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7 agosto, 2025Nega l’emergenza, esce dagli accordi sul clima, smantella le tutele per i danni dall’inquinamento, taglia gli incentivi al green per darli al fossile. Il j’accuse dell’ex direttrice dell’Epa, Gina McCarthy - L'intervista
A Washington c’è una porta chiusa che racconta più di qualunque dichiarazione formale il tramonto della leadership ambientale degli Stati Uniti. È quella dell’ufficio del National Climate Advisor alla Casa Bianca, istituito da Joe Biden nel 2021 per guidare la lotta al cambiamento climatico. Oggi è vuoto, nessuna attività. Un tempo lo guidava Gina McCarthy, volto storico del green americano, già a capo dell’Epa – l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente – durante la presidenza Obama.
«Donald Trump non sta solo affossando la reputazione degli Usa, sta minando la nostra credibilità e la capacità di incidere sulla scena internazionale. Ma noi rimaniamo attivi anche senza guida federale, come Stati, come città, come privati», dice a L’Espresso in un colloquio che va ben oltre lo sfogo di un’ex funzionaria democratica. McCarthy, infatti, ha collaborato anche con Mitt Romney, uno di quei repubblicani che ancora leggevano i rapporti scientifici. Ma nella nuova America Maga, il cambiamento climatico è un complotto.
Trump ha ritirato per la seconda volta gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi e ha disinnescato l’Inflation Reduction Act del suo predecessore, contenente il più ambizioso pacchetto ambientale mai varato, di cui l’ex consigliera è stata architetta. Il presidente ha definitivamente azzoppato gli ultimi sforzi climatici con il Big Beautiful Bill, la maximanovra approvata il 4 luglio. Stop ai crediti fiscali per solare, eolico e auto elettriche; tagli ai fondi per progetti antinquinamento; nuovi incentivi per petrolio, gas e carbone, con via libera a trivellazioni su terre e mari federali.
Se l’amministrazione Biden aveva fissato l’obiettivo di ridurre le emissioni almeno del 50 per cento entro il 2030, il nuovo governo non solo non ha indicato alcun traguardo, ma continua a minimizzare la crisi. Il tutto in un momento cruciale: dopo anni di calo, le emissioni rischiano di tornare a salire, mentre il Paese è già alle prese con precipitazioni atmosferiche sempre più terrificanti. L’America resta il secondo emettitore di gas serra dopo la Cina, ma con una popolazione quattro volte più piccola. Storicamente, nessun altro Paese ha contribuito di più alla crisi climatica.
McCarthy, quanto la ferisce vedere smantellate le iniziative ambientali di Obama e Biden a cui ha contribuito ?
«Sono delusa dalla leadership del governo federale. Il presidente nega il cambiamento climatico e il Congresso sostiene i suoi sforzi per eliminare le politiche a favore delle energie pulite e di allontanamento dai combustibili fossili, per ridurre i costi per le famiglie, generare nuovi posti di lavoro e far progredire gli Stati Uniti. Sta facendo l’opposto di quanto raccomanda la scienza. È imbarazzante vedere quanto siamo arretrati negli ultimi sei mesi».
Prove e dati oggettivi sembrano non contare più nulla.
«È incredibile che si possa negare la scienza, specialmente qui. Basti guardare ai fatti recenti: in Texas le alluvioni hanno causato oltre 130 morti e danni tra i 18 e i 22 miliardi di dollari; in California ci sono stati incendi devastanti, a New York le metropolitane si sono allagate a causa dei temporali. Dovremmo concentrarci solo su come garantire alle nostre comunità le risorse necessarie per essere messe in sicurezza».
Che fine farà l’Agenzia per la Protezione dell'Ambiente?
«Stanno smantellando l’Epa, svuotandola degli scienziati, in modo che il tema del clima venga escluso dal dibattito. Si preparano ad abrogare l’endangerment finding, un regolamento adottato quando ero in carica che riconosceva il danno delle emissioni di gas serra per la salute. Ci aveva permesso di ridurle e di prevenire problemi. Ora, invece, gli Stati Uniti non potranno più regolamentarle. È un tradimento della fiducia che i cittadini hanno riposto nell’ente».
Quali sono le azioni più pericolose intraprese fino a ora?
«L’approvazione della legge finanziaria ha sottratto risorse ingenti agli investimenti nelle energie pulite, per destinarle ai combustibili fossili. Ha smantellato le tutele non solo per il clima, ma anche per la qualità dell’aria, dell’acqua, la gestione dei rifiuti e il problema della plastica. Ma voglio essere chiara su un punto».
Ci dica.
«Mentre queste politiche accadono a livello federale, gli Stati non stanno rimanendo a guardare. Mi riferisco a governatori, sindaci, comunità locali. Non permetteremo a Trump di indebolire la forza, la vitalità e la salute degli Stati Uniti d’America».
Il passo indietro degli Usa porta conseguenze a livello internazionale. La cooperazione climatica rischia di bloccarsi?
«A questa amministrazione non interessa tutto il lavoro fatto per arrivare all’Accordo di Parigi. Ma ci sono ancora persone come me che partecipano ai dialoghi internazionali. Le organizzazioni sanno che possiamo fare molto anche senza un coordinamento federale. È importante ricordare che il 93 per cento della nostra nuova capacità elettrica arriverà da solare, eolico e batterie. Il settore privato sta investendo 2,2 trilioni di dollari nel clean tech. Il mondo imprenditoriale sa dove va il futuro e si sta muovendo. Molti collaborano con Bloomberg Philanthropies al programma “America is all in” (che punta a rispettare gli impegni climatici presi con l’Onu). Mike Bloomberg lo finanzia personalmente. Saremo a Rio, a San Paolo, ovunque serva per costruire alleanze. Governatori e sindaci parteciperanno alle Cop. Dobbiamo spiegare al mondo che stiamo andando avanti».
In che direzione vanno i giovani?
«Ho grande fiducia: studiano nelle università, non negano il cambiamento climatico e non approvano le scelte sull’immigrazione. I risultati che stiamo ottenendo nell’energia pulita sono merito dei giovani che si impegnano a fare la cosa giusta. Ci ritroviamo a dover lottare per il nostro futuro, quando invece dovremmo investirci pienamente. È scoraggiante, ma non durerà».
Per la prossima amministrazione – sempre che voglia farlo – quanto sarà difficile recuperare il terreno perduto?
«Servirà tempo per ricostruire, ma la priorità è rafforzare gli strumenti che aiutano a far comprendere cosa c’è davvero in gioco. Non possiamo più permetterci un’altalena di politiche: buone con i democratici, distruttive con Trump e poi da capo. Dobbiamo colmare il divario tra i partiti, pensare meno alla politica. È su questo che ho lavorato per oltre quarant’anni».
La sua è una carriera che lascerà il segno in questo Paese. Quale considera il suo successo più importante?
«Non ho mai cercato di forzare oltre ciò che le persone erano pronte ad accettare. Ho lavorato in due amministrazioni locali, per sei governatori – cinque dei quali repubblicani – e poi per i presidenti Obama e Biden. La cosa che ho apprezzato di più è stata la possibilità di dialogare con esponenti di entrambi i partiti. Bisogna progettare il cambiamento in modo che possa avanzare, anche senza risultati immediati, lavorando per far passare politiche che mostrino alle persone che una strada è possibile, permettendo loro di correre verso il proprio traguardo. Questo è ciò che ho imparato in tanti anni di governo: non si pretende la risposta perfetta, ma qualcosa di migliore per le persone».
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