Ci sono voluti anni per l’operazione del Mossad che ha decapitato il “Partito di Dio”. Ecco come è stato possibile far acquistare i cercapersone e farli esplodere simultaneamente

Passerà alla storia come Operazione Cavallo di Troia. Un nome in codice epico per un sabotaggio storico: la più sofisticata e devastante azione di cyberterrorismo. Il 17 e 18 settembre 2024 almeno 2600 cercapersone, oggetti ormai in disuso chiamati anche beeper, sono esplosi in contemporanea. È bastato l’invio di un messaggio numerico su ciascuno di questi terminali per attivare la mini carica nascosta sotto una piccola piastra al loro interno. Ha messo al tappeto, e svelato al mondo, l’intera rete di quadri e dirigenti di Hezbollah, la potente organizzazione sciita che domina il sud del Libano. È entrato nel cuore del nemico. Come Ulisse a Troia con il suo cavallo. Alla prima sequela di esplosioni, preceduta da un lungo fischio, come un disturbo elettronico, ne è seguita un’altra. Neanche 24 ore dopo sono saltati in aria i walkie talkie che garantivano le comunicazioni tra gli esponenti dell’organizzazione. Pochi milligrammi, tra 0,4 e 0,5, di tetranitrato di pentaeritrite, noto in campo militare con l’acronimo di Petn, hanno inflitto un colpo al Partito di Dio filoiraniano come non sono mai riusciti a fare decine di missili nei cosiddetti “omicidi mirati”. 

 

L’ultimo bilancio parla di 37 morti, 2300 feriti, duecento dei quali gravi. Chiunque indossasse beeper o ricetrasmittenti è stato investito da un’esplosione. Per strada, in auto, a casa, in ufficio. Mentre faceva la spesa, parlava con amici, lavorava, beveva un the al bar. Le immagini delle telecamere di sorveglianza mostravano scene drammatiche. La gente fuggiva, si urtava, cadeva, si rialzava, gridava alzando le mani al cielo. Puro panico. I cellulari sono stati disattivati, lanciati lontano, distrutti, calpestati. Il suono delle sirene ha lacerato tutto il giorno le strade della capitale, gli ospedali sono stati ingolfati di feriti. Molti hanno perso mani e braccia, altri la vista. Fatima, una bambina di 8 anni, è la vittima più giovane. Era in casa, ha sentito trillare il cercapersone del padre. Lo ha preso e mentre glielo portava è stata investita dall’esplosione. Poteva diventare una strage orrenda se uno di quei device fosse stato a bordo di un aereo. Le compagnie hanno subito sospeso i voli. Gli uffici governativi hanno vietato gli ingressi agli estranei e ordinato a tutti i dipendenti di disattivare i propri cellulari. C’è stata una corsa frenetica a liberarsi di quelle bombe vaganti, tra urla isteriche e ordini lanciati dalle moschee e dagli altoparlanti della città. Sono scoppiati incendi nei palazzi, sono andati a fuoco persino i panelli solari, le tv e radio nelle case. Il caos è durato tutto il 17 settembre. Ma è diventato vero terrore il giorno dopo quando sono esplosi anche i walkie talkie entrati in funzione al posto dei cellulari.

 

Il villaggio di Zaita nel Libano meridionale, colpito da Israele

 

Lo ha ammesso lo stesso Hassan Nasrallah nel suo discorso pronunciato due giorni dopo in tv da una località segreta. «Abbiamo subito un colpo duro e crudele», ha detto il leader spirituale del Partito di Dio. «Un attacco senza precedenti». La risposta è arrivata tra sabato e domenica scorsi. Almeno 400 missili e razzi sono stati lanciati verso il nord e il centro di Israele. Puntavano alla base aerea di Ramat David e all’azienda di difesa Rafael vicino a Gaza. Lo Stato ebraico ha risposto con altrettanti missili nel più grave scontro degli ultimi anni che prelude a una guerra più vasta. Si contano 270 morti. Almeno 150 mila persone, in Israele e Libano, hanno dovuto lasciare le proprie case vicine alla frontiera che è diventata terra di nessuno.

