Spostato e nascosto prima dell’attacco. E non è l’unica sorpresa: l’Iran non era pronto alla bomba. Forse lo sarà adesso, rivela una fonte dell’Aiea: “Così Vienna è caduta in una trappola”

L’uranio di Khamenei è ancora lì

Sono spariti. Nascosti da qualche parte. In un bunker costruito da poco, in una fabbrica, dentro un anonimo magazzino sotterraneo. Nessuno lo sa. Non lo sanno gli americani, non lo sa il Mossad, non lo sanno soprattutto gli ispettori della Aiea, finiti nella bufera delle polemiche con accuse pesanti da parte di Teheran. Esclusi dal tavolo dei Grandi, sono stati usati in una partita che si è giocata altrove. «Il problema, adesso, è proprio questo», confida l’alta fonte dell’Agenzia Onu di Vienna, vicinissima al dossier Iran, che accetta di parlare in condizione di anonimato. «Fino a quando eravamo presenti in Iran potevamo controllare sviluppi e produzione del processo di arricchimento. Ora è impossibile». Il tema è decisivo in questa nuova, pericolosa e incerta guerra che rischia di infiammare l’intero Medio Oriente. Dopo i ripetuti bombardamenti e le distruzioni di gran parte delle centrali con il programma nucleare «completamente o totalmente annientato» come scrive entusiasta Donald Trump su Truth, c’è allarme su dove siano finiti i 400 chili di uranio arricchito al 60 per cento di purezza.

 

Qualcuno suggerisce siano stoccati all’interno di un altro complesso atomico, vicino all’antica capitale Isfahan, non colpito dai caccia israeliani e dai bombardieri americani. Ma si tratta di ipotesi. «Spostare quel materiale è facile – ricorda la fonte – bastano i bagagliai di 10 Suv. Si tratta di piccoli cilindri. Maledettamente piccoli. Il materiale che racchiudono non è sufficiente a realizzare degli ordigni atomici; ma qualcosa di simile sì. Più grezzo, più artigianale, in grado di essere usato». La sua presenza non era un mistero. Lo stesso direttore generale della Aiea, Rafael Grossi, lo ha sostenuto in un’intervista alla Cnn domenica 22 giugno: il combustibile era stato visto l’ultima volta dai suoi ispettori circa una settimana prima che scattasse l’intervento dello Stato ebraico. Ha ricordato che «l’Iran non ha mai fatto mistero di aver protetto questo materiale», e ha ribadito via sms con un «certo!» quando gli è stato chiesto se fosse facile spostarlo, addirittura con una decina di semplici Van.

 

Questo significa che il regime degli ayatollah, oggi più di ieri, è in grado di costruire l’atomica? La fonte è tentata dal sarcasmo. «Non lo erano prima e non lo sono adesso. Ma se una settimana fa avevano sviluppato una tecnologia che li avvicinava molto a un ordigno nucleare, adesso sono in grado di farla. Forse male, ma in tempi brevi. Colpire e lesionare seriamente le centrali è servito a rallentare il processo, non a bloccarlo». Eppure, proprio l’Aiea nel suo ultimo rapporto scrive che l’Iran era a un passo dall’atomica. Il nostro contatto sbuffa infastidito. Tocchiamo un tasto dolente. «Non lo abbiamo mai scritto, né detto», precisa. «Non ci piace essere accusati per cose che non abbiamo fatto».

 

Cosa è dunque successo il 12 giugno, quando è stata votata a maggioranza una risoluzione che imputava all’Iran di «non rispettare gli obblighi in materia nucleare»? Quella risoluzione si basava su un vostro rapporto nel quale scrivevate nero su bianco che Teheran era vicina all’atomica. Nel 2015 avevate denunciato la presenza di un programma nucleare nascosto. Questa volta siete andati oltre sostenendo di aver scoperto che «l’Iran ha usato materiale nucleare senza dichiararlo». «Diciamo che siamo caduti in una trappola», spiega la nostra fonte. «Gli europei, il Gruppo E3 come sono chiamati ora Gran Bretagna, Francia e Germania, sa che l’Iran sta prendendo tempo. Vuole arrivare al prossimo ottobre. Il Jcpoa, il Joint Comprehensive Plan of Action, l’accordo firmato a Vienna nel 2015 tra il Gruppo dei 5+1, la Eu e gli ayatollah prevede che dopo dieci anni cadano tutte le sanzioni. Teheran nicchia, dice e non dice. Evita di denunciare i progressi raggiunti nel suo programma di sviluppo nucleare. Gli europei premono sull’Agenzia, ci chiedono di fare una relazione più dura, scritta con parole chiare che dica come stanno le cose. Vogliono il rinnovo delle sanzioni. Sanno che Russia e Cina non sono d’accordo e temono che alla fine ci sia il loro veto. Chiedono l’applicazione dello snapback, che nel caso iraniano rappresenta uno degli strumenti diplomatici più potenti mai concepiti nelle relazioni internazionali. In pratica, una rispostaccia: un freno di emergenza integrato nel Jcpoa che consente la rapida reimpostazione delle sanzioni Onu qualora l’Iran violi i propri impegni nucleari». 

