Dopo le bombe sui siti nucleari iraniani aumenta il numero dei trionfatori autoproclamati. Trump, Israele, gli ayatollah, l’industria delle armi e la Nato hanno tutti ricavato un beneficio d’immagine dagli ultimi scontri. Con il sospetto che sia una pantomima

Nella guerra dove hanno vinto tutti, ha perso la democrazia

Una strategia win-win è un negoziato in cui entrambe le parti coinvolte ottengono risultati positivi. La definizione si applica bene alle scosse belliche delle ultime settimane. Hanno vinto tutti. Ha vinto Israele, che ha trascinato gli Usa in una fiammata di bombardamenti sui siti dove il regime teocratico iraniano starebbe realizzando la minaccia atomica. L’attacco al regime canaglia ha distolto l’attenzione internazionale dal macello di Gaza, dove nell’ultimo mese sono stati uccisi oltre 500 civili in fila per cibo e aiuti sanitari.

 

Ha vinto l’Iran, un regime meno agonizzante di quanto molti si augurano. L’eliminazione fisica di alcuni dirigenti, insieme a qualche centinaio di civili a titolo di danno collaterale, è una buona notizia per chi occupava i ranghi inferiori e fa carriera più in fretta. La piazza si è polarizzata verso la guida spirituale Ali Khamenei perché Israele liberatore è uno schema improponibile anche fra l’intellighentsia più liberale di Teheran. Hanno vinto gli Stati Uniti perché Donald Trump ha ottenuto, grazie a qualche bomba su una pietraia, materiale per la sua propaganda dadaista. Il re dei Maga ha accontentato i sostenitori favorevoli all’attacco e quelli contrari ritirandosi in fretta. A seguire, si è vantato di avere salvato la vita di Khamenei, non proprio una perdita che avrebbe afflitto il mondo. Infine ha offerto, secondo la Cnn, 30 miliardi di dollari ai boia della dissidenza studentesca per sviluppare il nucleare civile.

 

Ha vinto la Russia, burattinaio del programma nucleare iraniano, che ha rinnovato il suo apprezzamento verso la Casa Bianca con l’eccezione della questione ucraina. Ha vinto un’agonizzante Nato che ha ritrovato linfa con un programma di riarmo che soltanto all’Italia costerà 450 miliardi di euro da qui al 2035, incluso il ponte fra Sicilia e Calabria, terrorizzate dai pasdaran in fila ai traghetti. Ha vinto ovviamente l’industria delle armi, che ha incamerato un portafoglio lavori da capogiro. Ha vinto la Turchia, mediatrice non si sa bene fra chi, come e quando. Certo è che nessuno parla più della repressione interna e dell’incarcerazione di Ekrem İmamoğlu, il principale oppositore di Recep Tayyip Erdoğan. Se tutti vincono chi ha perso? A parte le centinaia di morti, dazio accettabile per un conflitto a bassa intensità, è sconfitta  la democrazia con gli elettori  indifferenti al potere che hanno delegato e disinteressati a capire se è stata  guerra o pantomima.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Stati Uniti d'Europa - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 11 luglio, è disponibile in edicola e in app