«La risposta a Israele arriverà. Anche l'attesa è parte della punizione» fa sapere Hezbollah. Mentre Putin chiede moderazione all'Iran e gli Usa puntano sulla diplomazia. Hamas nel frattempo nomina Sinwar nuovo capo politico: «è una dimostrazione della centralità di Gaza»

A una settimana dall’assassinio di Ismail Haniyeh a Teheran, la risposta dell’Asse della resistenza all’attacco israeliano dello scorso 31 luglio non è ancora arrivata. Ma ci sarà. E l’attesa è parte della punizione per Israele, fa sapere Hezbollah mentre il ministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri, in una telefonata con il suo omologo britannico, avrebbe chiarito che l’Iran non farà alcun compromesso per difendere la sua sicurezza nazionale, integrità territoriale e sovranità nazionale.

 

«Le azione aggressive e terroriste del regime sionista causano soltanto instabilità nella regione», ha spiegato il ministro iraniano, sottolineando come gli Stati europei abbiano sprecato la prima opportunità di diplomazia senza agire e non condannando un atto che viola la pace e la sicurezza internazionale. Secondo alcune fonti iraniane, però, il presidente russo Vladimir Putin avrebbe chiesto alla guida suprema l’ayatollah Ali Khamenei, di dare una risposta moderata all'uccisione del leader di Hamas, sconsigliando di attaccare i civili. E anche per quanto riporta il Washington Post, gli sforzi della diplomazia internazionale, in particolare di quella Usa, starebbero portando a risultati concreti nel frenare l’Iran: il timore di una risposta è ancora alto ma la Repubblica islamica potrebbe riconsiderare il suo piano di reazione «pesante».

 

Così mentre gli occhi del mondo restano fissi sul Medio Oriente, ad catturare ancora di più l'attenzione, c’è anche la nomina di Yahya Sinwar come nuovo capo politico di Hamas, al posto di Haniyeh: «Il Movimento di resistenza islamico Hamas annuncia la scelta del comandante Yahya Sinwar come capo dell'ufficio politico del movimento, succedendo al martire comandante Ismail Haniyeh, che [Dio] abbia pietà di lui», fa sapere l’organizzazione in una dichiarazione riportata da Al Jazeera.

 

Di Sinwar non si sa molto. Se non che, considerato da Israele come l’ideatore dell’operazione diluvio di Al Aqsa, l’attacco del 7 ottobre in Israele che ha portato a più di 1100 morti e oltre 200 prigionieri, è già il capo politico di Hamas a Gaza. Ha poco più di 60 anni e vivrebbe nascosto nei tunnel sotto la Striscia e fino ad ora, riuscendo a sfuggire all’esercito israeliano nonostante sia chiaramente un obiettivo delle Idf.

 

Sinwar è nato in un campo profughi di Gaza, a sud di Khan Younis. Ha passato più di 20 anni nelle carceri israeliane, dopo essere stato arrestato nell’1988 per l’uccisione di alcuni soldati e condannato a più ergastoli. È, però, riuscito a uscire grazie a uno scambio di prigionieri nel 2011. Nel 2017 è diventato il leader di Hamas nella Striscia di Gaza.

 

C’è chi lo ha definito «il macellaio di Khan Younis», chi invece «uno psicopatico astuto e sofisticato». Secondo gli analisti quello che lo differenzia dal suo predecessore Haniyeh che negli ultimi mesi aveva riconosciuto la necessità di trovare un accordo con Israele per favorire il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi, è l’intenzione di logorare l’esercito israeliano anche a costo di devastazione e morti di civili. Per Sinwar, così come per alcuni leader israeliani, tra cui il premier Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant, la Corte penale internazionale (CPI) ha richiesto un mandato di arresto per accuse di crimini di guerra commessi il 7 ottobre. La nomina, come spiega Nour Odeh, analista politico palestinese, ad Al Jazeera «pone Gaza al centro dell'attenzione, non solo degli eventi sul campo, ma certamente delle dinamiche del movimento di Hamas».

 

Nella Striscia, i morti registrati a causa dei bombardamenti israeliani sono quasi 40 mila, ma molto probabilmente sono tanti di più. I feriti quasi 100 mila. E come si capisce dai dati diffusi dalle Nazioni Unite la situazione è sempre più devastante anche per chi ancora sopravvive: manca il cibo oppure costa talmente tanto che in pochissimi possono ancora permetterselo, la malnutrizione tra i bambini è aumentata del 300 per cento. Mancano medicinali e strumenti essenziali per la cura. Mancano i medici, manca l’igiene tra le migliaia di sfollati costretti continuamente a spostarsi a causa degli ordini di evacuazione delle Idf. Così malattie e fame uccidono quasi quanto le bombe che cadono su scuole e ospedali.