 

Hezbollah è stata ferita in profondità. L’effetto delle microcariche esplosive ha avuto un impatto soprattutto psicologico. E pratico. Ha messo a nudo la vulnerabilità della sicurezza dell’organizzazione, ha svelato l’identità di centinaia di dirigenti, affiliati, spie. L’intero comando militare è stato eliminato. Lo sviluppo tecnologico raggiunto da Israele grazie alla miriade di startup nate nell’ultimo decennio ha infiltrato l’apparato comunicativo dell’organizzazione. C’è una differenza abissale, ora evidente, tra l’eccellenza informatica e di Intelligenza Artificiale dello Stato ebraico e l’ingenuità di Hezbollah che ha lasciato postare video e immagini ai propri militanti sui loro smartphone senza considerare che aprivano mille strade alle intercettazioni. L’intelligence israeliana ha così ricostruito l’intera rete di sicurezza dei suoi nemici storici e l’ha colpita, annientandola, nel giro di quattro giorni. Con dei precedenti che avevano messo in allarme il Partito di Dio.

 

Il 30 luglio l’intelligence israeliana localizza il cellulare di Fouad Shukr, numero due di Hezbollah, e lo centra con un missile. Il giorno dopo viene ucciso a Teheran Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas: aveva appena partecipato ai funerali dell’allora presidente iraniano Ebrahim Raisi, perito nello schianto dell’elicottero su cui viaggiava. Haniyeh sarebbe stato ucciso da una bomba piazzata nella stanza super protetta dove era stato alloggiato. Una falla imbarazzante nella sicurezza dell’Iran. Quattro mesi prima, il primo aprile, l’ennesima salva di missili elimina Mohammad Reza Zahedi, comandante dei Pasdaran, colpendo la sede dell’ambasciata iraniana in Siria. Una violazione palese della sovranità di un paese che ospitava una sede diplomatica straniera. Infine, il 20 settembre scorso un raid dell’aviazione di Tsahal fa fuori Ibrahim Aqil, capo militare di Hezbollah e comandante di Al Radwan, il corpo d’élite dell’organizzazione. Sempre con due missili di precisione. Con lui muoiono altre 14 persone, tutti alti ufficiali del Partito di Dio. Senza più modo di comunicare si erano riuniti in una palazzina di 7 piani nel quartiere di Dahieh, roccaforte sciita a sud di Beirut. Si è rivelata una trappola. Nome di battaglia “Tashin”, che significa “Colui che migliora”, Aqil era ricercato da 40 anni perché considerato il regista dell’attentato all’ambasciata Usa in Libano nel 1983 (241 marines morti). Su di lui pendeva una taglia di 7 milioni di dollari.

 

Un vero stillicidio. Una sequenza quasi scientifica di uccisioni chirurgiche. Hezbollah, dicono adesso gli esperti, è come un libro aperto. Hassan Nasrallah lo aveva capito da mesi. Per questo nel febbraio scorso aveva ordinato ai suoi uomini di “gettare, distruggere, chiudere a chiave in un forziere, seppellire” tutti i cellulari in loro possesso. Tuttavia, la dipendenza da internet e la necessità di comunicare tra i miliziani avevano rallentato questo cambio radicale.

 

un uomo di Hezbollah con un walkie-talkie

 

Israele ha continuato imperterrita. Ha polverizzato Gaza, ha sterminato oltre 40 mila persone, la maggioranza civili, donne e bambini soprattutto. Ha agito anche a rischio di restare isolato e di annullare quella solidarietà che il mondo gli aveva manifestato all’indomani del pogrom del 7 ottobre. Tel Aviv non rivendica, né ammette la sua responsabilità. Non lo ha mai fatto. Tutto lascia pensare che “Cavallo di Troia” sia opera del Mossad, il servizio segreto estero israeliano. Fonti di intelligence americane e occidentali lo confermano. La carta conservata in almeno 20 anni di lavoro sotto copertura, da usare come jolly al momento opportuno. La serie di omicidi mirati ha spinto Hezbollah verso la trappola che l’intelligence israeliana aveva costruito pazientemente. E quando i cellulari sono stati sostituiti con i beeper e i walkie talkie, è scattata.

 

Se il premier Benjamin Netanyahu, prigioniero dei suoi due ministri di estrema destra che gli garantiscono una maggioranza alla Knesset, mostra confusione nell’azione politica, l’apparato militare della Stella di David si conferma solido e determinato. Il Mossad ha voluto riscattare la sua immagine di efficienza e determinazione offuscata dallo smacco subito con l’assalto di Hamas ai kibbutz a ridosso della Striscia. Ha lavorato in silenzio. Ha seguito la strada tracciata sin dal 2010. Con una semplice chiavetta Usb un agente infiltrato o assoldato in Iran aveva infettato il sistema informatico e distrutto l’operatività della centrale di Natanz dove il regime dei mullah stava portando a termine il suo programma nucleare per la costruzione di una bomba atomica. L’operazione si chiamò Stuxnet, dal malware inserito nella rete interna tramite un semplice laptop di servizio.

