Un’estorsione ogni 24 minuti, quattro omicidi al giorno. Nella sola Lima, metropoli da 9 milioni di abitanti, la capitale dinamica e creativa del Perù. Nessuno immaginava che potesse accadere; che il paese andino, considerato il più virtuoso dell’America Latina, con un aumento del Pil a due cifre (11 per cento) e cresciuto per dieci anni di fila, ammirato e studiato da economisti e ricercatori finanziari come un fenomeno da emulare, finisse stritolato da una criminalità che agisce impunita e senza remore.
Eppure, è successo. Oggi è un caso. In negativo. Un esempio della tensione che serpeggia in tutto il Continente: i ricchi sempre più ricchi, i poveri ormai poverissimi. Insieme al flusso dei migranti, soprattutto venezuelani, che sono diventati stanziali, molti dei quali hanno finito per andare a rafforzare le fila delle mafie locali o transnazionali. Nel silenzio generale delle istituzioni e la tolleranza di una popolazione quasi assuefatta a una violenza che si è imposta sin dal novembre del 2022, quando dopo l’assurda dichiarazione di autogolpe dell’allora presidente Pedro Castillo, poi arrestato, le piazze e le strade del Perù si riempirono di gente tra sostenitori e oppositori. Ci furono violenti scontri con la polizia, intervenne l’esercito, alla fine restarono sul selciato 49 civili uccisi dalle pallottole, 11 nei controlli ai posti di blocco, assieme a 7 soldati e a un poliziotto colpiti a loro volta dalle armi che erano nel frattempo spuntate fuori. Nessuna delle vittime ha ottenuto giustizia. Un’inchiesta dura da oltre 48 mesi senza approdare a un processo che ricostruisca i fatti e individui le responsabilità per tanti morti.
L’allarme è scattato il 16 marzo scorso. E, come sempre, per la notorietà della vittima: Paulo Flores, cantante del gruppo cumbia Armonía 10. Il bus della band è stato bloccato e circondato da dei sicari in sella a delle moto. Hanno esploso alcuni colpi di pistola, uno ha centrato il noto artista che è morto mentre lo portavano in ospedale. Grande sconcerto, emozione, parole di condanna e di solidarietà. Nel giro di una settimana i balordi sono stati arrestati. Ma pochi credono che siano loro. La maggioranza pensa che siano presi a caso per placare la rabbia e l’ansia.
Ma questo omicidio eccellente ha squarciato il velo su una realtà che la gente percepisce sulla propria pelle, nelle strade, nei negozi, nelle scuole, nei quartieri commerciali della classe media. Tutti taglieggiati da bande che nessuno è in grado di fermare. Lima è stata presa dal panico. Se si ammazzano anche le star, hanno pensato tutti, vuol dire che la violenza è fuori controllo. È la stessa polizia nazionale, accusata di inerzia, a segnalare lo stillicidio di assalti ed estorsioni che dissanguano l’intera metropoli. Secondo il Sistema nazionale di informazione sui decessi (Sinadef), il Perù ha chiuso il 2024 con 2.057 omicidi, il numero più alto dal 2017. Quest’anno la situazione è peggiorata: al 18 marzo sono stati registrati 475 omicidi, 164 dei quali a Lima. Le vittime sono proprietari di aziende vinicole, farmacie, ristoranti, locali notturni. Ma anche barbieri, bar, negozi. Perfino le scuole sono finite nel mirino delle gang. L’8 marzo scorso un uomo coperto da un cappuccio ha lasciato una busta con dentro 7 proiettili davanti all’istituto di San Vincente, nel distretto di Comas, nord di Lima. Una settimana dopo, nello stesso quartiere, un ordigno è esploso di fronte alla scuola Nikola Tesla.
Gli esperti di sicurezza spiegano che la criminalità è dovuta principalmente all’assenza di uno Stato. Che quando è presente, tollera o promuove la corruzione. Nessuno si ribella alle forme legali di taglieggiamento, con giri vorticosi di tangenti che finiscono per contribuire alla crescita del Pil ma in modo artificioso. Economia in nero e sommersa che fa comodo a tanti e attira le voracità di una classe politica totalmente delegittimata.
Dal 2018 il Perù ha visto alternarsi ben 6 diversi presidenti. La maggioranza è stata sfiduciata per corruzione dal Congresso, a sua volta contagiato da altri scandali di tangenti. La stessa corruzione che ha portato in carcere altri tre capi di Stato precedenti: Alberto Fujimori, Alejandro Toledo e Ollanta Humala. L’attuale presidente, prima donna alla guida del paese, Dina Boluarte si è trovata al posto giusto nel momento giusto: era la vice di Castillo e ha preso il suo posto dopo aver giurato che non lo avrebbe mai fatto. Due anni e sei mesi di gestione farraginosa, incerta, scandita anche in questo caso da scandali e tolleranza verso un Congresso chiaramente in combutta con la criminalità dei colletti bianchi e la potente mafia del porto del Callao. Anche lei è scivolata su uno scandalo di rolex d’oro che ostentava al polso senza spiegare come e dove li avesse acquistati. In Perù la legge ti impone di dichiararlo. Ha cambiato 22 ministri, sette solo quelli dell’Interno. L’ultimo una settimana fa dopo che un’inchiesta ha svelato un suo coinvolgimento in casi di tangenti. Senza una guida chiara e sicura, con una presidente disprezzata e consensi ai minimi, le stesse istituzioni traballano in questo clima di vendette e ritorsioni. Esasperata, assediata da trappole e inchieste, la presidente alla fine ha indetto nuove elezioni il 12 aprile del 2026. «Dobbiamo uscire da questo stato di precarietà», ha ammesso. Il voto era previsto ma già convocarlo è diventata una certezza a cui ora si aggrappano tutti. Quanti sperano in una svolta che restituisca i fasti al Perù, quanti si preparano al nuovo assalto alla diligenza. Essere eletto al Parlamento significa potere e quindi affari, soldi. Sono già iscritti 41 partiti nelle liste elettorali, altri 32 stanno per farlo. Questo significa che 27 milioni di cittadini si troveranno una scheda lunga come un lenzuolo con i simboli di 73 gruppi. Molti non sanno neanche chi siano e da dove sono spuntati. È un dettaglio: non conta proporre, conta esserci.