Mondo
10 settembre, 2025Aliko Dangote è l’uomo più ricco del continente. Uscito indenne dalla transizione tra dittatura e democrazia, proprio come Donald promette cambiamenti storici per la Nigeria
Per qualcuno è un Donald Trump nigeriano, per altri solo un businessman da record, come conferma la sua nuova raffineria di petrolio, la più grande d’Africa. Lui si chiama Aliko Dangote, ha 68 anni ed è in cima alla lista dei paperoni del continente con una fortuna stimata dalla rivista “Forbes” in oltre 23 miliardi di dollari. Più che alla politica crede in se stesso. E con un sovranismo tutto suo promette ricchezza e prosperità a un Paese di 230 milioni di abitanti che nel 2050 potrebbe contarne quasi il doppio.
«L’Africa è stata una discarica di prodotti finiti» ha detto di recente. «Ora dobbiamo ricostruire il nostro Continente, da soli, senza contare sugli investimenti stranieri». Per Dangote la stampa locale ha coniato lo slogan “Make Africa Great” e lui Trump in effetti l’ha conosciuto, in Qatar, introdotto dall’emiro Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani. Riascoltate un suo discorso, nel quale mette in guardia dall’apertura dei mercati a tutti i costi. «Se la notte lasci le finestre spalancate ti ritrovi le zanzare in casa» ha detto con una metafora, giustificando i dazi di Trump e promettendo il rilancio dell’industria e posti di lavoro. In un Paese storicamente primo esportatore di greggio dell’Africa, è poi quasi inevitabile che punti anzitutto sul petrolio: benedizione e allo stesso tempo maledizione, con un corollario di corruzione e disastri ambientali, in particolare nella regione produttrice del Delta del Niger.
Ma da dove arriva Dangote? Si racconta che cominci gli affari da bambino, investendo la paghetta in un commercio di biscotti nel cortile di scuola. Figlio della borghesia di Kano, una città spazzata dall’harmattan, il vento del Sahel, continua gli studi di economia in Egitto. Al rientro è pieno di voglia di fare e, anche grazie al prestito di uno zio, avvia un import-export a Lagos: ed è proprio in questa megalopoli dai mille contrasti in riva all’Atlantico che fa fortuna. Un aiuto arriva pure dalla politica, che gli concede licenze di favore per gli acquisti di zucchero, riso e cemento: lo confermano comunicazioni del dipartimento di Stato americano, svelate da Wikileaks. A cavallo del millennio, Dangote supera indenne la transizione dalla dittatura militare alla democrazia liberale. «La sua regola fissa è stata sostenere i governi, di qualunque partito o colore», dice a L’Espresso Owei Lakemfa, scrittore e analista, già segretario generale dell’Organizzazione dell’unione dei sindacati africani. «È un imprenditore puro e semplice, molto più prevedibile di Trump: per la Nigeria e l’Africa non ha una visione politica».
Si vedrà. Intanto Dangote sfida quella che definisce la “mafia del petrolio”. Il passaggio chiave è proprio la costruzione della raffineria. Inaugurato nel 2023, l’impianto dovrebbe raggiungere entro fine anno una capacità di 700mila barili al giorno, superiore al fabbisogno nigeriano. Non è una fabbrica come tante. Per decenni, proprio per la mancanza di raffinerie, la Nigeria è stata infatti costretta a importare benzina e gasolio, in particolare dall’Europa. Un paradosso e allo stesso tempo una possibilità di arricchimento per importatori e intermediari e speculatori: quella che Dangote descrive appunto come la “mafia del petrolio”. «È più letale del narcotraffico, perché coinvolge tantissime persone» sostiene. «Potresti ritrovarti a bere un bicchiere con loro senza saperlo, e sono proprio loro a far muovere il mondo».
Secondo il miliardario, il sistema è stato alimentato da sussidi pubblici che hanno tenuto bassi i prezzi della benzina. Finché lo scorso anno, il presidente nigeriano Bola Tinubu ha deciso di abolirli, cambiando le regole: proprio in coincidenza con l’entrata in funzione della raffineria. La liberalizzazione ha inasprito il carovita, accompagnandosi a proteste di piazza e calo dei consumi. Dangote ha però potuto guadagnare lo stesso intaccando il monopolio esercitato dalla società statale Nigerian National Petroleum Company (Nnpc). La competizione continua, e si consuma anche nelle aule di tribunale. Dangote ha infatti denunciato la Nnpc, citando una legge che impone ai produttori nigeriani di soddisfare la richiesta di greggio delle raffinerie locali.
Intanto sono in arrivo altri progetti. Riguardano un nuovo porto e un metanodotto sottomarino. Per servire la raffineria, Dangote vuole costruire lo scalo a Olokola, una località a circa cento chilometri di distanza da Lagos. L’autorizzazione per i lavori è stata già presentata: la promessa è che il porto sia «il più grande e profondo» della Nigeria, diventando un polo per l’export di gas naturale liquefatto. La pipeline è parte di questo progetto. Dovrebbe coprire una distanza di oltre mille chilometri correndo sul fondo dell’Atlantico a partire dal Delta. L’obiettivo è rompere un altro monopolio statale, quello sull’export: l’antagonista è in questo caso la Nigeria Liquefied Natural Gas (Nlng), una joint venture formata anche dalle multinazionali europee Shell, Eni e TotalEnergies.
L’orizzonte è globale. Lo conferma il fatto che Dangote progetti di costruire un centro di stoccaggio da un milione e 600mila barili di benzina e diesel in Namibia, porta per i mercati dell’Africa australe. Il suo mantra, quasi un manifesto politico, è che il continente debba cavarsela da solo, trasformando le materie prime ed esportando valore aggiunto. Detto fatto: quest’anno, dal nuovo impianto è partito per l’Asia un carico di benzina raffinata in Africa. Una prima assoluta.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Vergogna - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 5 settembre, è disponibile in edicola e in app