Mondo
8 aprile, 2025

Erdoğan contro İmamoğlu: alle porte dell’Europa si combatte per la democrazia

L’ondata repressiva ha scatenato la protesta popolare e spaventa gli investitori esteri. Ma il sultano di Ankara non intende fermarsi e programma l’attacco ad altri potenziali avversari interni. Mentre sul piano internazionale i suoi amici si chiamano Trump, Putin e Meloni

Monumenti e quartieri chic rimangono affollati come sempre. La fine del mese di Ramadan e la rottura del digiuno hanno riportato i turchi a mettersi in fila davanti alle botteghe che vendono panini con lo sgombro e a pranzare nei locali al piano basso del ponte di Galata che unisce i quartieri di Beyoğlu ed Eminönü sul Corno d’Oro. Presto verrà la bella stagione, quando l’ondata turistica si riverserà sulle località marittime. Ma Istanbul resta inquieta. Piazza Taksim, luogo deputato per le proteste, è chiusa e transennata. La Farnesina consiglia ai viaggiatori: «A seguito dell'arresto del sindaco di Istanbul e del successivo divieto di manifestazioni, si raccomanda di adottare misure di prudenza e di attenersi scrupolosamente alle indicazioni fornite dalle Autorità locali». Continuano le pressioni sui media nazionali ed esteri, con la sospensione di alcuni canali tv e l’espulsione di cronisti troppo critici come Mark Lowen della Bbc. Gli accessi a Internet sono sotto controllo delle autorità.

Sarà una primavera in stato d’assedio? E, soprattutto, chi sarà il prossimo bersaglio del presidente Recep Tayyip Erdoğan? In una Turchia spaccata la domanda accomuna oppositori e sostenitori del democratore leader dell’Akp. Il partito della giustizia e dello sviluppo, fondato dallo stesso Erdoğan nel 2001, è sotto pressione per il calo dei consensi e sembra meno interessato agli obiettivi contenuti nella sua sigla che a perpetuare un potere iniziato con le elezioni legislative del 2002.

Nonostante un recovery plan da 1300 miliardi di dollari, l’inflazione rimane intorno al 40 per cento annuo. È un parziale successo rispetto al 75 per cento del maggio 2024 ma è stato ottenuto a spese delle fasce popolari che faticano, specialmente nei grandi centri urbani, a fronteggiare il caro prezzi pompato dalla bolla turistica. Il blitz del 19 marzo scorso contro il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, seguito da tumulti di piazza e arresti indiscriminati, è stato bocciato dai mercati che hanno punito la lira, tornata ai minimi contro euro e dollaro, e l’indice di borsa Bist national 100, sceso da quasi 11 mila punti fino a 9 mila due settimane fa. Il governatore della Banca centrale Fatih Karahan ha dovuto impegnare oltre 25 miliardi di dollari sui 65 totali delle riserve in valuta per evitare un tracollo peggiore nei giorni più critici delle proteste, quando si calcola che gli hedge funds e altri gruppi internazionali abbiano disinvestito risorse per 16 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda la giustizia, su İmamoğlu sono piombati nove procedimenti per reati che vanno dalla corruzione al vilipendio delle istituzioni. Per presunte irregolarità gli è appena stata tolta la laurea che in Turchia è necessaria per candidarsi alle presidenziali. Oltre a lui, i tribunali e le forze dell’ordine sembrano intenzionati a colpire altri esponenti del Chp, il partito repubblicano del popolo.

A valle dell’arresto di İmamoğlu, İnan Güney, sindaco Chp della municipalità di Beyoğlu, quella della Torre di Galata, è stato convocato dal Procuratore capo della Repubblica di Istanbul per testimoniare nell'ambito di un'indagine che lo accusa di opposizione alla legge sui partiti politici, la numero 2820.

Il leader del partito Özgür Özel è tornato a casa dopo avere passato alcuni giorni in autoesilio dentro una stanza del Comune, inaccessibile alle irruzioni della polizia. Anche grazie alla presenza fisica di Özel, il nuovo reggente della megalopoli sul Bosforo è un uomo del Chp, il vicesindaco Nuri Aslan, che ha prevalso per cinquantadue di voti sull’Akp di Erdoğan.