 

Perché chiederlo al Consiglio di Sicurezza? «Perché c’è la preoccupazione, diffusa, che Teheran si doti presto della bomba nucleare», ci ricorda la fonte. «Anche a ragione. Da quando lo stesso Trump, nel 2018, si è sfilato e ha denunciato l’accordo, l’Iran ha reagito mandando avanti il suo programma. Cosa che aveva interrotto nel 2003 quando c’erano state nuove prove che nascondeva molti progressi». Quali prove? «In parte erano state trovate dal Mossad nel gennaio del 2018 quando in una clamorosa azione due squadre di agenti scardinarono un archivio nucleare iraniano portando via 55mila tra documenti e file. C’erano schemi tracciati dagli ingegneri iraniani sullo studio di inneschi nucleari e altre apparecchiature da usare per far detonare un’arma atomica. Il resto era arrivato dal Mek, l’Organizzazione dei mohajedin del popolo iraniano: aveva denunciato la costruzione di nuovi impianti che i nostri interlocutori ci tenevano nascosti. Teheran ci disse che si erano dimenticati di denunciarlo».

 

Una scusa un po’ banale. «L’uscita di Trump dall’accordo aveva reso più difficile il nostro lavoro sul campo. Consideri che fino a una settimana fa, i nostri ispettori controllavano le centrali ogni due-tre giorni. Ma, certo, la denuncia del Jcpoa e le prove scoperte ci hanno messo un po’ alle strette». A quel punto gli E3 dell’Europa vi chiedono un documento più duro. «Ci chiedono un testo chiaro e deciso. Il rapporto non dice che l’Iran è a un passo dalla bomba, spiega che ha aumentato la sua produzione di uranio arricchito arrivando a un 60 per cento della sua purezza. Quindi, che è in condizioni di fabbricarla. Ma anche che ci vorranno non meno di tre anni prima di realizzarla«. L’Iran vi ha accusato di essere al servizio di Israele. Il portavoce del ministro degli Esteri ha ricordato che «le narrazioni fuorvianti hanno conseguenze negative». «L’Iran sa bene che abbiamo scritto la verità. Aspira alla bomba nucleare ma non è in grado di crearla e usarla». 

Il documento è usato dal board dell’Aiea per formulare la sua risoluzione e farla votare a maggioranza. Hanno sostenuto che avete dato luce verde a Israele per l’attacco. «Israele da anni – ricorda il nostro contatto – coltivava l’idea di bombardare i siti nucleari iraniani. Sono stati sempre gli Usa a fermarli e dissuaderli. Persino questa volta Trump aveva posto un veto a Netanyahu. Ma il presidente statunitense è un po’ ondivago nelle sue dichiarazioni. Si sa quello dice, non ciò che pensa veramente. Cambia opinione spesso e in modo repentino».

 

Come con le due settimane di tregua ufficialmente concesse a Teheran per portarle al negoziato e poi disattese con il bombardamento di Fordow tenuto nascosto. Un vero azzardo. Un gruppo di bombardieri B-2 volava tranquillo sopra il Pacifico mentre un altro, segreto, senza transponder, si dirigeva ad Est, verso l’Iran. Tutto, dalla guerra dei dazi, all’Ucraina, a Gaza, fino a nucleare degli ayatollah sembra una partita a poker giocata dai bulli che comandano il mondo. Pistoloni sul tavolo, minacce, nuove concessioni, annunci smentiti dai fatti, doppi e tripli giochi. Persino sui danni alle centrali i giudizi sono contrastanti. Non si sa più a chi credere. Al centro dello stesso tavolo resta un piatto sempre più forte. La posta si è alzata di molto. Si punta un po’ al buio. Le fotografie satellitari sulla centrale di Fordow, obiettivo primario dell’incursione, mostrano diverse aperture sulla montagna in cui una dozzina di Massive Ordnance Penetrator da 14.500 chili possono aver perforato la crosta fino a 90 metri di profondità. Il sito è stato distrutto? «Non ci sono riscontri», ci conferma la nostra fonte. «Probabilmente ha subito dei danni. Ma questo non fermerà il programma nucleare. Lo rafforzerà e probabilmente lo accelererà. La nostra preoccupazione è diversa: vorremmo sapere dove è finito l’uranio per costruire la bomba».

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