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10 settembre, 2025Se anche il giudice Luiz Fux dovesse votare a favore, l'ex leader vedrebbe sin da oggi segnato il suo destino personale. È improbabile ma possibile. Sarebbe la prima volta, nella storia del gigante del Sud America, che un capo dello Stato viene condannato
Due su cinque. Se anche il giudice Luiz Fux dovesse votare a favore di una condanna, Jair Messia Bolsonaro vedrebbe sin da oggi segnato il suo destino personale. È improbabile ma possibile. Non sarebbe necessario attendere venerdì con il parere degli ultimi due consiglieri. Il verdetto è a maggioranza. Per l’ex capitano ribelle dell’esercito ed ex presidente del Brasile dal 2019 al 2021 diventerebbero concrete le possibilità di una sentenza la cui pena verrà stabilita dopo ma che può arrivare fino a 43 anni di carcere.
Sarebbe la prima volta, nella storia del gigante del Sud America, che un capo dello Stato viene condannato. E soprattutto per reati gravissimi. I cinque che gli sono contestati, assieme agli altri sette coimputati, sei militari e due civili, sono: tentata abolizione dello stato di diritto democratico, colpo di Stato, appartenenza a un’organizzazione criminale armata, danneggiamento di proprietà governativa e danneggiamento di proprietà protette.
Nei primi due giorni dei cinque previsti per le requisitorie finali dei componenti la prima commissione della Corte Suprema Federale, massimo organo giuridico del Brasile, il giudice Alexander de Moraes ha ricordato cosa era accaduto il 7 gennaio del 2023 quando decine di migliaia di sostenitori del leader della destra estrema invasero la spianata dei Tre Poteri a Brasilia e devastarono le sedi della Presidenza, della Corte Suprema e del Congresso.
Era la fase culminante di un piano golpista messo a punto sin dall’agosto del 2022. Bolsonaro aveva iniziato a contestare il meccanismo del voto elettronico mettendo in dubbio la sua attendibilità e sollecitato i vertici militari a tenersi pronti in caso di uno scrutinio a lui sfavorevole nelle elezioni poi tenute a ottobre dello stesso anno. “Stiamo dimenticando”, ha ricordato de Moraes, “che il Brasile è quasi tornato ad essere una dittatura a causa di un’organizzazione criminale, formata da un gruppo politico e guidata da Jair Messia Bolsonaro che non sa perdere le elezioni”. L’ex presidente, come è noto, subì una sconfitta di misura dal candidato della sinistra Luiz Inácio Lula da Silva. Non si rassegnò al giudizio uscito dalle urne e chiese ai suoi consiglieri di studiare una serie di misure eccezionali per impedire che il leader della sinistra si insediasse. “Lo scopo”, ha proseguito Moraes nella sua arringa finale, “era molto chiaro: limitare le azioni della magistratura per aggirare il sistema di pesi e contrappesi, avviando contemporaneamente una serie di atti per perpetuare il suo potere”.
Le prove raccolte nel corso dell’istruttoria a parere del giudice sono addirittura “eccessive”. C’è la confessione, ottenuta in cambio di uno sconto di pena, dell’aiutante di campo dell’allora presidente, il tenente colonnello Mauro Cid, anche lui tra gli imputati; ci sono i messaggi che descrivono minuziosamente i preparativi del complotto. C’è la copia di un decreto, già pronto e solo da firmare, che forniva una copertura legale per l’annullamento del risultato elettorale. Ci sono le testimonianze sulla riunione decisiva con i vertici delle tre armi a cui Bolsonaro chiese di appoggiarlo nel golpe. Solo la Marina aderì mentre Esercito e Aeronautica in un sussulto di fedeltà costituzionale, negarono ogni coinvolgimento. È stato questo doppio no a convincere il leader della destra estrema a sospendere il progetto che prevedeva anche l’omicidio di Lula, del suo vice Geraldo Alckmin, del giudice Alexander de Moraes, rimasto l’unico a fronteggiare i golpisti nelle ore e i giorni drammatici che seguirono l’assalto alla spianata dei poteri a Brasilia.
Oltre a Jair Bolsonaro e a Mauro Cid sono alla sbarra il generale Walter Braga Netto (ministro della camera civile e candidato alla vicepresidenza nel 2022), il generale Gustavo Heleno (ministro della Sicurezza Istituzionale), il generale Paulo Sérgio Nogueira (ministro della Difesa), l’ammiraglio Almir Garnier (Comandante della Marina), il commissario di polizia Anderson Torres (ministro della Giustizia) e il commissario Alexander Ramagen (direttore dell’ABIN, l’agenzia di spionaggio interno). Ieri si è pronunciato anche il secondo giudice del collegio Flavio Dino, già ministro della Giustizia nel governo Lula, e il suo voto è stato a favore della condanna di tutti gli otto imputati. Oggi toccherà a Luiz Fux, l’unico che aveva già detto di non condividere l’impianto accusatorio. È molto probabile che si pronuncerà contro la proposta di condanna. In questo caso si dovrà attendere l’esito del voto degli ultimi due giudici Carmen Lucía Rocha, unica donna della Prima commissione e avvocato, e Cristiano Zanin, storico difensore di Lula.
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