Ad Ankara, la capitale, ha motivi di preoccupazione un altro sindaco del Chp, Mansur Yavaş, 70 anni il prossimo maggio, confermato un anno fa con uno schiacciante 60 per cento di consensi contro il 51 per cento di İmamoğlu a Istanbul. Yavaş, che ha travolto il rivale Akp con due milioni di preferenze contro 1 milione, era considerato un possibile candidato per le presidenziali del 2028 prima che il blitz giudiziario del 19 marzo convincesse il Chp a indicare İmamoğlu come unico nome sulla scheda delle primarie di domenica 23 marzo. La consultazione, aperta anche ai non iscritti al partito, è stata un plebiscito. Il politico e imprenditore emigrato sul Bosforo dalla costa del Mar Nero ha ottenuto oltre 15 milioni di consensi, quasi un quarto dei 64 milioni di turchi aventi diritto al voto. Questo risultato ha convinto il Chp a invocare elezioni anticipate che taglierebbero la strada a ulteriori aggravamenti della deriva autocratica.

«Per gli studenti universitari in prima linea il governo ha superato la linea che separa il sistema autoritario competitivo da un’autocrazia in stile russo. E sono furiosi non solo con Erdoğan ma anche con i leader europei», ha scritto sul Financial Times Gönül Tol, direttrice del programma Turchia del Middle east institute.

In un paese dove l’età media è 34 anni, contro i quasi 49 dell’Italia, la transizione generazionale è un fattore a favore del Chp. İmamoğlu ha cinquantatré anni, quasi diciotto meno di Erdoğan. Il leader del partito popolare repubblicano Özel è un farmacista cinquantenne che ha preso il posto di Kemal Kılıçdaroğlu, 76 anni di cui tredici alla guida del Chp conclusi dalla sconfitta contro Erdoğan alle presidenziali del maggio 2023. Il cambio al vertice del Chp ha avuto l’effetto immediato di energizzare la base nel voto amministrativo del marzo 2024 e le primarie mostrano che il desiderio di cambiamento aumenta.

La contrapposizione fra Erdoğan e İmamoğlu non lascia spazio alle mediazioni e coinvolge ogni aspetto, politico e umano. L’oppositore viene dalla provincia di Trabzon, la Trebisonda del Mar Nero, a tutt’oggi roccaforte dei conservatori dell’Akp, ma conserva legami forti con il laicismo del padre dei Turchi Mustafa Kemal.

Il presidente vive a Üsküdar nella zona asiatica di Istanbul ed è nato a Kasımpaşa, un distretto popolare solo in parte gentrificato dove lo stadio del club di prima divisione è stato intitolato al leader della nazione, ex calciatore professionista. Entrambe le municipalità sono state conquistate dal Chp alle amministrative del 2024 mentre l’Akp ha conservato la roccaforte conservatrice di Fatih, il quartiere della Moschea blu e di Santa Sofia, del Gran Bazaar e del Topkapi amministrato da Mehmet Ergün Turan.

A livello nazionale la mappa del consenso mostra che il cuore del potere dell’Akp è sempre nelle zone interne della nazione eurasiatica, grande due volte e mezzo l’Italia, dove vino e raki sono stati di fatto banditi e i top con l’ombelico scoperto delle ragazze di Istanbul sono impensabili.

Andando verso i confini orientali si vede anche quanto il fronte della sicurezza interna sia stato mantenuto con il pugno di ferro. Oltre 150 sindaci appartenenti al Dem, il terzo partito nazionale legato alla minoranza curda, sono stati estromessi dalla carica con l’accusa di essere contigui al Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan considerato un gruppo terroristico anche in Ue, Usa e Regno Unito.

