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30 luglio, 2025Le istituzioni comunitarie devono trasformarsi. A partire da un gruppo di Paesi più coeso che deve portare avanti una vera integrazione. Prosegue il dibattito de L’Espresso
L’Unione europea è giunta a un tornante storico. L’unificazione continentale – dall’Ucraina alla Moldova, dalla Georgia ai Balcani occidentali – non è solo un nuovo capitolo dell’integrazione, ma la prova di maturità del progetto europeo. In gioco non c’è soltanto la geopolitica, ma la tenuta istituzionale, la coerenza democratica e l’efficacia dell’azione comune. Senza una riforma profonda, l’allargamento rischia di tradursi in disgregazione silenziosa, paralisi decisionale e perdita di credibilità. Il peso della decisione all’unanimità per esteri, difesa, bilancio e investimenti non è più sostenibile. Un’Europa a trentacinque o più Stati membri, in cui uno può bloccare tutti, è destinata alla paralisi. Dobbiamo cambiare logica. Non vogliamo obbligare tutti i Paesi a condividere gli stessi obiettivi con lo stesso ritmo e impegno. Ma non possiamo più accettare che chi vuole procedere verso un’Unione politica sia bloccato dai veti dei più recalcitranti.
Il veto è incompatibile con l’Europa di cui abbiamo bisogno: più efficace, potente e democratica. Ecco perché serve un’Europa della libera scelta politica, con un nucleo federale e un’intensità di partecipazione differenziata tra i Paesi, secondo legittime scelte nazionali. Un gruppo può approfondire l’integrazione con metodo federale nelle politiche dove è evidente il bisogno di azione europea: eserciti, diplomazia, investimenti. Chi non segue questa direzione resta nell’Unione, in particolare nel mercato unico, che va comunque completato. L’Unione riformata deve anche promuovere una nuova architettura di stabilità continentale – un nuovo Atto di Helsinki da lanciare dopo la guerra in Ucraina – con attori come Regno Unito, Canada, Norvegia, Usa.
L’unificazione ci impone una domanda: che Europa vogliamo costruire? Una piattaforma commerciale con regole minime e interessi divergenti, destinata a subire le scelte di altri? O una potenza politica capace di proteggere, investire, difendere e guidare? La risposta, per coerenza con il progetto europeo, non può che essere la seconda. Ma per diventarlo, servono strumenti all’altezza. Occorre un nuovo metodo: non più fondato sul bilanciamento delle prerogative statali, ma su un esercizio comune della sovranità, più efficace e democratico. Significa usare tutte le possibilità dei trattati per decidere a maggioranza e avanzare per gruppi di Stati, ma anche modificare i trattati prima di nuove adesioni. Serve dotare l’Unione di maggiori risorse proprie e di una capacità fiscale autonoma. Fare del bilancio europeo un motore strategico per investimenti, innovazione, sicurezza e coesione. Costruire una democrazia transnazionale: un Parlamento europeo che legiferi su tutte le materie condivise, con cittadini che eleggano parte dei deputati votando partiti europei e un vero presidente dell’Unione, che presieda la Commissione e il Consiglio europeo.
Una vera democrazia federale decide su ciò che conta e risponde a chi vota. Non si tratta di tecnicalità: è restituire all’Europa la possibilità di esistere e agire in un mondo che non aspetta. La guerra in Ucraina, la pressione migratoria, la competizione tecnologica, la transizione ecologica e l’instabilità globale sono sfide che nessuno Stato membro può affrontare da solo. In un mondo dove conta la forza più delle regole, l’Unione o si dà potenza o si sottomette. Il federalismo è la miglior garanzia di libertà, rispetto della diversità e pluralismo. Essere sovrani non è sventolare bandiere, ma poter modificare la realtà secondo valori e interessi. Su temi strategici, la sovranità si ritrova solo esercitandola insieme. La libertà così ritrovata garantisce anche il rispetto delle identità nazionali, del ruolo di Stati, regioni, comuni e minoranze. Federalismo significa anche più pluralismo e decentramento.
Le resistenze esistono. Alcuni governi temono di perdere controllo. Ma la vera perdita è l’incapacità di rispondere ai cittadini. Un’Europa che promette e non mantiene, che parla ma non decide, alimenta sfiducia. L’euroscetticismo cresce dove manca l’Europa che serve. L’unico antidoto è un’Unione che funziona, protegge e guida. Un’Unione che dimostra che democrazia ed efficacia non sono opposti ma condizioni reciproche.
Il percorso verso questa nuova Europa deve cominciare ora. Basta ambiguità. Non si può voler unificare il Continente e diventare più potenti senza adottare le riforme per renderlo possibile. L’idea di un nucleo federale che avanza più rapidamente non è una rinuncia all’unità: è la chiave per salvarla. La cooperazione rafforzata deve essere motore di avanzamento, non via d’uscita. Sempre aperta a chi vuole aderire, nel rispetto dell’uguaglianza tra Stati e popoli. O procediamo su questa via – assolutamente possibile – oppure gli Stati più volenterosi avranno ragione a voler avviare un nuovo percorso fuori dai trattati Ue. Le tendenze della Storia non si bloccano con i veti: si affrontano con leadership e visione. La nostra ambizione non può essere subire, ma guidare. L’unificazione può essere l’occasione per passare da un’Europa delle regole a una della politica. Da un mercato interno a una comunità di destino. Da una coesistenza a una cittadinanza pienamente politica. È il tempo delle scelte: vogliamo essere tra i costruttori del nuovo ordine mondiale o scivolare nell’irrilevanza? Lo status quo garantisce irrilevanza. La scelta federale, porta efficacia, potenza, democrazia e rispetto delle identità e delle diversità. La generazione dei padri fondatori ha costruito la pace contro le potenze nazionaliste. Noi figli e nipoti rifondatori abbiamo il dovere di costruire una nuova potenza democratica. L’Europa adulta non può essere una somma di egoismi e reticenze, ma una federazione volontaria di popoli liberi. Non è tempo di adattamenti. È tempo di trasformazioni. È tempo di Stati Uniti d’Europa.
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