Opinioni
31 luglio, 2025Non basta federare delle sigle. Il nodo è ampliare l’attrattività della proposta progressista
Più centro, o più riformismo? Tutto finisce dentro la centrifuga del chiacchiericcio di una certa politica nostrana. E dire, appunto, che il cantiere del centro non corrisponde esattamente alla discussione sulla cosiddetta tenda riformista. Nel primo ambito rientra, difatti, anche la situazione di Forza Italia, con le ricorrenti sferzate dei figli di Silvio Berlusconi alla dirigenza molto “romana” del partito, auspicando evidentemente qualcosa di diverso. Mentre il tema dell’accampamento da rinfoltire riguarda soprattutto quello che un tempo era il centrosinistra (in alcune sue versioni vittorioso a livello nazionale), ed è oggi diventato un sinistracentro, nettamente spostato sulla prima componente. Fin troppo per assicurare tutte le chance di competitività elettorale necessarie nella gara con la maggioranza di governo.
Nel frattempo l’affaire Milano sembra avere bruciato le aspirazioni del sindaco Beppe Sala a fare il federatore della «gamba centrista» del (problematico) campo progressista. La metropoli di sicuro non è più – e da tempo – la «capitale morale» del Paese (di per sé stesso sempre più amorale, diciamo così…), ma rappresenta la vetrina per eccellenza di quel dinamismo e di quei processi (seppur ambivalenti) di modernizzazione a cui guardano in maniera naturale i riformisti che, da Filippo Turati in avanti, hanno trovato qui una delle loro culle. E, infatti, a Milano di recente è nato anche il Circolo Matteotti che vuole fare da rete e rinnovata casa comune per i vari “accampati” che si riconoscono in questo orientamento nell’ambito dei partiti di sinistra. Se si adotta questo angolo visuale, in effetti, la formula della “tenda riformista” appare calzante sotto il profilo metaforico; e, a nobilitarla, ci pensa comunque il lessico politico americano, molto aduso alla concezione della tenda che ospita molteplici sensibilità (specialmente nella versione del partito pigliatutto).
All’italiana – ovvero nella logica del fatto compiuto e in maniera inerziale – il bipolarismo continua, in vesti che si rinnovano di volta in volta, a rappresentare una sorta di legge di gravità della politica nazionale. E ne hanno (in modo differente) preso atto pure i contraenti del progetto originario del Terzo polo, naufragato nei loro insuperabili litigi. Così, Carlo Calenda ha sospinto Azione su un terreno a tratti abbastanza neutrale nei confronti della maggioranza, e tutt’altro che indisponibile a fare gioco di sponda con Giorgia Meloni su certe questioni, mentre Matteo Renzi si è praticamente trasformato nel più irriducibile – e mediatico – antagonista della premier.
Quello dell’area riformista e del rafforzamento del centro della coalizione di sinistra non è esclusivamente – e, a dire il vero, neppure in primis – una questione di aritmetica. Il nodo più rilevante, infatti, è quello di ampliare l’attrattività della proposta politica dei progressisti, e di mostrare la capacità di rivolgersi a determinati ceti e gruppi sociali del Paese (che un tempo sarebbero stati qualificati come “moderati”), provando a rivolgere loro un’offerta che non li consegni all’astensionismo (o, direttamente, al destracentro). E per raggiungere questo obiettivo non basta federare delle sigle, ma serve un profilo programmatico coerente, che è precisamente quanto manca al momento.
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