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17 novembre, 2025Insieme ai dissidenti nelle fosse comuni, per decenni sono rimaste nascoste anche la giustizia per le vittime e la memoria delle violenze del regime. Con cui il Paese non riesce a fare i conti
Narón, Galizia, novembre 2024. In un angolo del cimitero di Val, una squadra di archeologi e forensi dell’Università di Santiago de Compostela scava da settimane. Quando raggiungono la profondità giusta, emergono ossa: una dopo l’altra, cinquantuno corpi. Tutti fucilati o giustiziati clandestinamente quasi novant’anni fa. Tutte vittime della macchina repressiva di Francisco Franco, il dittatore spagnolo, morto il 20 novembre 1975. Le prime analisi sui quei resti sono inequivocabili: molte ossa craniche presentano fratture nette, compatibili con colpi d’arma da fuoco o percosse. La maggior parte di quelle spoglie appartiene a militari che nel 1936 si opposero al golpe franchista. Accanto a loro, civili: contadini, insegnanti, sindacalisti, catturati e uccisi senza processo. Per le famiglie che li hanno cercati per generazioni, è una svolta. Cinquant’anni dopo la morte di Francisco Franco, la Spagna riapre il capitolo più scomodo della sua storia.
Il governo guidato dal socialista Pedro Sánchez ha messo in campo un vasto programma di oltre cento iniziative distribuite lungo tutto l’anno, raccolte sotto il titolo “España en Libertad” (Spagna in libertà). L’obiettivo dichiarato: celebrare mezzo secolo di democrazia e riaffermare i valori antifascisti su cui venne rifondato lo Stato spagnolo moderno. Il piano, coordinato da un comitato scientifico di storici e accademici, ha puntato a mettere al centro della sfera pubblica ciò che per decenni è rimasto ai margini: la memoria collettiva del franchismo. Conferenze, mostre, spettacoli, tavole rotonde, attività educative nelle scuole e iniziative culturali nei musei e negli spazi pubblici hanno scandito il 2025. Dietro la retorica ufficiale, però, si è consumato uno scontro politico profondo. La commemorazione dei 50 anni della morte del dittatore ha riaperto fratture mai del tutto ricomposte. Il Partito Popolare (la principale formazione spagnola di centrodestra) e Vox (l’estrema destra sostenuta anche dalla premier italiana Giorgia Meloni) hanno accusato il governo di «riaprire vecchie ferite» e di strumentalizzare la memoria per fini politici. La destra parla di «campagna ideologica», la sinistra rivendica il diritto-dovere di affrontare il passato. Emblematico il gesto della Corona: il re Felipe VI ha scelto di non partecipare all’evento inaugurale dell’8 gennaio scorso al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía a Madrid, alla presenza del premier Sánchez e del governo al completo. Un’assenza che ha pesato, fotografando la delicatezza del momento. Per la Spagna, questo anniversario, è un promemoria: mezzo secolo dopo la fine della dittatura, il passato non è sepolto.
