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28 luglio, 2025Tel Aviv ha attaccato Damasco con la scusa di difendere i drusi. Tutto questo per non permettere alla Turchia e all'Arabia Saudita di aumentare la propria influenza in Medio Oriente
Le esplosioni, le colonne di fumo, le sirene antiaeree hanno riportato la guerra a Piazza degli Omayyadi, storico cuore di Damasco, con interi quartieri al buio per diverse ore. La capitale siriana è stata ripetutamente colpita da droni israeliani che hanno preso di mira il quartiere governativo ferendo due civili, mentre sul cielo damasceno incrociavano i caccia di Tel Aviv.
Damasco non è stato l’unico obiettivo dei raid israeliani che hanno martellato alcuni siti militari nella regione costiera di Latakia, la città di Daraa ed il governatorato meridionale di Suwayda, la provincia a maggioranza drusa. Le azioni di Tel Aviv nascono dopo i pesanti scontri proprio a Suwayda, dove le tribù sunnite beduine hanno attaccato con armi pesanti la comunità drusa provocando circa 600 morti. Stando ai dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, le forze di sicurezza inviate dai ministeri degli Interni e della Difesa per riportare la calma avrebbero giustiziato sommariamente 37 civili di etnia drusa, dimostrando ancora una volta come il nuovo governo siriano colpisca le minoranze del Paese. Israele inizialmente ha anche permesso un massiccio spostamento trans-frontaliero di drusi israeliani per supportare la resistenza nel Sud, bloccandolo in seguito, ma ha minacciato per bocca del suo ministro della Difesa di colpire ancora più duramente se i drusi saranno nuovamente attaccati.
Dal crollo del regime di Assad, evento nel quale aveva già giocato una parte, Tel Aviv ha mostrato un crescente interesse negli affari interni siriani e il nuovo governo di Ahmad al-Sharaa ha accettato di aprire una trattativa con Israele per il controllo delle Alture del Golan. La Siria rinuncerebbe ufficialmente a due terzi delle Alture in cambio del ritiro delle forze israeliane dal territorio occupato nelle ultime fasi della guerra civile. Una proposta che il governo di Benjamin Netanyahu non ha ritenuto sufficiente e ha deciso di utilizzare gli scontri etnici come grimaldello per scardinare lo stato siriano.
L’obiettivo israeliano è quello di creare una zona demilitarizzata sul confine siriano, per evitare una situazione simile a quella libanese. Il governo di Tel Aviv non si fida degli ex qaedisti ora al potere a Damasco e punta a controllare la Siria. Il presidente siriano al-Sharaa è apparso alla televisione nazionale del nuovo governo “Al Ikhbariah al Souriyya” accusando Israele di cercare di innescare una escalation per approfittare della situazione. Il leader siriano ha poi ringraziato gli Stati Uniti, la Turchia e l’Arabia Saudita per essere intervenuti per mediare prima che la violenza dilagasse, ma ha più volte ribadito che il suo popolo non teme la guerra e ha diffidato Netanyahu dal continuare a colpire sedi governative e civili inermi. Nel suo discorso alla nazione l’uomo forte di Damasco ha anche voluto mandare un messaggio di riconciliazione, concordato con turchi e sauditi, annunciando il trasferimento del mantenimento della sicurezza a Suwayda ai drusi.
Il primo cessate il fuoco è durato soltanto poche ore e il ministro della Difesa ha dovuto reinviare le forze speciali per riprendere il controllo della situazione. Ma tutto resta estremamente precario e gli scontri con i beduini si sono ripetuti anche nel villaggio di Kanaker, alla periferia Sud della capitale, mentre Israele attaccava ancora, colpendo il piccolo centro abitato di Valaga, poco oltre il confine. Il governo di al-Sharaa ha accusato i drusi di aver rotto la tregua, sobillati da Israele, ed ha definito le milizie di Suwayda come «forze fuorilegge».
Dietro il tentativo di pacificazione sembra che ci sia la mano del ministro degli Esteri turco Hakan Fidan che ha sentito telefonicamente al-Sharaa spingendolo a ridurre al minimo le argomentazioni di Tel Aviv per espandere il suo raggio d’azione. Ankara sostiene che Israele stia cercando di destabilizzare tutto il Medio Oriente e soprattutto la Siria, che sta cercando un difficile equilibrio.
Il presidente turco Erdogan ha accusato Tel Aviv di comportarsi come uno Stato terrorista e di utilizzare la scusa dei drusi per rubare territorio alla Siria, boicottando ogni trattativa di pace. Il ritorno delle forze armate nazionali è avvenuto con il benestare di Israele e l’accordo per l’allontanamento delle tribù beduine è stato appoggiato dai sauditi, principali mentori insieme a Erdogan del nuovo corso siriano. Il complesso mosaico locale è composto da religioni, etnie e culture diverse che convivono da secoli, ma che oggi in tanti cercano di distruggere. La grande capitale, ferita ancora una volta, è composta da quartieri cristiani, drusi, armeni, circassi, alawiti, che convivono con la grande maggioranza dei musulmani sunniti.
Benjamin Netanyahu ha dichiarato che tutte le sue azioni sono dettate soltanto dal desiderio di proteggere i fratelli drusi siriani e di aver bloccato una risposta terrestre ancora più diretta della comunità drusa che vive in Israele. Il piano del premier israeliano prevede un Medio Oriente “addomesticato” con un Libano dove Hezbollah viene disarmato dall’esercito, una Giordania fedele alleata e sopratutto una Siria debole e frammentata con intere regioni sotto il controllo di alleati di Tel Aviv. Tutto questo per non permettere alla Turchia di aumentare la sua influenza e nemmeno all’Arabia Saudita, vicina alla Siria e anche al governo libanese. Dopo ave sradicato l’Iran da Siria e Libano, Israele vuole diventare potenza egemone regionale e non importa quanti fronti di guerra sarà necessario aprire per ottenerlo.
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