Il 27 febbraio 2025 il leader del Pkk Abdullah Öcalan, agli arresti dal 1999, ha invocato lo scioglimento della formazione da lui fondata nel 1978 dopo oltre quarant’anni di guerriglia e quarantamila morti. Ma è improbabile che Öcalan, a 77 anni e con un quarto di secolo trascorso condizioni detentive molto dure, abbia ancora una presa operativa sulle azioni del Pkk, che potrebbe continuare la lotta armata. L’attentato più recente, il 23 ottobre 2024, ha provocato sette morti nella sede della Turkish aerospace industries di Kahramankazan nella provincia di Ankara. La reazione del governo si è concretizzata in duecento arresti e in decine di attacchi militari alle posizioni del Pkk in Turchia e nel nord dell’Iraq.

Sul piano internazionale il negazionismo-riduzionismo su episodi storici come il genocidio armeno è stato compensato dall’intervento, tardivo ma decisivo, dell’esercito turco ai danni dello Stato islamico in Siria, e a Raqqa in particolare.

In ventitré anni di amministrazione l’ambiguità di Erdoğan, che non pensa neppure a scegliersi un erede, è stata spesso ricambiata dai colleghi delle altre nazioni. La premier italiana Giorgia Meloni si è incontrata non meno di otto volte con il presidente turco dicendone ogni bene anche quando, il 24 settembre 2024 all’assemblea generale dell’Onu, l’islamico ultraortodosso Erdoğan era reduce da una sparata contro i valori moribondi dell’Occidente e da accuse pesanti contro lo Stato di Israele. Nello scorso ottobre Meloni ha invitato il democratore di Ankara a un vertice intergovernativo che era previsto nella primavera del 2025. Dopo un colloquio telefonico a due lo scorso 9 gennaio per discutere della caduta del regime siriano di Bashar Assad, l’ultima visita ufficiale è stata del ministro del made in Italy Adolfo Urso il 18 febbraio 2025.

Il contesto internazionale favorevole è stato probabilmente fra i motivi che hanno suggerito a Erdoğan la recente ondata repressiva. La fine del potere di Assad ha paradossalmente rafforzato la centralità della Turchia sullo scacchiere mediorientale. I rapporti con Vladimir Putin e Donald Trump sono buoni. Con Xi Jinping, dopo le tensioni dovute alla persecuzione degli uiguri, la minoranza di etnia turca e religione islamica che vive in Cina, è tornato il sereno da un pezzo. Nel 2015 la Turchia è entrata nel Belt and road initiative (Bri), la nuova Via della seta promossa dal governo cinese, e a novembre 2024 il governo di Ankara è stato il primo di un paese aderente alla Nato a essere invitato come membro a pieno titolo dei Brics. All’associazione delle economie emergenti partecipano, oltre alla Cina, anche il Brasile, l’India, l’Iran, la Russia, gli Emirati arabi, l’Etiopia e il Sudafrica che con l’appoggio della Turchia ha chiesto e ottenuto dalla Corte penale internazionale dell’Aja il mandato di arresto contro Benyamin Netanyahu per i crimini di guerra seguiti alle stragi di Hamas del 7 ottobre 2023.

Il passo verso i Brics sembra in conflitto con la ripresa del corteggiamento nei confronti dell’Ue. Dopo l’accordo doganale con l’Europa del 1995, la Turchia aveva presentato una candidatura ufficiale nel 1999. I negoziati avviati nel 2005 si erano infranti sull’opposizione della Francia di Nicolas Sarkozy, sull’impasse di Cipro e sulla dura repressione delle proteste di Gezi park in piazza Taksim del marzo 2013. Nel luglio di tre anni dopo c’è stato il tentativo di colpo di Stato, considerato una messinscena dagli oppositori. Nell’aprile 2017, il referendum costituzionale ha eliminato la figura del primo ministro e ha rafforzato il potere presidenziale.

Eppure manifestazioni colossali come quella convocata dal Chp sabato 29 marzo a Istanbul mostrano che il popolo non vuole la deriva russa e che, se si votasse oggi, Erdoğan probabilmente perderebbe. Per questo il sultano ha bisogno di tempo. Se comanda da oltre vent’anni, significa che sa usarlo.

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