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10 ottobre, 2025Per ora, la tregua non è ancora pace per i palestinesi: delle case non restano che cumuli di macerie, i pronto soccorso sono al collasso e il cibo è ancora un lusso per molti
Dalla collina di Sderot, città israeliana al confine con la Striscia di Gaza, l’orizzonte è una distesa grigia di macerie. Un bombardamento scuote il terreno, sollevando dense colonne di fumo. «Avrebbe dovuto essere un cessate il fuoco», commenta Avi, un uomo di mezza età.
La salita per arrivare alla collina è piena di persone. Alcune famiglie israeliane osservano la Striscia, annichilita. C’è chi ha portato i binocoli per vedere meglio. Chi non li ha può pagarli cinque shekel — l’equivalente di 1,32 euro. Accanto, distributori automatici vendono patatine e bibite. Di fronte, Beit Hanoun, Jabalia, Beit Lahia completamente rase al suolo.

Da qui, la Striscia di Gaza dista pochi chilometri. In lontananza si intravede Gaza City tra fumo e palazzi sventrati, assediata da mesi. Nel cielo droni e i jet israeliani continuano a sorvolare l’area. I veicoli dell’Idf, tank e bulldozer, si ritirano lentamente, come previsto dagli accordi di cessate il fuoco firmati ieri tra Israele e Hamas. Il 53% del territorio resta ancora sotto controllo israeliano.
Dopo due anni di distruzione totale, Gaza e la sua gente provano a respirare. Da dentro la Striscia, Lina Ghassan Abu Zayed, 24 anni, racconta: «sono giorni pesanti, un miscuglio di sfinimento e forza silenziosa, eppure la gente cerca ancora di aggrapparsi a piccoli frammenti di speranza».

Nel frattempo, i primi camion con aiuti umanitari entrano nella Striscia attraverso il valico di Rafah, dal lato egiziano, rimasto chiuso per mesi. Portano acqua, medicinali, e cibo a una popolazione stremata. Oltre il 90% delle infrastrutture sanitarie è stato distrutto o gravemente danneggiato. La situazione umanitaria resta al collasso.
Loris De Filippi, operatore umanitario per l’Unicef, racconta: «I palestinesi vivono una speranza cauta, quasi trattenuta. Non è l’entusiasmo della pace, ma il respiro sospeso di chi ha imparato a diffidare delle tregue. Si ricordano degli accordi falliti, delle promesse mia mantenute, delle parole che si sono dissolte nel rumore dei droni. Eppure, dentro tutto questo, si sente un desiderio profondo di ricominciare».

«La situazione nei pronto soccorso è ancora drammatica ed estremamente caotica», aggiunge Filippi. «Bambini distesi a terra, spesso senza materassi, attaccati a flebo. Il reparto di neonatologie è al limite, con un tasso di occupazione superiore al 200%». Dopo le 12 di oggi, la popolazione ha cominciato a rimettersi in cammino verso Gaza City e il nord. Famiglie intere, spesso a piedi, percorrono le stesse strade da cui erano fuggite mesi fa. Per ora, la tregua non è ancora pace per chi vive a Gaza.

Foto di Jacopo Mocchi
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