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21 ottobre, 2025La lotta ai cartelli della droga con l’affondamento delle barche rientra in un disegno strategico che punta a un cambio di leadership nel Paese. Più di Trump lo vuole Rubio
Immersa nell’oscurità della notte, la lancia sfreccia sul mare a oltre 40 nodi. È lunga 11 metri ed è spinta da 4 potenti motori fuoribordo. A bordo ci sono 11 persone. Sono salpate da Arismendi, piccolo comune della penisola di Paria, stato di Sucre, Nord del Venezuela. Puntano su Trinidad e Tobago, le due isole che distano solo una sessantina di miglia. Quando si trova a metà percorso, la barca viene inquadrata dall’occhio di un drone che volteggia da ore come un falco su quel tratto del Mar dei Caraibi. Chi sta a bordo non si accorge di nulla. Domina il rombo dei motori. Pochi secondi e un missile centra il suo bersaglio. Lo polverizza. Torna il silenzio. Nessun grido, nessun lamento, niente fiamme. A bordo sono tutti morti.
La notizia fa il giro del mondo. La diffonde Donald Trump sul suo social Truth. Pubblica il video. Il presidente commenta: «L’equipaggio è stato positivamente identificato come narcoterrorista del Tren de Aragua. È un’organizzazione terroristica straniera designata, che opera sotto il controllo di Nicolás Maduro, responsabile di omicidi di massa, traffico di droga, traffico sessuale e atti di violenza e terrore negli Usa». Una netta rivendicazione. Due settimane dopo, il 15 settembre, una seconda barca viene colpita sempre in quel tratto di mare; ancora un missile centra una lancia il 19 settembre e un quarto target è raggiunto il 3 ottobre. In un mese si contano 19 morti.
The Donald si assume la responsabilità di tutto. Trasportavano droga e noi, ammonisce, siamo qui per evitare che raggiunga le nostre coste. Nella sua lotta al narcotraffico ha mobilitato una vera flottiglia militare. Otto navi della Marina: un incrociatore missilistico, quattro navi anfibie, tre cacciatorpedinieri, persino un sottomarino nucleare. Quattro aerei P8 Poseidon volteggiano incessanti con compiti di ricognizione. Il Pentagono, ribattezzato ministero della Guerra, ha spedito sul posto 4 mila soldati e marines.
Ma è solo lotta alla droga o piuttosto una scusa per puntare alla conquista del Venezuela e al suo petrolio? L’invasione di Panama del 1989 è un fantasma che torna ad aleggiare. Fu decisa per farla finita con il presidente Manuel Noriega, accusato di traffico di droga. Eppure, erano stati proprio gli Usa e la Cia a metterlo sul trono.
La serie di attacchi, compiuti in acque internazionali ma in palese violazione del diritto del mare, sono una sorpresa e restano misteriosi. Soprattutto sulla reale composizione degli equipaggi, su cosa avessero a bordo e dove fossero diretti. Indicato come il mandante di quelle spedizioni, Maduro nega qualsiasi coinvolgimento. È sdegnato ma anche perplesso. Adesso è un criminale, il capo del narcotraffico. La taglia su di lui da 20 milioni di dollari è salita a 50.
Cosa è accaduto? Solo nove mesi prima, a gennaio di quest’anno, il leader chavista aveva fatto postare sui social la foto che lo ritraeva assieme a Richard Grenell, inviato speciale di Trump per l’America Latina. Entrambi sorridevano davanti alla teca di vetro che custodisce la spada di Simón Bolívar, El Libertadór. Il presidente del Venezuela gongolava per quella visita che sanciva il nuovo corso nei rapporti con gli Usa. Quattro americani arrestati erano stati finalmente liberati e consegnati all’emissario di Trump; il caudillo di Caracas aveva accettato di accogliere i primi duecento venezuelani espulsi dagli Stati Uniti che rischiavano di essere deportati nel grande lager di Bukele in Salvador. Il clima, pensava Maduro, era cambiato. I gringos non erano più i nemici di sempre. Con Trump, uomo deciso e abile negoziatore, si poteva ragionare.
Ma il delfino di Chávez non immaginava cosa bolliva in pentola. A fine luglio, sei mesi dopo, il tycoon avrebbe firmato un decreto rimasto a lungo segreto. Si trattava di una direttiva al Pentagono che autorizzava l’uso della forza contro un gruppo di Cartelli dei narcos che la sua amministrazione equiparava a organizzazioni terroristiche. Era il passo più aggressivo compiuto dal promotore del Maga nella sua ossessiva campagna contro i narcos. A finire nel mirino erano stati il Tren de Aragua, nato e cresciuto in Venezuela ma con tentacoli in tutta l’America Latina e il Cartello di Sinaloa, creato dal Chapo Guzmán, adesso diretto da 2 dei quattro figli, considerati i re del fentanyl esportato in tutto il mondo.
