Mondo
11 agosto, 2025A 60 anni dal Voting rights act e a 70 dall’omicidio di Emmett Till, Trump dichiara guerra a diversità e inclusività, pilastri delle conquiste del Paese che precipita nell’incubo
Nell’America che ha riportato Donald Trump alla Casa Bianca, non ci sarebbe mai stato spazio per un presidente come Barack Obama. E forse neppure per un deputato come Bennie Thompson, rappresentante del Mississippi dal 1993, voce storica dei diritti civili. Chi lo ha votato di nuovo, lo sapeva. Lo sapeva sin da Charlottesville nel 2017, quando una donna antifascista fu uccisa da un suprematista durante una manifestazione di estrema destra e Trump si limitò a dire solo che c’era «brava gente da entrambe le parti». Lo sapeva dal 6 gennaio 2021, quando i sostenitori, fomentati dalle sue parole, assaltarono il Campidoglio. A quasi sette mesi dal ritorno alla Casa Bianca, l’impianto razzista della nuova amministrazione se non può essere una sorpresa è sicuramente una promessa mantenuta alla sua base.
«L’idea che l’America sia un Paese “puro”, governato da bianchi, con i neri, gli ispanici e le altre minoranze nelle retrovie sta diventando oggi sempre di più una realtà. La Casa Bianca sta smantellando molte conquiste ottenute con fatica». Quando lo raggiungiamo al telefono, il congressman Thompson si trova nel suo ufficio a Jackson, in uno degli Stati maggiormente segnati dalla piaga della segregazione. È il più longevo esponente afroamericano a Capitol Hill dal Mississippi e l’unico membro democratico della delegazione statale. Il suo nome è diventato molto influente a livello nazionale dopo aver presieduto la commissione parlamentare d’inchiesta sull’assalto a Capitol Hill. Ruolo per cui è stato insignito da Joe Biden della Presidential citizens medal, il secondo più alto riconoscimento civile statunitense.
Il 2025 segna due anniversari fondamentali: 60 anni del Voting rights act, che si proponeva di garantire agli afroamericani pari accesso alle urne, e 70 dall’omicidio di Emmett Till, il cui martirio scosse l’America e diede slancio al movimento per i diritti civili. Ricorrenze che Thompson avrebbe voluto celebrare come pietre miliari sulla via dell’uguaglianza. E che invece è costretto a usare per denunciare lo «smantellamento delle protezioni che il Congresso aveva attuato per garantire equità e inclusione».
Till aveva 14 anni quando, nel 1955, fu rapito e ucciso in Mississippi da due uomini bianchi che lo accusavano di avance a una donna bianca. Assolti da una giuria bianca, non furono mai puniti. La madre, mostrando il corpo martoriato in una bara aperta, costrinse l’America a guardare in faccia gli orrori del razzismo. «Ero piccolo al tempo – ricorda Thompson – ma ricordo che se ne parlava tanto, sia a scuola che in chiesa. La morte di un ragazzo così giovane scosse l’opinione pubblica: fino ad allora, la violenza razzista colpiva soprattutto adulti. La vicenda prese visibilità, alimentata da una pressione crescente». Ora senza paura di esagerare ammonisce: «Se non agiamo velocemente l’America potrebbe tornare a quell’era».
Sin dall’inizio del secondo mandato, il presidente repubblicano dichiara guerra alla «diversità e inclusività«. Smantella i programmi Dei (Diversity, equity, and inclusion) a livello federale, chiude uffici dedicati, sospende impiegati e impone la cancellazione di ogni riferimento dai siti governativi. Il Dipartimento di Giustizia minaccia di tagliare i fondi a università e istituzioni che non si adeguano. Big Tech come Google e Meta si allineano per evitare ritorsioni. Nel mirino finiscono anche i diritti delle persone transgender e l’intero movimento woke. Intanto la nuova legge di bilancio taglia Medicaid, buoni alimentari e prestiti studenteschi, ampliando il divario sociale.
