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8 agosto, 2025Il semaforo verde ai cinque punti del piano dopo una riunione di oltre 10 ore. L'Idf si sfila: "Non esiste una risposta umanitaria". L'Onu: "Israele si fermi". Ma Smotrich: "Stiamo cancellando lo Stato di Palestina"
Dopo una riunione-fiume di oltre dieci ore che si è protratta fino alle 4 di questa notte, è arrivato il semaforo verde da parte del gabinetto di sicurezza israeliano al piano di Benjamin Netanyahu: Tel Aviv occuperà Gaza City, la principale città della Striscia dove vivono oltre un milione di palestinesi. "Il gabinetto politico e di sicurezza ha approvato la proposta del primo ministro per la sconfitta di Hamas. L'Idf si preparerà a prendere il controllo della città di Gaza, garantendo assistenza umanitaria alla popolazione civile al di fuori delle zone di combattimento — ha reso noto l’ufficio del premier israeliano —. La maggioranza assoluta dei ministri del gabinetto ha ritenuto che il piano alternativo presentato non avrebbe portato né alla sconfitta di Hamas, né al ritorno degli ostaggi”.
I cinque obiettivi dell'occupazione
L’ufficio di Netanyahu ha poi delineato i cinque punti di questa nuova fase della campagna militare a Gaza: “Smantellamento dell'arsenale di Hamas, ritorno di tutti gli ostaggi, vivi e deceduti; smilitarizzazione della Striscia; controllo della sicurezza da parte di Israele su Gaza; istituzione di un'amministrazione civile alternativa, che non sia né Hamas né l'Autorità Palestinese”.
Lo strappo con l'esercito
I lavori per dare il via libera al piano Netanyahu non sono stati indolori. Durante la riunione sono infatti emerse tutte le distanze tra il governo e l’esercito, con il capo di Stato maggiore dell’Idf — Eyal Zamir — che, dopo averlo già annunciato negli scorsi giorni, ha esplicitato la propria contrarietà anche di fronte ai ministri: "Non esiste una risposta umanitaria per il milione di persone che sposteremo a Gaza. Sarà tutto estremamente complesso. Propongo di rimuovere l'obiettivo del ritorno degli ostaggi tra gli obiettivi della guerra”. Uno dei punti più critici del piano prevede l’evacuazione forzata di oltre un milioni di abitanti “entro il 7 ottobre 2025”, secondo anniversario del massacro di Hamas.
Onu: "Il piano israeliano va fermato"
Se la contrarietà esplicita dell’esercito alle volontà di Netanyahu rappresenta la prima plastica spaccatura tra i vertici israeliani dall’inizio della guerra a Gaza, il richiamo dell’Onu è ormai una costante ogniqualvolta Netanyahu decida di spingersi oltre nella campagna militare nella Striscia. Per le Nazioni Unite, il piano del governo israeliano deve essere "immediatamente fermato", ha affermato oggi — 8 agosto — l'Alto commissario Onu per i Diritti umani, Volker Türk. Il piano, ha sottolineato, “è in contrasto con la sentenza della Corte internazionale di giustizia, secondo cui Israele deve porre fine alla sua occupazione il prima possibile, con la realizzazione della soluzione concordata dei due Stati e con il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione".
Per l'Alto commissario delle Nazioni Unite, "questa ulteriore escalation si tradurrà in un ulteriore esodo forzato di massa, ulteriori uccisioni, ulteriori sofferenze insopportabili, distruzione insensata e crimini atroci”. Protestano anche i leader internazionali. Per il premier britannico Keir Starmer, si sta andando incontro a ”un errore" che "porterà solo a ulteriori massacri”. Dure reazioni sono arrivate finora anche da Egitto e Turchia.
Smotrich: "Cancelleremo lo Stato di Palestina"
Ma il governo israeliano sembra deciso a perseguire il proprio progetto. Il ministro di ultradestra Bezalel Smotrich ha detto, chiaramente, che Israele “sta cancellando lo Stato palestinese”. E se il piano, come emerso negli scorsi giorni, ha ricevuto il preventivo via libera degli Stati Uniti, si scopre ora che Donald Trump avrebbe avuto a fine luglio una conversazione infuocata con Netanyahu, dopo che Netanyahu ha ripetuto, per l’ennesima volta, che “a Gaza non c’è fame”. Quella chiamata, come scrive Nbc News, sarebbe finita con le urla del tycoon contro il premier israeliano: un richiamo che, però, non si è tradotto nello stop alla campagna di occupazione di Gaza City.
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