Ad agosto il dipartimento del Tesoro compie un passo in più: inserisce nella lista nera del Fto, le organizzazioni terroristiche straniere, anche il Cartel de Los Soles, sempre venezuelano, così chiamato per i soli che fregiano le spalline degli alti ufficiali dell’esercito bolivariano. È soprattutto Marco Rubio, segretario di Stato e consigliere per la Sicurezza nazionale, a scagliarsi contro il presidente del Venezuela. Il suo è un accanimento misto a rancore che risale nel tempo. Figlio di genitori fuggiti da Cuba con l’arrivo di Fidel e i suoi barbudos, il braccio destro di Trump considera «nemici della democrazia» l’isola caraibica assieme a Nicaragua e, appunto, Venezuela. «Maduro è una minaccia imminente», ribadisce più volte. «È ricercato della giustizia americana, è il capo di un’organizzazione terroristica criminale che ha preso il controllo di un Paese». Non si tratta di una giravolta, di un cambio repentino nella strategia di Trump, anche se siamo abituati ai suoi continui annunci contraddittori. L’offensiva nasce dal maggio scorso. Rubio incontra cinque esponenti dell’opposizione venezuelana fuggiti in gran segreto negli Usa. Insieme avevano elaborato un piano per le prime 100 ore dalla cacciata di Maduro: prevedeva il passaggio dei poteri a Edmundo González, dichiarato vincitore alle ultime elezioni, oggi in esilio in Spagna. Si parla a lungo di María Corina Machado, la leader dell’opposizione da mesi costretta a nascondersi perché braccata dagli servizi segreti bolivariani. Il suo consigliere Pedro Urruchurtu insiste nell’uso della forza. «Stiamo parlando di un’operazione per smantellare una struttura criminale – spiega a Marco Rubio – e questo include una serie di azioni e strumenti. Senza la forza non posiamo sconfiggere un regime come quello che stiamo affrontando».
The Donald è perplesso. Non vuole infognarsi in un’altra guerra mentre sta spegnendo quelle che divampano in Medio Oriente e in Ucraina. Vuole essere ricordato come l’uomo della pace. A Caracas guardano con preoccupazione cosa sta accadendo a Washington. E nel Mar dei Caraibi. Protestano quando viene colpita e distrutta la prima lancia. Lo fanno di nuovo con la seconda e la terza imbarcazione. Ma hanno capito il messaggio. La musica è cambiata, c’è il rischio di un’invasione. Maduro mobilita tutte le sue forze armate, le disloca lungo il confine con la Colombia e schiera i lanciamissili sulle coste del Nord. Chiama a raccolta le milizie popolari, inizia ad addestrare 4,5 milioni di uomini e donne. Annuncia: «Nessun impero toccherà il sacro ruolo del Venezuela».
Le attenzioni si concentrano su Sucre, una piccola comunità di pescatori colpita duramente dalla crisi economica che attanaglia il Venezuela. È da qui che partono le lance cariche di droga, di armi e di uomini. Per i residenti di Arismendi e di altri comuni costieri come Valdez, Mariño e Cajigal è normale quel flusso di carichi che arriva via terra e viene caricato sulle barche prima di dirigersi verso i Caraibi. Con il crollo del turismo e del lavoro, pescatori e piloti delle lance si sono tuffati sul narcotraffico. Conoscono il mare e le rotte, sono molto richiesti e ben pagati. Ma sono loro stessi a dubitare che la lancia centrata dal drone il 2 settembre con gli 11 morti a bordo fosse del Tren Aragua. Insight Crime, un sito molto informato su droga e criminalità, ha spedito sul posto i suoi giornalisti. Le fonti contattate sostengono che l’importanza strategica acquistata da Sucre ha attirato le attenzioni di Maduro. Il governo e i suoi apparati repressivi hanno iniziato a colpire le bande locali, con arresti e sequestri. Ci sono state sparatorie e “massacri” rimasti senza colpevoli, raccontano i testimoni locali. Qualcuno aveva rubato una partita ed è scattata la ritorsione.
Adesso è il governo che controlla la zona. Anzi, rende note le continue operazioni antidroga che mette a segno per dimostrare la sua estraneità al traffico. Ma resta vigile. Il leader chavista ha scritto una lunga lettera a Trump per tentare di riallacciare un dialogo. È stata ignorata. Da Oslo è arrivato l’ultimo affondo: l’Accademia di Norvegia ha assegnato il Premio Nobel per la Pace 2025 proprio alla sua acerrima nemica María Carina Machado.

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