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22 ottobre, 2025Giacomo Mameli racconta di “Pedrito” un emigrante sardo finito nel girone infernale del regime negli anni ’50. E la sua storia non è poi diversa da quella di Alberto Trentini
In fondo, a pagina 193, c’è un post scriptum che comincia così: «Ritengo un dovere morale, in un libro che racconta le violenze atroci di ieri in Venezuela, ricordare anche le violenze, altrettanto atroci, di oggi». Giacomo Mameli, l’autore di “Pedrito” (sottotitolo: “Lamette a Caracas, fiori a Orgosolo”) si riferisce alla sconcertante vicenda di Alberto Trentini. È l’operatore umanitario della Ong Humanity & Inclusion sequestrato ormai quasi un anno fa dalla polizia venezuelana e sbattuto in cella senza che siano state formulate accuse nei suoi confronti. Nel carcere, che si chiama El Rodeo I, le condizioni sono descritte come disumane. «Varie Ong e le stesse Nazioni Unite», scrive sul Domani Lucia Antista, «hanno documentato cosa accade all’interno tra privazione del cibo, detenuti costretti a fare i bisogni nello stesso spazio in cui dormono e mangiano, acqua razionata e restrizioni alle visite familiari». La madre di Trentini non è riuscita a scambiare con il figlio che poche parole soltanto dopo quasi sette mesi.
L’ambasciatore italiano ha invece avuto un colloquio con il cooperante (e con un altro cittadino italiano rinchiuso nel carcere venezuelano, l’imprenditore torinese Mario Burlò) a fine settembre, quando erano già trascorsi ben 312 giorni dall’arresto. Trecentododici giorni a testimoniare l’inerzia delle nostre autorità, smosse evidentemente più dalle pressioni dell’opinione pubblica che da una situazione oggettivamente inaccettabile da ogni punto di vista. La situazione di un cittadino italiano incarcerato da quasi un anno che non può difendersi dalle accuse perché le accuse non sono formalizzate.
Così, per quanto enormi possano risultare le differenze fra il 2025 e gli anni Cinquanta del secolo scorso anche in Venezuela, la storia di Alberto Trentini ha perfino tratti comuni con quella di Pietro «Pedrito» Demontis. Una storia vera di lavoro, impegno, sofferenze, violenze, privazioni, e ritorno. Che Giacomo Mameli ripercorre nel suo libro con la fedeltà del cronista e il ritmo incalzante del narratore. La storia di vita di tanti italiani scappati verso l’ignoto pur di uscire dall’abisso della povertà.
Classe 1931, Pedrito è partito da Perdasdefogu, nel cuore della Sardegna, per ritrovarsi a Caracas a fabbricare scarpe per l’impresetta di un siciliano. Sono gli anni dell’emigrazione italiana di massa, soprattutto dal profondo Sud e dalle isole, a cercare fortuna, a fare soldi. Brasile, Argentina, Uruguay, Venezuela. Le nuove terre promesse. Racconta Pedrito: «Comunque andassero le cose, il Venezuela luccicava di denari, produceva petrolio come nessun altro Paese al mondo. Sentivo dire: Viva el petròleo, los bolìvares, abajo la democracia»
Già, la democrazia. La democrazia è solo un intralcio, in una giungla dove non c’è altra legge che fare soldi, e farli in fretta. Per quello è assai meglio la dittatura, e in Venezuela c’è la dittatura. Con cui Pedrito fa ben presto la conoscenza. Un giorno si fa convincere da un amico «che mi era diventato fratello», Vicente, che però tutti lo chiamavano più Zapatero che Vicente, ad accompagnarlo a comprare sigarette di contrabbando. Ma sulla via del ritorno incappano nel coprifuoco, li arrestano e inizia il calvario. Vanno «da una galera all’altra, tutte occupate, grandi e piccole strapiene di arrestati». Finché arrivano nell’unico carcere che li accetta. «Acqua non ce n’era nel cortile diventato lager. Né da bere, né da lavarsi. Una sola latrina per centinaia di dannati. Era l’inferno di un Paese con le dittature a lustri o ad anni alterni che duravano da tanto. Soltanto i nomi cambiavano ma sempre dittature erano».
Ma «inferno» forse non è il termine adatto. Nel carcere è peggio dell’inferno. I racconti delle atrocità, dice Pedrito, «sono difficili da immaginare». Il meglio che possa capitare è di essere torturati. Un giorno si sparge la notizia che un professore universitario, evidentemente un detenuto politico, è morto «La Seguridad gli ha tagliato la giugulare con una lametta». Perché ci sono anche i detenuti politici, quelli di “Accion democratica” di Romolo Betancourt, spazzata via dalla brutale dittatura di Perez Jimenez, che ha inaugurato le stagioni dell’orrore.
Il giovane calzolaio sardo è precipitato nell’incubo senza alcuna colpa. Rischia di andare incontro al plotone d’esecuzione come chi si ribella al dittatore, ma ecco il colpo di fortuna. C’è Miguel, incaricato di distribuire la brodaglia chiamata cena nel cortile del lager. «Si avvicina e mi dice sottovoce: appena mi vedi al portone, alzerò la mano… vi faccio scappare, non fiatate con nessuno». Ecco il cenno, il cancello si apre, e Pedrito con i suoi compagni e il cuore in gola è fuori dall’incubo.
Il ricordo di quei giorni nel lager di Caracas non lo abbandonerà mai più. Dal Venezuela alla Sardegna, e di nuovo al Venezuela, dove la maledizione dei regimi totalitari, delle violenze, delle sopraffazioni e della negazione delle libertà collettive e individuali non ha fine. Per questo, leggendo il libro di Mameli, non ti abbandona il pensiero dei convitati di pietra come Alberto Trentini, rinchiuso in un carcere da un anno alla mercé degli sgherri di Maduro. Un dittatore al comando di un Paese che a dispetto del petrolio resta affogato in quello che in un’altra epoca si definiva il Terzo mondo. Dice tutto, in un colloquio con Massimo, il figlio di Pedrito, che chiude il libro, l’analisi di Luz Mely Reyes, una giornalista venezuelana che lavora negli Stati Uniti: «La nuova élite politica ed economica, legata al governo, gode di tutti i benefici ma la gente dei quartieri poveri può appena mandare i figli a scuola. Gli indicatori mostrano una regressione dell’economia simile a quella degli anni ’40. Secondo gli esperti, il Paese ha sofferto una caduta che non ha precedenti in alcun altro Paese latino americano e addirittura nel mondo, se si escludono i Paesi in guerra».
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