Tra il 1939 e il 1975, la dittatura di Franco ha provocato oltre 110mila desaparecidos. Un numero superiore a quello registrato in molte dittature latinoamericane. Secondo le Nazioni Unite, la Spagna è oggi il Paese dell’Europa occidentale con il maggior numero di fosse comuni non ancora identificate. La transizione alla democrazia del 1978 non ha fatto luce sui crimini del regime. Nessuna commissione verità, nessuna epurazione sistematica. Solo silenzio e amnistia. «Franco è morto nel suo letto. Non c’è stata una rottura netta con il passato», spiega all’Espresso Miguel Ángel del Arco Blanco, docente di storia contemporanea all’Università di Granada. «La Spagna è diventata una democrazia con l’approvazione della Costituzione del 1978. Ma si è trattato di una rottura negoziata tra le élite del regime e l’opposizione democratica, con il popolo spagnolo mobilitato nelle strade per imporre il cambiamento. Molti alti funzionari, militari e giudici franchisti sono rimasti nei ranghi dello Stato democratico. E questo ha reso impossibile chiedere responsabilità dirette», ricorda l’esperto di guerra civile spagnola, franchismo e fascismo. Le prime vere politiche della memoria sono arrivate tardi: nel 2007 con la Legge sulla Memoria Storica, poi nel 2021 con quella sulla Memoria Democratica, voluta dai governi progressisti. Con quest’ultima norma, nel 2022, l’esecutivo Sánchez ha stanziato 14 milioni di euro per finanziare esumazioni, rimuovere simboli franchisti e ampliare la definizione di vittima. Ma i risultati sono parziali. «Molte misure restano sulla carta. La banca statale del DNA, per esempio, non è mai stata creata», denunciano all’Espresso Iván Aparicio García, Sherezade Benito Menéndez e Blanca Villar Mateo, membri di Recuerdo y Dignidad, un’associazione nata nel 2005 per cercare, su richiesta delle famiglie, le fosse comuni. Il loro è un lavoro lungo e doloroso, grazie al quale, una volta finanziate le ricerche, identificano e restituiscono i resti delle persone scomparse, creando Luoghi della Memoria in loco «per ricordare le vittime e garantire che questi crimini non vengano dimenticati». Il problema è che «la ricerca dei corpi e la rimozione dei simboli franchisti continuano a gravare quasi interamente sulle associazioni civiche, spesso con fondi insufficienti». L’applicazione delle due leggi sulla memoria è frammentata anche per ragioni istituzionali. Meno di due anni dopo la morte di Francisco Franco, nel 1977, la giovane democrazia spagnola nasce su un compromesso: nessuno sarà giudicato per i crimini della dittatura. Con la Legge di Amnistia, il governo di Adolfo Suárez, primo premier democratico ma ex uomo di apparato del regime franchista, cancella con un colpo di penna i reati politici degli oppositori antifascisti, ma anche i delitti più gravi compiuti dai carnefici del franchismo. Torturatori, agenti della polizia segreta, alti ufficiali dell’esercito, giudici dei tribunali speciali: molti restano ai loro posti. Nessuna epurazione, nessun processo, nessuna verità giudiziaria. L’amnistia, presentata come uno strumento di pacificazione, diventa uno scudo d’impunità per l’apparato repressivo del regime. Un anno dopo, nel 1978, la cosiddetta Legge di Immunità chiude il cerchio. Con quella norma, lo Stato mette al riparo da qualsiasi azione legale i responsabili delle violazioni dei diritti umani durante la dittatura.
Le vittime restano senza giustizia, i colpevoli senza nome né volto. Oggi quelle norme impediscono di processare i responsabili di quei crimini di Stato. Anche quando vengono scoperte nuove fosse comuni, le indagini si aprono per poi finire archiviate. «L’impunità è tuttora sistemica», conferma lo storico dell’università di Granata, del Arco Blanco. «Non è solo una questione legale. È culturale, politica e sociale». In Spagna la memoria del franchismo resta terreno di scontro politico e culturale. Non esiste una narrazione condivisa del passato. Monumenti, targhe e nomi di vie dedicati a figure franchiste sopravvivono in molte città. Nelle scuole, l’insegnamento della memoria democratica fatica a radicarsi. «Ci sono pressioni e resistenze da parte di istituzioni e famiglie», ricordano i membri dell’associazione Recuerdo y Dignidad. In assenza di una piena assunzione di responsabilità da parte dello Stato, a mantenere viva la memoria sono proprio le associazioni come la loro. Scavano fosse, identificano corpi, restituiscono nomi. Creano luoghi della memoria per impedire che le vittime siano dimenticate. «Non vogliamo vendetta, ma verità e riconoscimento», assicurano i volontari di Recuerdo y Dignidad. «Perché non c’è democrazia piena finché i crimini del passato restano sepolti».

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