Il Paese subsahariano, governato dall'autoritario Biya da oltre 40 anni, si avvicina alle elezioni presidenziali. E una nuova generazione di giovani riversa nelle urne la speranza di novità

Il Camerun ha voglia di cambiare e mettersi alle spalle il presidente Paul Biya (al governo dal 1982)

I colori, la luce e la sabbia che creano tonalità sconosciute all’Occidente, imprimono profondità e brillantezza estreme al cielo e al mare in Camerun, Paese nel cuore del continente africano con 30 milioni di abitanti per 250 etnie. Un’opera d’arte naturale, ricca di sfumature, suoni e aromi che raccontano storie antiche. Sarà per la varietà dei suoi paesaggi, questa sorprendente nazione si distende come una tela vibrante sulla quale sono state impresse le esperienze di un popolo resiliente e tenace: l’orgogliosa anima dell’Africa qui si ritrova un po’ ovunque. Una danza di contrasti che ne esalta ogni aspetto, un mosaico di culture variegate che oggi rischia di frantumarsi.

 

Il Paese si trova vicino a una fase cruciale: il prossimo appuntamento elettorale delle presidenziali. Con il suo tessuto sociale eterogeneo, il Camerun presenta un panorama ricco di tradizioni, lingue e usanze che dall’indipendenza nel 1960 provano a saldarsi in un’unica identità nazionale. Questa ricchezza culturale, tuttavia, è accompagnata da tensioni politiche e sociali.

 

Le elezioni del 2025, fissate per ottobre, stanno suscitando un fermento politico senza precedenti, amplificato dalla crescente influenza dei social media. Le piattaforme online stanno diventando un canale fondamentale per la popolazione, offrendo spazi di discussione e di protesta. I giovani, in particolare, sono portavoce di una necessità di cambiamento e della loro visione per il futuro del Paese. Che non contempla le rielezione del presidente Paul Biya. Da quasi 43 anni, il capo di Stato 92enne guida il Camerun con un’autorità da regime che ha stroncato ogni critica o tentativo di contrastarne la leadership. La sua longeva permanenza al potere, propagandata come simbolo di stabilità, non è altro che una dittatura ammantata di buoni propositi mai mantenuti. La società civile, stanca di un sistema che appare anacronistico, chiede riforme profonde e la riattivazione del dialogo democratico.

 

Tuttavia, la possibilità di un cambio di rotta sembra ancora distante. Le opposizioni, pur crescendo in visibilità e forza, si trovano a dover affrontare un sistema autoritario consolidato, accusato di reprimere le voci dissenzienti. In questo contesto politico proibitivo, emerge la figura di Patricia Tomaino Njoya, 56 anni, unica donna candidata alla presidenza. Sindaco di Foumban, realtà fiorente e produttiva del Camerun con oltre 200mila abitanti, Tomaino non è solo una una parlamentare e una leader politica, ma un vero e proprio simbolo di speranza. Imprenditrice di successo con la passione per la scrittura, la storia personale di Tomaino, con radici italiane grazie a nonno Angelo prigioniero di guerra dei francesi, si intreccia con quella del defunto marito, Adamou Ndam Njoya, ex Ministro dell’Istruzione e figlio del senatore Arouna Njoya, fautore dell’accordo di unificazione delle popolazioni francofone e anglofone che portò alla nascita del Camerun postcoloniale.

 

«Promuovere l’idea di un Camerun come società dei diritti e dei doveri, in grado di valorizzare la sua diversità culturale, è per me una priorità. La mia candidatura è in funzione di una vera democrazia, ma sono consapevole che solo elezioni trasparenti possano dare chance a tutti i candidati di presentarsi agli elettori» sostiene l’esponente dell’Unione democratica del Camerun. Che sottolinea «l’importanza del patrimonio storico e culturale del Paese, ereditato da forme organizzate di tribù».