 

Quel sabotaggio nel cuore dell’Iran ha segnato l’avvio del piano “Giochi Olimpici”, una vasta campagna di attentati, furti e omicidi che puntavano a impedire la costruzione di un ordigno nucleare che minacciava l’esistenza di Israele. La mente del progetto è probabilmente Yossi Cohen, ex capo del Mossad, una vera leggenda nel mondo dello spionaggio. Le più spettacolari azioni sono avvenute sotto il suo comando. Nel 2018 la più audace. Una squadra di agenti entra in Iran, raggiunge un quartiere periferico di Teheran e forza l’ingresso di un anonimo magazzino. Le prove raccolte confermano si tratta di un locale dove vengono conservate montagne di documenti sul progetto Amad, quello dell’atomica. Documenti che il regime degli ayatollah aveva nascosto agli ispettori della Aiea, l’Agenzia dell’Onu per il controllo del nucleare. La squadra di spie squarcia con torce speciali decine di casseforti giganti che si trovano nel magazzino e in soli 6 ore e 29 minuti a disposizione, come in un classico film d’azione, porta via mezza tonnellate di segreti. Lascia il paese prima che scatti la caccia. Tra il materiale recuperato ci sono 50mila pagine e 163 compact disc di promemoria, video, piani.

 

Nel 2020 c’è il primo omicidio eccellente. Viene fatto fuori Mohsen Fakhrizadeh, il principale scienziato nucleare iraniano e viceministro della Difesa. La sua auto è centrata da migliaia di colpi sparati da una mitragliatrice piazzata sul vano posteriore di un furgone. Il meccanismo, assistito da Intelligenza artificiale, è attivato da remoto grazie a un sistema satellitare. Il mezzo esplode subito dopo per non lasciare tracce. Nel 2021 un “hack” israeliano infetta il server del ministero del Petrolio di Teheran. Viene interrotta per giorni la distribuzione di carburante in tutto il paese. Nel febbraio del 2022 sono fatti esplodere due impianti di gas iraniani. Il “Cavallo di Troia” è stato messo a punto. Può scattare.

 

Solo nelle ore successive alle migliaia di esplosioni si uniranno i fili di un piano che si dipana tra Taiwan, Ungheria, Bulgaria e Austria. I modelli dei cercapersone hanno il logo della Apollo Gold. Ma la società di Taipei nega di averli prodotti. Il suo amministratore Hsu Ching-Huang sostiene di aver stretto un accordo di franchising per l’uso del marchio con la Bac consulting che ha sede a Budapest. La società ha solo una stanza vuota di rappresentanza in una palazzina alla periferia della città. Sul portone è affisso un foglio formato A2 con sopra scritto il nome della compagnia. L’amministratrice è Cristiana Bársony-Arcidiacono, un’italiana di 49 anni nata a Catania. Rintracciata, precisa: sono solo una mediatrice commerciale, non ho prodotto quei beeper. Chi li ha ordinati?

 

La pista prosegue in Bulgaria dove si trova la Novta Ldt. Anche questa ha la sede in una palazzina alla periferia di Sofia dove appaiono altre decine di società. È una casella postale. L’amministratore è un certo José Rinson, 39 anni, norvegese di origini indiane. Ha fondato la sua azienda nel febbraio del 2022. Dai suoi conti sono passati alcuni bonifici per l’acquisto della partita di beeper. Bonifici che si sono persi in altri conti in banche mediorientali. Interrogato dalla polizia, il ceo della Gold Apollo ricorda di aver avuto un solo contatto, in videoconferenza, con un certo “Mr. Tom” per la cessione del marchio. Non lo ha più sentito. Viveva in Austria. Sono tutti spariti dai radar poche ore dopo l’avvio dell’operazione “Cavallo di Troia”. Come chi avrebbe acquistato le ricetrasmittenti della Icom giapponese. La quale dichiara di aver smesso la produzione dieci anni fa. Entrambe le partite degli strumenti elettronici sono state aperte, chiuse, armate con l’esplosivo durante il loro tortuoso viaggio verso Beirut. Un lavoro certosino. Due uomini e una donna. Tre società fittizie, di facciata. Tutti apparsi e dissolti come fantasmi. Attori di una spy story che ha dato il via all’ultima guerra tra Israele e Libano.