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15 ottobre, 2025L'attivista, da vent'anni, risponde alla colonizzazione israeliana in Cisgiordania con la non violenza. "La vera pace non può essere costruita sulla disuguaglianza. Dobbiamo avere il nostro Stato"
Venti articoli e il riferimento a uno Stato palestinese compare solo una volta. Alla fine del piano di pace di Trump vengono citate “l’autodeterminazione e la statualità palestinese” scortate da un condizionale che rimanda ogni discussione a quando “si creeranno le condizioni”. Una dichiarazione di (non) intenti dove la grammatica sfocata della diplomazia racconta chiaramente che di riconoscimento non si parlerà.
«Il piano di Trump è un regalo ai criminali di guerra e all’occupazione», commenta Issa Amro, 45 anni di cui più di venti passati a denunciare gli abusi dei coloni. Issa è uno degli attivisti più conosciuti in Cisgiordania, ha fondato Youth Against Settlements, un’associazione che dal 2006 organizza proteste non violente contro gli insediamenti israeliani, e con lo Shooting Back Camera Project ha distribuito macchine fotografiche ai palestinesi per rispondere agli abusi documentandoli e riportandoli. «Seguiamo l’espansione delle colonie, aiutiamo i palestinesi sul piano legale e cerchiamo di testimoniare ai media quello che succede», continua Amro, che negli anni ha portato il racconto della realtà dei palestinesi fino al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.
«Quello della Casa Banca non è un progetto di pace ma piuttosto un tentativo di legittimare politicamente la condizione dei palestinesi, senza occuparsi delle cause profonde del conflitto. In Cisgiordania, Israele continua a lavorare per isolare le città le une dalle altre, ogni centro nei fatti è un’isola, qui li chiamiamo ghetti». L’isola di Amro è da sempre Hebron, 215mila abitanti sui monti della Giudea a Sud di Betlemme e una storia recente che racconta tutto il dramma della convivenza fra palestinesi ed israeliani. Qui nell’agosto del 1929, quando la città era ancora sotto il controllo del Mandato britannico, dei dimostranti arabi attaccarono la comunità ebraica locale uccidendo 67 persone mentre il 25 febbraio del 1994 Baruch Goldstein massacrò a colpi di fucile automatico 29 fedeli musulmani riuniti in preghiera alla moschea di Ibrahimi prima di essere linciato dalla folla. Oggi Hebron è frammentata dalle recinzioni, dai checkpoint e dai muri che regolano l’osmosi fra la città abitata dai palestinesi e gli insediamenti. Quello di Kiryat Arba, da cui veniva anche Goldstein, conta circa settemila persone, e in pieno centro storico un’occupazione partita nel 1979 dal vecchio ospedale ha creato un’enclave di poco meno di mille ebrei.
«I coloni non ti sfrattano fisicamente dalla tua terra, ti rendono impossibile restare, così che a un certo punto sia tu ad andartene. Tutti i servizi sono in mano a Israele, dall’elettricità alle merci che entrano ed escono. Gli agricoltori palestinesi non hanno abbastanza acqua per coltivare i propri campi», spiega Amro. Nel testo del piano della Casa Bianca i diritti dei palestinesi diventano “proposte d’investimento ponderate e idee entusiasmanti di sviluppo” che Amro parafrasa come «la legittimazione del controllo israeliano sulla terra, i confini e le risorse, barattata con incentivi economici». «Nella mia vita non ho mai vissuto come un cittadino con pari diritti. La vera pace non può essere costruita sulla disuguaglianza e le concessioni forzate, ma solo attraverso la giustizia, la libertà e il mutuo riconoscimento. Dobbiamo avere il nostro Stato».
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