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30 luglio, 2025L’equipaggio della Madleen voleva portare aiuti nella Striscia. Ma è stata fermata e i suoi componenti incarcerati o deportati. E ora la giustizia spagnola indaga su Bibi
È il primo mercoledì di luglio quando il tribunale numero sei dell’Audiencia Nacional – la massima Corte spagnola – apre un’indagine penale contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant e altri vertici dello Stato e dell’esercito israeliano. L’accusa è: gravi violazioni del diritto internazionale a causa dell’assalto armato alla nave umanitaria “Madleen”, parte della Freedom Flotilla Coalition, diretta a Gaza, avvenuto il 1° giugno 2025.
A sporgere denuncia è stato l’attivista spagnolo e membro dell’equipaggio Sergio Toribio, che ha invocato il principio della giurisdizione universale secondo la legge spagnola: un principio che consente ai tribunali nazionali di perseguire i crimini più gravi, anche se avvenuti all’estero, quando gli autori o le vittime hanno legami con il Paese. Inoltre, l’ordinanza chiede la cooperazione della Corte penale internazionale, che ha pendente un mandato di arresto internazionale nei confronti di Netanyahu per crimini contro l’umanità, e segnala l’assalto alla Madleen come prova che, a Gaza, Israele stia commettendo un genocidio.
Secondo quanto denunciato, le forze israeliane hanno abbordato la nave in acque internazionali con elicotteri, droni, armi da fuoco e gas lacrimogeni, poi sequestrato l’imbarcazione, rapendo, detenendo e deportando l’equipaggio. Da qui il procedimento penale aperto in Spagna contro Netanyahu e altri funzionari, accusati da Toribio di crimini di guerra, crimini contro l’umanità, sequestro illegale e trattamento degradante dell’equipaggio della Freedom Flotilla.
A bordo della nave c’erano 12 civili disarmati, tra cui l’attivista brasiliano Thiago Avila, con cui l’Espresso ha ricostruito gli eventi di quel 1° giugno.
«Stavamo partecipando a una missione, parte della lotta storica della Freedom Flotilla, con l’obiettivo di rompere l’assedio illegale imposto a Gaza da Israele da ormai 18 anni. Dopo otto giorni di navigazione, a circa 100 miglia nautiche da Gaza, in acque internazionali, siamo stati intercettati e sequestrati con la forza da militari israeliani. Siamo stati portati contro la nostra volontà al porto di Ashdod e poi detenuti per quattro giorni in Israele, prima di essere rimpatriati. Appena saliti a bordo, i soldati israeliani hanno interrotto ogni comunicazione, tagliando il router satellitare. Siamo rimasti isolati dal mondo, bloccati per 22 ore sulla barca con circa 12-15 soldati armati. Ad Ashdod ci hanno chiesto di firmare un documento in cui avremmo ammesso di aver cercato di entrare illegalmente in Israele, cosa non vera. Chi non firmava, sarebbe stato mandato in prigione».
Lei è stato messo in prigione, prima in celle comuni poi in isolamento. Perché?
«Dopo averci dato un altro documento da firmare per essere deportati, e dopo aver rifiutato anche quello, hanno separato il gruppo. Alcuni hanno deciso di firmare per poter tornare in Europa e raccontare la verità su quanto stava accadendo. Altri otto di noi sono stati portati nella prigione di Givon, vicino a Tel Aviv. I primi due giorni li abbiamo passati in celle comuni. Nel frattempo io avevo iniziato lo sciopero della fame e della sete, e per questo sono stato trasferito in isolamento nella prigione di massima sicurezza di Ayalon, dove sono rimasto per altri due giorni. Nel carcere di Givon non ci era permesso parlare con nessuno, nemmeno con altri detenuti. Non ci lasciavano chiamare familiari o avvocati. Solo quando ci hanno portati in tribunale, abbiamo potuto finalmente parlare con i nostri legali!.
Può raccontare i suoi giorni in isolamento?
«Ad Ayalon ero in un corridoio con otto celle, tutte occupate da palestinesi, ma non ho mai visto nessuno: era tutto buio, non si capiva nemmeno quando fosse giorno o notte. Sono stato ammanettato ai polsi e alle caviglie, con manette talmente strette da compromettere la circolazione. C’erano topi, scarafaggi, e urla continue provenienti dalle celle vicine. Era evidente che stessero picchiando qualcuno. Per farmi fare qualsiasi spostamento mi spingevano. Ayalon è molto peggio della prigione di Givon, anche se pure lì ci impedivano di dormire con continue incursioni notturne e grida».
Avete avuto contatti con prigionieri palestinesi?
«No, hanno fatto di tutto per impedirlo. Ma nelle carceri israeliane ci sono oggi circa 10mila prigionieri palestinesi in detenzione amministrativa, oltre 400 dei quali sono bambini, sottoposti a condizioni terribili».
Cosa è successo dopo la vostra liberazione?
«Dopo quattro giorni, ci hanno messo su aerei per tornare nei nostri Paesi. Ma proprio in quei giorni Israele ha bombardato l’Iran e ha chiuso l’aeroporto. Tre membri della Flotilla sono rimasti bloccati per altri quattro giorni prima di uscire dalla Giordania».
Perché l’assalto alla Madleen può essere una prova che a Gaza si stia commettendo un genocidio?
«Israele ci ha intercettati in acque internazionali, violando la Convenzione sul Diritto del Mare (ndr. le acque territoriali si estendono fino a 12 miglia nautiche dalla costa. Quando è stata attaccata la nave si trovava a circa 100 miglia da Gaza; Israele non poteva quindi rivendicare alcun tipo di sovranità su quel tratto di mare) e rendendo illegale il nostro arresto. Inoltre, la Corte Internazionale di Giustizia aveva già stabilito, in via provvisoria, che nessuno può ostacolare aiuti umanitari verso Gaza, considerando il rischio concreto di genocidio. Trattandosi di una missione umanitaria, il blocco della Madleen non solo viola la sentenza della Corte, ma dimostra che Israele sta commettendo un genocidio a Gaza».
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