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16 ottobre, 2025Si prepara in gran silenzio una rivoluzione che promette di cambiare per sempre il nostro rapporto con lo spazio e con la Luna: una rivoluzione che ha i tratti riconoscibili della geopolitica made in Usa, in cui la frontiera della conquista si sposa con l’interesse strategico
Dagli uffici ovattati del Pentagono alle aule della Air University Press, nel cuore della base di Maxwell, in Alabama, si prepara in gran silenzio una rivoluzione che promette di cambiare per sempre il nostro rapporto con lo spazio — e con la Luna in particolare. Una rivoluzione che ha i tratti riconoscibili della geopolitica made in Usa, in cui la frontiera della conquista si sposa con l’interesse strategico, industriale ed economico. A muovere i fili — secondo fonti qualificate raccolte a Washington — è ancora una volta l’ex presidente Donald Trump, che da mesi, lontano dai riflettori, avrebbe riattivato le reti costruite durante il suo primo mandato in vista di un ritorno alla Casa Bianca nel 2025.
Il punto di svolta — confermano ambienti vicini al Dipartimento della Difesa — sarà un documento riservato ma già circolante tra appaltatori e consulenti militari che abbiamo potuto visionare in anteprima: si chiama “Manuale operativo per l’economia commerciale lunare”, e sarà pubblicato ufficialmente entro la fine del 2025. Il progetto coinvolge oltre 130 autori, provenienti dai colossi del complesso militare-industriale americano e Nato: Lockheed Martin, Northrop Grumman, SpaceX, Blue Origin. Il timbro è quello della Air University, ma la regia è militare: tra gli editori figurano ufficiali superiori della US Space Force.
Si tratta di una road map tecnico-strategica che definisce tempi, obiettivi e risorse per trasformare la Luna in un’estensione geopolitica degli interessi americani. Il piano si articola in quattro fasi, battezzate con nomi dal sapore pionieristico: “l’era della ricerca” (2025–2027), “l’era fondamentale” (2028–2030), “l’era industriale” (2031–2033) e infine “l’era reattiva”, a partire dal 2034. Una progressione temporale che porta con sé obiettivi concreti: infrastrutture, comunicazioni, trasporti, approvvigionamento energetico, estrazione mineraria e — incredibile a dirsi — anche una ferrovia lunare.
L’obiettivo finale è chiaro: controllare le risorse lunari, in particolare gli elementi rari e i metalli preziosi, oggi al centro della nuova economia globale. “Le risorse estratte dalla Luna — avrebbe detto in una riunione a porte chiuse un importante generale di brigata — saranno fondamentali per sostenere la crescita dell’economia terrestre”. Ma la domanda, ovviamente, è: quale economia? E sotto il controllo di chi?
Una fonte diplomatica europea, interpellata in forma riservata, è netta: «Si tratta di una colonizzazione mascherata. Gli Stati Uniti hanno trovato il modo di aggirare il Trattato sullo spazio del 1967, sfruttando un vuoto normativo: il divieto riguarda le nazioni, non le imprese private». In effetti, il meccanismo ideato è sottile ma efficace: a gestire le attività lunari non sarà lo Stato americano, ma una cooperativa privata — formalmente indipendente — che svolgerà funzioni tipicamente sovrane: assegnare concessioni, regolare gli accessi, definire i diritti di proprietà e persino amministrare la giustizia in forma di arbitrato.
Il cuore legale dell’operazione è rappresentato dagli Accordi Artemis, firmati nel 2020 sotto l’amministrazione Trump e poi rilanciati da Joe Biden. Il documento, criticato da più parti come un’imposizione unilaterale degli USA agli alleati, si pone come un’alternativa al quadro Onu, ormai considerato “obsoleto” dai redattori del Manuale. Russia e Cina si sono rifiutate di firmare: il messaggio è chiaro, e il confronto è già in atto — sia sul piano simbolico, sia su quello tecnologico, come dimostrano le accelerazioni del programma cinese Chang’e.
Non meno significativa è l’idea — contenuta nel documento — di istituire una borsa merci lunare, che sarà regolata dalla Commodity Futures Trading Commission (CFTC) americana. Un dettaglio tecnico, forse, ma centrale: chi controlla le regole del mercato, controlla l’intero ecosistema economico. E lo stesso vale per le assicurazioni spaziali: il documento ammette che i costi per le missioni lunari saranno “esponenzialmente più alti” rispetto a quelli orbitali. La soluzione proposta? Un mercato assicurativo controllato da operatori statunitensi. Se non piaci a Washington, non voli.
A Capitol Hill, ufficialmente, nessuno commenta. Ma fonti interne al Partito repubblicano confermano che l’asse Trump-industria spaziale è tutt’altro che tramontato. Anzi: il ritorno sulla scena del tycoon — attualmente impegnato nella campagna elettorale — coincide con una rinnovata attenzione agli investimenti militari e tecnologici nello spazio. L’ex presidente ha già dichiarato che la Space Force sarà centrale nella sua visione strategica del XXI secolo.
Sullo sfondo resta il diritto internazionale, che rischia di essere aggirato con strumenti giuridici creativi ma sostanzialmente unilaterali. A Ginevra e New York, nelle sale della diplomazia Onu, qualcuno comincia a preoccuparsi. “La Luna è patrimonio dell’umanità” recita una risoluzione approvata nel 1979 e ignorata dai principali attori globali. Ma ora, tra ferrovia lunare, miniere e borse merci regolamentate dal Tesoro Usa, quella frase rischia di diventare poco più di una poesia.
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