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23 dicembre, 2025Il nuovo rapporto Usa attacca l’Ue, definita perdente e masochista. Il rischio, segnalato anche dal Quirinale, è di allontanarsi dagli alleati europei per non irritare Donald Trump
Socio fondatore da oltre settant’anni della nuova Europa post-bellica, alleato degli Stati Uniti anche con il compito di garantire il fianco Sud della Nato, guidato negli ultimi anni da un governo di destra-centro che dopo le ultime elezioni presidenziali americane si è subito trovato in forte sintonia con Trump, ma con la preoccupazione di non incrinare il rapporto con l’Ue e di non tradire Zelensky, ora il nostro Paese è particolarmente investito dalla scossa del tycoon: l’attacco al Vecchio Continente accompagnato quasi dall’annuncio di un divorzio. Se a un certo punto l’Italia fosse obbligata a schierarsi da una parte o dall’altra, sempre che questo possa essere l’epilogo delle nuove tensioni transatlantiche almeno durante la presidenza Trump, quale sarebbe la scelta?
Il Rapporto Usa sulla Sicurezza, con parole senza precedenti contro un’Europa giudicata non solo perdente ma anche masochista per il presunto tradimento dei propri principi costitutivi, è stato diffuso non a caso nel pieno della trattativa sull’Ucraina che Washington aveva aperto rivolgendosi solo a Mosca; e la bozza Witkoff-Dmetriev a sua volta ha fatto il giro del mondo, nel momento peggiore di Zelensky, alle prese non solo con l’avanzata russa ma anche con l’emergenza morale provocata dalla corruzione che ha raggiunto i vertici dello Stato. Con Zelensky, nell’incontro avvenuto a Palazzo Chigi agli inizi di dicembre, Meloni ha avuto parole sia di sostegno sia di invito a non chiedere troppo.
In una parte della maggioranza e in una parte dell’opposizione, il putinismo si è saldato con il trumpismo. L’invito a lasciare le trattative al capo della Casa Bianca con un passo indietro dell’Europa, che è arrivato da Conte, ha ricalcato la posizione di Salvini. Poi, il vicepremier leghista ha anche avvertito che, dopo il congelamento degli asset di Mosca, potrebbero arrivare contromisure economiche a danno delle nostre aziende presenti sul territorio russo. L’Italia è sotto pressione sia degli Stati Uniti che vorrebbero allontanarla dai maggiori Paesi dell’Unione europea sia della Russia che lamenta «la crisi peggiore» delle relazioni Roma-Mosca «dalla fine della seconda guerra mondiale», come è arrivata a dire Zakharova, la iperattiva portavoce del ministro Lavrov, dimenticando la guerra fredda.
Il pericolo che in futuro l’Italia possa sbandare è avvertito al Quirinale. «Non è possibile distrarsi – ecco il monito di Mattarella – e non sono consentiti errori». C’è già chi vede il governo italiano risucchiato dalla «destra populista europea» come il settimanale britannico The Economist che la scorsa settimana ha collocato, in copertina, Meloni accanto a Le Pen, Farage e Weidel. Occorre però essere realisti. «È probabile che il tentativo della Casa Bianca sia quello di separare l’Italia da Francia, Germania e Gran Bretagna – osserva Stefano Silvestri, direttore editoriale di AffarInternazionali – ma non vedo la convenienza di Meloni. Se lei diventasse come Orban, sarebbe irrilevante in Europa, rinunciando a uno spazio nell’Ue e non guadagnerebbe nulla nei confronti degli americani e della Nato».
Nel corso dell’anno, dopo un’iniziale freddezza, il governo italiano si è avvicinato ai Paesi “volenterosi” guidati dalla Francia di Macron anche perché via via il gruppo degli europei più sensibili alle ragioni di Zelensky è riuscito a instaurare un rapporto sia pure minimo con gli Stati Uniti. Davanti al pressing americano sull’Ucraina, il nostro Paese si è subito associato alla controproposta europea ma con la preoccupazione di non irritare Washington.
Alla fine, il 15 dicembre, l’intesa euro-americana di Berlino ha tolto il governo italiano dall’imbarazzo di doversi schierare con l’una o con l’altra sponda dell’Atlantico. Ma cosa succederebbe se Trump fosse di nuovo “comprensivo” con Putin per chiudere la partita? Sugli aiuti militari a Kiev, infine, Palazzo Chigi tira dritto nonostante i distinguo della Lega, annacquati nella formula, improntata al politichese, del «sostegno multidimensionale». Tutto sarebbe più facile con un diverso scenario statunitense, più favorevole agli europei.
Stefania Craxi, presidente della commissione Esteri del Senato, vede una novità rilevante nel sondaggio realizzato dalla Fondazione Reagan e pubblicato dal Wall Street Journal. «Il 68 per cento degli americani è ancora favorevole all’Alleanza Atlantica e Trump non è un uomo solo al comando. Penso come il Papa – osserva la senatrice di Forza Italia – che l’unità dell’Occidente fondata su valori condivisi sia ancora un progetto da difendere dagli attacchi che arrivano sia dall’interno degli Stati Uniti, sia dall’interno dell’Europa».
A sinistra, invece, prevale la linea spagnola, quella che il primo ministro Sanchez ha esposto nell’intervista rilasciata a Felice Florio per L’Espresso del 12 dicembre, con la proposta di «irrobustire il pilastro europeo così da avere una relazione più equilibrata con gli Stati Uniti» e senza l’aumento della spesa della difesa al 5 per cento che il suo Paese ha respinto a differenza degli altri Paesi Nato.
«L’interesse italiano – avverte Peppe Provenzano, responsabile esteri del Pd – soprattutto in questo momento coincide con un salto in avanti dell’integrazione europea e non con il disegno di Trump di usare il nostro Paese come testa di ponte per disgregare l’Unione europea, dopo che Meloni si è già rivelata subalterna al presidente americano».
Il documento sulla Strategia Usa per la sicurezza allontana ancora di più l’Italia da una politica estera bipartisan.
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