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11 luglio, 2025Ottomila persone sono state trucidate nell’eccidio del luglio 1995 e gettate nelle fosse comuni. Un laboratorio in Bosnia lavora per restituire a ognuno di loro, e ai loro cari, un’identità
Causa del decesso: fratture perimortali sulla mandibola e sul braccio destro. Età stimata: tra i 28 e i 35 anni. Sesso: maschio». Nel laboratorio di Tuzla, Bosnia-Erzegovina nord orientale, l’antropologa forense Dragana Vučetić analizza i resti di uno degli ultimi scheletri giunti sul suo tavolo di lavoro. Legato al femore sinistro dell’ossatura spicca una targhetta metallica, riporta il codice unico del Dna. «Se la famiglia di questa persona ha fornito il campione del Dna per il riconoscimento, entro un mese il laboratorio sarà in grado di farci sapere il nome di quest’uomo», spiega Vučetić mentre riordina e incastra come tessere di un mosaico ciò che resta del cadavere che ha sotto gli occhi, con la naturalezza data da un’esperienza ventennale. Erano infatti i primi anni Duemila quando ha iniziato a lavorare per l’International Commission on Missing Persons (Icmp), l’organizzazione internazionale che cerca di ricostruire, frammento dopo frammento, le identità delle persone scomparse.
Lei entrò da subito a far parte del team impegnato nell’identificazione delle vittime del genocidio di Srebrenica, il massacro compiuto dalle forze serbo-bosniache che proprio trent’anni fa, nel luglio 1995, sterminarono circa 8 mila uomini e ragazzi musulmani. Gli ordini li impartiva il criminale di guerra Ratko Mladić e tutto avvenne nel giro di poche ore. A nulla valse lo status di area protetta attribuito dall’Onu a Srebrenica. Né valse la presenza dei 400 Caschi blu olandesi che presidiavano la zona e si dimostrarono incapaci di intervenire per evitare la mattanza.

«Nel corso di questi anni abbiamo identificato circa settemila persone. Ma ne mancano all’appello ancora un migliaio. Significa che circa mille famiglie stanno ancora aspettando di ricevere una nostra telefonata per poter seppellire i loro cari», spiega Vučetić. «Diventa sempre più difficile trovare i resti di coloro che mancano, perché la localizzazione delle fosse comuni si basa molto sulle testimonianze visive, che ovviamente col passare del tempo si fanno sempre più confuse e inaffidabili. Il lavoro, tuttavia, proseguirà. Contiamo sul fatto che lo sviluppo di nuove tecnologie porterà a una semplificazione dei ritrovamenti».
Fu nell’aprile del 1992 che la guerra bosniaca scoppiò. Il contesto era quello delle spinte indipendentiste e delle rivendicazioni nazionaliste che portarono alla dissoluzione della Jugoslavia. L’intera regione dei Balcani meridionali fu travolta dalla violenza, ma la Bosnia-Erzegovina, che tra tutte le repubbliche jugoslave era la meno uniforme etnicamente, pagò il prezzo più alto. Il conflitto scaturito dall’aggressione dell’esercito jugoslavo a guida serba si esaurì nel 1995, e l’urgenza di fare la conta dei propri morti e di attribuire a ciascuno di loro la dignità di una lapide spinse il Paese ad adottare già nel 2000 un approccio per l’epoca innovativo, basato sull’applicazione sistematica e su larga scala dei test del Dna. Le identificazioni venivano effettuate tramite abbinamenti automatici generati da software, che confrontavano i profili genetici estratti dai resti umani non identificati con quelli forniti dai familiari delle persone scomparse, senza presupporre collegamenti predeterminati.
Nonostante all’inizio fosse stato etichettato come un procedimento troppo sperimentale, si rivelò efficace, al punto da essere ben presto preso come modello a livello mondiale. Solo in Bosnia-Erzegovina ha permesso di risolvere oltre il 70 per cento dei casi di persone scomparse, un risultato senza precedenti.
La ricostruzione delle identità delle vittime di Srebrenica, tuttavia, ha comportato un elemento di difficoltà ulteriore. «Nel luglio del 1995 ci sono stati almeno cinque luoghi di esecuzione. I responsabili, dopo aver compiuto gli omicidi, hanno cercato di nascondere le evidenze, così qualche tempo dopo hanno riaperto le fosse primarie e hanno trasferito parte dei corpi già in decomposizione in fosse secondarie. Questi spostamenti, effettuati con mezzi pesanti, hanno contribuito allo smembramento dei corpi, col risultato che i resti appartenenti a una singola persona spesso sono stati ritrovati a chilometri di distanza. «Questa è una situazione molto confusa e difficile perché in molti casi a Srebrenica non riusciamo a completare integralmente un corpo».
Ci sono famiglie per cui è sufficiente ritrovare anche una piccola parte di osso per procedere con l’identificazione ufficiale e la sepoltura. Altre invece preferiscono aspettare, il loro desiderio è ritrovare lo scheletro integrale prima di celebrare il funerale. «Ogni famiglia reagisce in maniera diversa. In altri casi ancora, il corpo è stato identificato ma alcuni componenti del nucleo preferiscono tenerlo nascosto alla madre della vittima e aspettare che anche lei non ci sia più per riconoscere il cadavere ufficialmente».
L’identificazione non è importante solo dal punto di vista emotivo per i parenti, ma ha anche un valore legale e giuridico fondamentale. «L’analisi forense dei resti è stata fondamentale per fornire prove documentate da usare nei procedimenti giudiziari. In questo contesto, il nostro lavoro supporta concretamente la ricerca, la denuncia e il perseguimento degli autori dei crimini» prosegue Vučetić.
Al di là del caso specifico di Srebrenica, la cooperazione tra croati e serbi nella ricerca di tutti gli scomparsi dovuti alla guerra ha rappresentato un passo importante nell’ottica della riconciliazione. Ma la strada è ancora lunga. A trent’anni dalla firma degli accordi di pace, la Bosnia-Erzegovina sta affrontando una delle peggiori crisi del dopo guerra, a causa delle spinte secessioniste della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba che insieme alla Federazione croato-musulmana compone il Paese. Ma Vučetić preferisce non parlare di politica. «Il mio lavoro è analizzare e identificare i resti umani, mi concentro su questo. Le famiglie che lo desiderano possono assistere ad alcune delle fasi. Quando capita si tratta di momenti che lasciano sempre una bella sensazione».
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