Se fossero un Paese, avrebbero gli stessi abitanti della Germania. Il 2024 è stato un anno record per il numero degli sfollati interni nel mondo. A rivelarlo è Il Global Report on Internal Displacement 2025 pubblicato dal Centro di monitoraggio Onu degli spostamenti interni (IDMC).
Secondo la definizione delle Nazioni Unite, le persone sfollate internamente sono “individui o gruppi di individui costretti ad abbandonare le proprie case o i luoghi di residenza abituale a causa di conflitti armati, situazioni di violenza generalizzata, violazioni dei diritti umani, disastri naturali o causati dall'uomo, e che non hanno attraversato un confine di Stato riconosciuto a livello internazionale”.
È la vita di 83,4 milioni di persone, il dato più alto mai registrato. I conflitti sono responsabili della maggior parte degli sfollati interni, oltre 73 milioni. I restanti dieci milioni sono stati forzati a lasciare le loro case per sfuggire a disastri naturali, come alluvioni, tempeste e terremoti. In molti casi, però, le tragedie si intrecciano, con guerre che scoppiano in zone già colpite da eventi climatici estremi, rendendo le vite di chi le abita ancora più precarie.
L’area più colpita è l’Africa Subsahariana, che ospita quasi la metà di tutti gli sfollati interni del mondo: 38,8 milioni. L’epicentro della crisi è il Sudan, che il report definisce come “una delle crisi umanitarie più ignorate a livello globale”. Il conflitto nel Paese, iniziato a metà aprile 2023 tra le Forze Armate Sudanesi e le Forze di Supporto Rapido (RSF), ha lasciato un numero record di 11,6 milioni di persone in condizione di sfollamento interno alla fine dello scorso anno, 2,5 milioni in più rispetto al 2023. La guerra è la causa principale degli spostamenti anche in Repubblica Democratica del Congo, mentre in Nigeria, Chad e Niger, lo sfollamento è aggravato da conflitti e inondazioni ricorrenti.
I disastri naturali hanno portato a quasi 46 milioni di spostamenti, in 163 paesi e territori. Si tratta di un’anomalia significativa rispetto agli anni precedenti, ben al di sopra della media annuale di 24 milioni degli ultimi 15 anni. Il solo uragano Milton, nell’ottobre 2024, ha provocato quasi sei milioni di sfollamenti, in gran parte negli Stati Uniti, dimostrando che gli eventi climatici estremi possono colpire ovunque, anche Paesi ad alto reddito. Eppure, il report dell’IDMC suggerisce che neanche un uragano è una livella. Le conseguenze più disastrose si sono registrate nei Paesi a basso reddito e a discapito delle comunità più vulnerabili. Le inondazioni nello stato brasiliano di Rio Grande do Sul hanno sommerso un’area grande quanto il Regno Unito, generando circa 775.000 sfollamenti e le comunità nere e indigene sono state costrette a fuggire a tassi più alti rispetto alla popolazione generale. In Ciad, le inondazioni hanno provocato più sfollamenti nel 2024 che nei precedenti 15 anni messi insieme, distruggendo centinaia di migliaia di abitazioni e lasciando quasi 1,3 milioni di persone sfollate alla fine dell’anno.
I cambiamenti climatici originati dalle attività umane sono i principali responsabili dell’aumento dei pericoli naturali, ma giocano un ruolo importante anche la povertà, l’espansione urbana informale e le infrastrutture inadeguate.
A incidere sul dato da record, infine, è la crisi umanitaria a Gaza. A partire dalla fine del 2023 e per tutto il 2024, oltre l’85-90% della popolazione della Striscia è stata sfollata a causa dei bombardamenti israeliani e del deterioramento totale delle condizioni di vita. In molte zone, le persone sono state sfollate più volte. Gli sfollamenti multipli, si legge nel rapporto, aggravano il trauma psicologico, l’instabilità sociale e l’impoverimento materiale delle famiglie. Donne, bambini e anziani sono esposti a rischi estremi, tra cui mancanza di accesso a cure mediche, acqua potabile, alimenti e protezione.
“I dati di quest'anno devono essere un segnale d'allarme per la solidarietà mondiale”, commenta Jan Egeland, direttore del Consiglio norvegese per i rifugiati, ente che ha contribuito alla redazione del dossier. “Ogni volta che vengono tagliati i finanziamenti, uno sfollato non ha più accesso al cibo, alle medicine, alla sicurezza e perde la speranza”.
Le stime del rapporto sono riferite al 2024, cioè prima che la nuova amministrazione Trump smantellasse Usaid, Agenzia per lo Sviluppo Internazionale degli Stati Uniti. Attiva dal 1961, ha gestito aiuti umanitari in oltre 130 Paesi, molti dei quali destinati anche agli sfollati interni. I tagli voluti da Trump e Musk hanno già portato all’interruzione di diversi programmi di aiuto internazionale. Il rischio è l’aggravarsi di crisi umanitarie già in atto e di cui non si vedono i miglioramenti. “La mancanza di progressi nella lotta contro gli sfollamenti nel mondo”, continua Jan Egeland, “è sia un fallimento politico che una macchia morale per l'umanità”.