«Sono turbato. Io sono il risultato di un sistema di governo che ha reso il campo di gioco più equo. All’epoca, il Mississippi era troppo razzista per permettere a un nero di candidarsi e vincere un incarico pubblico – racconta il deputato – il mio è un distretto creato dalle leggi sul voto per eliminare discriminazioni alle urne e garantirci il diritto di eleggere i nostri rappresentanti. Ma il Dipartimento di Giustizia ora mette in discussione persino la necessità di leggi sul diritto di voto». L’esempio che ci fa è quello del Texas, dove il governatore Greg Abbott, spinto dalla Casa Bianca, ha convocato una sessione straordinaria per ridisegnare i collegi elettorali e crearne cinque nuovi a favore dei repubblicani, in vista delle elezioni di midterm. «Vogliono ridurre il peso elettorale delle minoranze, Trump continua a togliere loro diritti».
Il presidente ha sempre respinto le accuse, sostenendo che l’uso del criterio razziale nell’accesso al lavoro o all’università – applicato da governi sia democratici che repubblicani – rappresenti esso stesso una forma di discriminazione. A suo dire, solo la “meritocrazia” dovrebbe contare. Ma questa visione ignora un dato essenziale: negli Stati Uniti il razzismo sistemico continua a produrre un profondo divario. Nonostante anni di battaglie per i diritti civili, la parità economica resta infatti lontana. Le famiglie nere incontrano ancora ostacoli maggiori per ottenere un mutuo, una casa, un’assicurazione sanitaria. Gli afroamericani vengono incarcerati molto più dei bianchi (sono il 13% della popolazione, ma il 37% dei detenuti) e restano un forte bersaglio della violenza della polizia. È inoltre provato che a parità di curriculum i loro nomi siano un fattore discriminante al momento dell’assunzione. Gli effetti a lunga durata della schiavitù e della segregazione si sentono poi anche sulla salute: vivono in quartieri maggiormente inquinati, affrontano più malattie croniche. Le donne ricevono meno cure in gravidanza e il tasso di mortalità è più alto. Ancora oggi se volete parlare con un impiegato nero avete più chance di incontrarlo se andate da McDonald’s più che negli uffici di Wall Street.
È importante sottolineare che i programmi Dei non negano il merito: nati col Civil rights act del 1964, servono a rimuovere gli ostacoli che per decenni hanno escluso donne, disabili e minoranze. A svelare l’ipocrisia è lo stratega repubblicano Melik Abdul, che sul New York Times ha commentato: «Se fosse davvero solo una questione di merito, non avremmo Pete Hegseth» come ministro della Difesa (carica controversa per inesperienza, problemi di alcol e accuse di abusi sessuali), in un’amministrazione tra le più bianche e meno inclusive degli ultimi decenni.
Il razzismo sistemico è una realtà che il movimento Maga non vuole riconoscere. «Credono anzi che venga dato troppo – spiega il deputato – in Arkansas c’è una comunità descritta come “solo per bianchi”, mentre sull’immigrazione l’America che un tempo accoglieva gli oppressi ora dice: Tornate indietro».
Tra le conseguenze che Bennie Thompson teme di più c’è il depotenziamento del ministero dell’Istruzione, che supervisiona borse di studio e programmi per studenti a basso reddito e con disabilità, e previene discriminazioni. «Io, come molti altri, sono andato avanti perché il Dipartimento aveva imposto allo Stato del Mississippi di garantire agli studenti neri un’istruzione equa, come quella dei bianchi», dice prima di chiudere, preoccupato che quel senso di colpa collettivo nato con Obama, che aveva portato a politiche riparative, oggi sia stato ribaltato da Trump e trasformato in un’arma per proteggere l’America bianca. Ancora una volta sulla pelle dei più vulnerabili.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Il diritto alle vacanze - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 15 agosto, è disponibile in edicola e in app