche) si sentiranno chiamate in causa? Vance è grande sostenitore di politiche dure nei confronti di chi non fa figli, persone alle quali dovrebbero essere inflitte tasse più alte.

 

Insomma, nella capacità di mantenere Trump (e Vance) dentro certi steccati del linguaggio retorico, risiede buona parte delle possibilità di successo dei repubblicani. Quando pochi giorni fa, di fronte a una platea di cristiani praticanti, Donald ha esortato tutti ad andare a votare perché fra quattro anni - se vince lui - non dovranno più farlo, gli strateghi repubblicani sono entrati nel panico. Ci manca solo insinuare nell’elettorato l’idea di volere trasformare l’America in una dittatura.

 

Parole, soltanto parole, è vero. Ma quando Donald si troverà di fronte Kamala per giocarsela davanti a milioni di americani, dovrà essere così bravo da far dimenticare che è lo stesso Donald Trump che l’ultima volta opposto a una donna, diceva che se incontri una femmina che ti piace devi subito metterle una mano in mezzo alle gambe. E God Bless America, ovviamente.