Mondo
15 ottobre, 2025Nel suo libro in uscita e in un colloquio con L'Espresso, l'ex segretario generale dell'Alleanza Atlantica racconta l'attacco russo all'Ucraina: la delusione verso la Casa Bianca, il piano moscovita seguito da mesi, le forniture militari al governo di Kiev. E oggi dice: "Non vediamo alcuna minaccia imminente per l'Europa, ma Zelensky va aiutato per portare Vladimir a trattare"
Il sangue annunciò l’arrivo della guerra in Ucraina. Il 22 febbraio 2022, a due giorni dell’offensiva militare della Russia, il norvegese Jens Stoltenberg – allora segretario generale della Nato – capì che la pace in Europa era finita: "Mi avevano informato che gli aerei russi erano stati caricati con bombe e missili. Anche le navi da guerra erano in posizione al largo della costa ucraina vicino a Odessa. Poi abbiamo saputo che gli ospedali da campo russi erano stati riforniti di grandi quantità di sangue. Non è consuetudine portare sangue alle forze armate durante le esercitazioni. Il sangue è un prodotto deperibile". E di sangue in battaglia ce n’è bisogno per salvare giovani vite. Quelle che non si spezzano, e forse si riparano.
Lo si scorge davvero il segretario generale Stoltenberg nella sua auto di scorta, avvolto in un umido, scontato, anonimo pomeriggio invernale di Bruxelles, mentre riceve la chiamata di David Cattler, capo della divisione intelligence e sicurezza dell’Alleanza Atlantica. "Mercoledì 23 febbraio 2022, poco prima delle 18", annota nella sua agenda Stoltenberg e adesso lo riporta, con cura e nitore nordico, nel suo libro di memorie in uscita in Europa con il titolo suggestivo On my watch e in Italia con il titolo mediocre Nella stanza dei bottoni (peraltro incoerente con lo spirito dell’opera).
Cattler disse tutto senza dire nulla: ti devo parlare in privato. Stoltenberg entrò nel suo tempo sospeso, una decina di minuti fra il traffico del rientro dagli uffici e la sua abitazione belga, stava per accadere ciò che non voleva, ma finché non ascoltava il messaggio di Cattler era come se non potesse accadere. La sua attenzione, per ingannare l’orrenda realtà che si stava per manifestare, si pose su dettagli che aveva visto ogni giorno per anni, eppure in quel momento lì, nel suo tempo sospeso, ne fu catturato: le guardie con la mano alla fronte, i libri impilati, le foto di famiglia, le pareti così alte. Poi accadde. "Ho preso il telefono. Cattler ha risposto dopo pochi secondi. Segretario generale, voglio che sappia che la decisione è stata presa. È stato dato l’ordine di attaccare".
Vladimir Putin ha dato l’ordine di attaccare. E l’attacco avvenne all’alba del 24 febbraio 2022. Una volta accaduto è un dovere interrogarsi: si poteva evitare? Stoltenberg dissemina le sue risposte nel testo e in un punto in particolare che ora vi sveliamo, e però ricostruisce sempre con precisione quando si è intuita la gravità di ciò che stava per accadere. L’autore non è un politico in pensione che si è rifugiato sui fiordi a rammendare i suoi ricordi: 66 anni di Oslo, sposato con una diplomatica; figlio di Thorvald, ministro di Esteri e Difesa; figura di riferimento dei laburisti come il padre; due volte capo del governo; per un decennio segretario generale della Nato (1° ottobre 2014 – 1° ottobre 2024), Jens Stoltenberg è ancora in piena attività e da febbraio è il ministro delle Finanze. Doveva dirigere la Banca centrale norvegese, poi Joe Biden lo pregò di restare un altro anno a Bruxelles. Già, la guerra in Ucraina si poteva evitare? Un lembo di una risposta lo si recupera nel prologo di On my watch: "Ero un po' deluso dagli americani, che avevano suggerito una data in cui ritenevano che l’attacco sarebbe avvenuto. Nessuna guerra inizia prima che l’attacco sia effettivamente in corso. C’era almeno una possibilità teorica che il presidente Putin potesse cambiare idea".
In due periodi del 2021 – in primavera e in autunno – la Nato osservò le manovre di Mosca a ridosso dei confini ucraini, circa 45.000 soldati in aprile, il triplo a ottobre. Nel mezzo, ci fu una riunione di totale rottura fra Stoltenberg e la delegazione russa capitanata da Sergej Lavrov: "Perché sono seduto qui. Lei non ha opinioni proprie. Dice solo ciò che i suoi superiori le permettono di dire", il ministro degli Esteri di Putin era furente. A metà ottobre i servizi segreti dell’Alleanza Atlantica, ben istruiti dalla Cia, compresero le intenzioni di Putin: "L’ufficiale dell’intelligence mi ha mostrato una mappa delle forze russe. 'Come lei sa, segretario generale, abbiamo mantenuto una visione d’insieme, finora non siamo stati in grado di dire nulla di certo sulle intenzioni che motivano i russi'. Fece una breve pausa, alzò gli occhi dai suoi appunti e mi guardò con espressione seria. 'Oggi, tuttavia, conosciamo le intenzioni. Si tratta di invadere l’Ucraina'".