 

Tomaino, assieme ad altri politici democratici, ha formato una coalizione per riformare il sistema elettorale perché «la lotta per i diritti civili, con la promozione di valori come giustizia, rispetto e condivisione, va oltre le presidenziali». Profondamente cristiana, ha sempre sostenuto che la fede la spinge «a mettere in campo azioni concrete, volte a costruire una società più armoniosa, improntata alla pace e alla prosperità per tutti». Con una missione chiara: l’organizzazione di un Camerun che garantisca opportunità per tutti i cittadini.

 

Nonostante il bel progetto politico, le probabilità che l’opposizione ottenga un buon risultato sono pressoché nulle. La ricandidatura di Paul Biya si erge come un argine invalicabile. Presidente dal 1982, Biya si propone come unico “baluardo” di stabilità politica, anche se la sua gestione del Paese è oggetto di accesi dibattiti.

 

Sia oppositori interni che membri autorevoli della diaspora camerunense denunciano un «malgoverno costante, una gestione monopolizzata da un ristretto gruppo di fedelissimi e gravi violazioni dei diritti umani». Negli ultimi quattro decenni, il longevo capo di Stato ha ricevuto critiche da più fronti per aver mantenuto il potere attraverso politiche oppressive, arresti arbitrari e continue repressione delle libertà civili. Dal suo ingresso nel palazzo presidenziale, l’attuale presidente è riuscito a consolidare la sua posizione tramite un abile gioco di relazioni. Dopo le dimissioni di Ahmadou Ahidjo, che aveva governato 22 anni per poi ritirarsi a causa di problemi di salute, Biya ha prima ricoperto la carica di premier e, dopo la crisi del colpo di Stato nel 1984, da presidente ha rafforzato ulteriormente la sua posizione.

 

Oggi, seppure in età avanzata e con una salute fragile, non ha alcuna intenzione di ritirarsi e, nonostante non sia ancora stata ufficializzata la ricandidatura, il suo entourage ha iniziato la campagna per la sua permanenza al potere. I sostenitori di Biya puntano sulla necessità di mantenere la stabilità politica con la continuità delle istituzioni. Ma nel Paese si alza sempre più forte la voce di chi chiede un rinnovamento profondo e una maggiore partecipazione democratica. Il tutto in un clima politico complicato dalla situazione economica, dalla crisi anglofona sfociata in un conflitto che si estende dal nord al sud-ovest del Paese, e dalla disparità di sviluppo tra le diverse regioni.

 

Le risorse naturali abbondanti, sebbene possano costituire un motore di crescita, non sono state sempre gestite in modo da garantire vantaggi all’intera popolazione. Le frustrazioni causate dalla corruzione e dalle difficoltà economiche, amplificano ulteriormente le richieste di cambiamento. La gioventù, consapevole del proprio potere, cerca di ritagliarsi un ruolo come protagonista di una narrazione politica nuova, aspirando a un Camerun che possa vivere in pace e prosperità e dove le diversità etniche siano celebrate piuttosto che usate come pretesto per divisioni.

 

«Il regime dittatoriale di Paul Biya si è estremamente indurito. I diritti umani sono violati quotidianamente in Camerun. Le autorità hanno esplicitamente vietato ai cittadini di esprimere le loro opinioni, arrivando ad accusare alcuni oppositori di voler fomentare un colpo di Stato. In realtà, la paura è palpabile da parte del governo, esacerbata dalle elezioni del 2018 che hanno portato a una repressione senza precedenti dopo la contestazione dei risultati da parte dell’opposizione» sostiene Calibri Calibro, pseudonimo di Abdoulaye Thiam, leader delle Brigade anti-sardinards, un gruppo di attivisti della diaspora camerunense che rappresenta il cuore della crescente resistenza in Camerun. Questo movimento, con azioni audaci e una efficace presenza sui social media, appare l’unico faro di speranza e di disobbedienza civile in un contesto politico opprimente.

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