Nel libro si percepisce che quei mesi furono spesi a rafforzare le capacità militari di Kiev, come fu chiaro dall’annessione russa della Crimea e dalle occupazioni nel Donbass, ma probabilmente non furono spesi a sufficienza per allontanare la guerra. Per investire disperatamente sulla pace. Né gli Stati Uniti né l’Europa volevano morire per Kiev e il segretario generale Stoltenberg lo comunicò formalmente in una drammatica conversazione con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky il 28 febbraio 2022, mentre i palazzi del governo erano sotto assedio russo da quattro giorni. Zelensky sperava che la Nato imponesse una zona di interdizione al volo sui cieli dell’Ucraina e dunque che evitasse il massacro con razzi e caccia. Per la Nato era una richiesta inaccettabile, avrebbe significato un coinvolgimento diretto nella guerra.
"Ho ribadito a Zelensky che stavamo fornendo sostegno. Armi. Equipaggiamento. Denaro. Ho promesso di fare tutto il possibile per fornire ancora di più, il più rapidamente possibile". Zelensky insisteva: "Capisco. Solo che ci stanno bombardando. I civili stanno morendo, proprio ieri sono stati uccisi sedici bambini. Ci sono restrizioni legali che vi impediscono di chiudere lo spazio aereo?". Stoltenberg sentì addosso il macigno di quel rifiuto: "È stato doloroso. Mi sono preso qualche minuto con me stesso. Saremmo stati lì per gli ucraini, ma non eravamo disposti a morire per loro". Questa è la verità.
Stoltenberg ha scritto che ha temuto per la sopravvivenza della Nato e ha temuto specialmente le bizze di Donald Trump. Nel libro c’è una esilarante telefonata con Trump che, anziché concentrarsi sul ritiro dall’Afghanistan (che poi fu un disastro con Joe Biden alla Casa Bianca), si lamentò dei membri Nato cattivi pagatori, in particolare della Germania di Angela Merkel, degli alleati che non spendevano neanche il due per cento del Pil per la Difesa. Stoltenberg svela il segreto per tenere buono Trump: promettere più soldi dagli Europei per la Nato. Promettere, non garantire.
Il resoconto di Stoltenberg sui suoi mandati è logicamente un chiaroscuro con un nero più intenso sull’Ucraina: "Abbiamo attuato il più grande rafforzamento della difesa collettiva della Nato degli ultimi decenni, abbiamo fornito un sostegno senza precedenti all’Ucraina, la Svezia e la Finlandia sono diventate membri. I rimpianti? – dichiara a L’Espresso – Avremmo dovuto lasciare l’Afghanistan prima. La missione è diventata troppo ambiziosa. Quella che era una missione mirata di antiterrorismo è diventata una missione di ricostruzione nazionale. Gli alleati della Nato avrebbero anche dovuto fornire prima un maggiore sostegno all’Ucraina. Abbiamo fatto di più per aiutare l’Ucraina a rafforzare le sue capacità di combattimento dopo l'invasione russa della Crimea nel 2014, ma se avessimo fatto di più prima, avremmo potuto impedire l’invasione su larga scala nel 2022".
L’ex segretario generale benedice il riarmo europeo perché necessario, "è nel nostro interesse", e ribadisce che il supporto militare a Kiev è l’unico modo per far "cambiare i calcoli" a Putin, ma non crede che la Russia voglia aggredire la Nato: "Non vediamo alcuna minaccia militare imminente contro alcun alleato della Nato, ciò che vediamo – spiega a L’Espresso – è un’ampia gamma di azioni ostili da parte della Russia: sabotaggi, attacchi informatici, attività di intelligence e violazioni dello spazio aereo. Questo fa parte di un modello russo ben noto e dobbiamo rimanere vigili".
Nel suo libro Stoltenberg ripete con pedanteria che la Nato è uno strumento per prevenire, non per promuovere i conflitti, il verbo più usato è "fornire", un concetto banale, che oggi è rovesciato da diversi alleati europei della Nato e dalla gestione dell’olandese Mark Rutte. Il segretario generale Rutte assomiglia a un ruffiano esecutore dei capricci di Trump e si vanta spesso di come sta spremendo l’Europa agitando lo spettro di Mosca. In Germania non c’è più la parsimoniosa Merkel, e si nota.
Quanto alla pugnace Italia, una prece. Nel libro di Stoltenberg quasi non esiste. Ha incrociato cinque presidenti del Consiglio, ne menziona due di sfuggita (Matteo Renzi e Paolo Gentiloni), ne omette altri due (Giuseppe Conte e Giorgia Meloni), cita due frasi di Mario Draghi, una per l’umiliazione Nato in Afghanistan, una per scongiurare sanzioni al metano russo quando l’Italia ne era dipendente.
L’Italia per la Nato è sì, tante belle missioni, tante belle parole, tante belle caserme, ma soprattutto è una percentuale, spesso troppa bassa, ora in forte rialzo con altri 23 miliardi di euro nei prossimi 3 anni. Nel suo libro Stoltenberg preferisce ospitare Sallustio e i condottieri romani. Un ministro italiano commenta: "Ovvio, militarmente l’Italia dopo i romani non ha espresso nulla".
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
L'onda lunga - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 10 ottobre, è disponibile in edicola e in app