Mondo
15 settembre, 2025La Cina ha in Xi Jinping un imperatore deciso a ristabilire l’influenza globale del proprio Paese. Pechino allarga i propri orizzonti attraverso un sistema condiviso con un numero crescente di alleati e del tutto alternativo all’Occidente smantellato da Trump
Quando alle nove di mattina del prossimo 22 settembre i rappresentanti di 193 Stati si riuniranno in pompa magna a New York nell'ottantesimo anno dalla nascita delle Nazioni Unite, l'organizzazione cuore e simbolo dell'ordine mondiale post-bellico, non celebreranno soltanto un anniversario. Celebreranno anche un funerale.
Quell'ordine, basato sul rispetto di regole e doveri uguali per ogni membro, indipendentemente dalle dimensioni, dal potere economico o militare, stabilito per garantire pace e sicurezza a tutte le nazioni sovrane del mondo, non esiste più. Modificato, con lungimiranza e tenacia, da chi più ne ha beneficiato: la Cina. Non tanto per smanie egemoniche quanto per tornare all'ordine scritto nel suo stesso nome, "Zhongguo", Terra al centro del mondo. Almeno del "suo" mondo.
Da quando è diventato presidente nel 2013, Xi Jinping non ha fatto mistero di volere rafforzare il potere nazionale cinese e «ringiovanire» la Madrepatria, restaurando l'antica Tianxia, un concetto sconosciuto al pensiero occidentale. Letteralmente "(Unità) sotto il cielo", è il termine con cui i cinesi definiscono l'ordine mondiale in cui, per mandato divino, la loro civiltà governa le altre nazioni mediante l'autorità culturale e morale, non con la forza diretta. Per secoli i cinesi si sono visti al centro del mondo: dai vicini si aspettavano rispetto e tributi. Quella realtà è stata distrutta dal trattato di Shimonoseki nel 1895 quando, per mano giapponese, la Cina perdette la Corea, allora sua vassalla, e, soprattutto, l'isola di Taiwan. Poi sono arrivati gli invasori europei, in quello che nell'attuale propaganda di governo è definito «il secolo dell'umiliazione nazionale». Con la sconfitta del Giappone nel 1945 la Cina si è liberata degli invasori, riappropriandosi del suo impero, con l'eccezione di Taiwan, e instaurando con Mao Tse-dong nel 1949 un sistema di governo comunista antitetico a quello occidentale. Ottant'anni dopo, liberatasi in fretta anche della povertà e dell’arretratezza, la Cina del nuovo imperatore Xi, che, durante la Grande parata militare del 3 settembre per la commemorazione della vittoria di 80 anni fa ha indossato la tenuta cerimoniale di Mao, intende ristabilire la sua influenza globale. E, naturalmente, recuperare Taiwan.
I piani di Xi sono stati inaspettatamente facilitati dall'ascesa al potere di Donald Trump, il presidente di quegli Usa che del vecchio ordine erano stati i principali artefici. Smantellando lo stato di diritto a Washington, rompendo i legami consolidati con i suoi alleati e imponendo dazi ingenti a mezzo mondo, perfino a India e Giappone, pilastri dell'alleanza atlantica in Asia, Trump ha decretato la fine del secolo americano. Definendo gli europei "scroccatori" sia in campo commerciale sia militare, e limitando il proprio impegno nella difesa del Vecchio Continente, ha poi fratturato l’Occidente dall'interno e reso più fragile l'Europa. I due pilastri fondanti dell’ordine occidentale erano stati proprio il piano Marshall e la Nato. «È un vero fraintendimento di come funziona il mondo», sottolinea Ian Goldin, professore di globalizzazione e sviluppo all'Università di Oxford: «La sicurezza dell'Europa è anche la loro e un ordine mondiale prospero è un bene per gli Usa, non solo per gli altri».
Il ringiovanimento cinese
«Per Xi il ringiovanimento non è economico o militare, è storico», scrive Kunwoo Kim, sulla Columbia Political Review: «La Cina vuole recuperare l'influenza in Asia che aveva prima del 1895 e reclamare la sua posizione al centro di un ordine unificato e armonioso». La reinterpretazione contemporanea di Tianxia, che non ha confini predeterminati ma si allarga e restringe con la forza morale dell'imperatore, tende a fondere il concetto tradizionale di superiorità "innata" con quello moderno di imperialismo, e si sta concretizzando tramite strumenti contemporanei.
«Con la Via della Seta la Cina sta costruendo una comunità con un destino condiviso nell'Asia centrale e meridionale», dice Jyrki Kallio dell'Istituto finlandese per gli affari internazionali: «Si tratta di una sfida diretta e indiretta all'attuale sistema occidentale ed è stato il primo passo per delineare la sua sfera d'influenza». Ha istituito infatti una forma moderna di sistema tributario finalizzato a tessere legami economici e strategici centrati sulla Cina lungo le rotte eurasiatiche, africane e latinoamericane. Quello della Via della Seta è un ordine senza obblighi, a differenza dell'Organizzazione mondiale del commercio, e basato sui rapporti di potere, per cui il Paese più potente è moralmente tenuto a garantire una certa prosperità condivisa. La Tianxia non prevede un mondo di uguali ma è fondata sulla gerarchia, considerata il pilastro della stabilità e dell'armonia sociale.
La Via della Seta non è l'unica istituzione che la Cina ha creato negli ultimi due decenni per plasmare un ecosistema parallelo, soprattutto in campo economico e infrastrutturale, che le permetta di proiettare influenza e attrarre i Paesi insoddisfatti dall'ordine americano, a partire dalla cerchia del cosiddetto Sud globale, l'insieme di quelli che una volta erano i Paesi in via di sviluppo, spesso guidati da regimi non democratici o predatori.
La principale è l'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco), la cui riunione annuale si è appena tenuta a Tianjin, città simbolo del colonialismo italiano, sotto gli occhi allarmati di un'Europa che ha visto a braccetto con Xi Vladimir Putin e Narendra Modi. Fondata nel 2001 a Shanghai da Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, a cui si sono aggiunti nel 2017 India e Pakistan e nel 2023 l'Iran, conta perfino la Turchia, Paese Nato, tra gli aspiranti membri a pieno titolo. Con il suo obiettivo di rafforzare la cooperazione politica, economica e di sicurezza tra i membri e, sempre più, di promuovere un ordine internazionale multipolare, la Sco è considerata il contrappeso alla Nato in Asia centrale.
Pechino ha poi lanciato nel 2016 la Asian infrastructure investment bank (Aiib) come alternativa alla Banca mondiale e all’Asian development bank, dominata da Giappone e Usa. Con Pechino come maggiore azionista, con il 26 per cento del capitale, conta oltre 100 membri, tra cui Italia, Francia, e Germania, e finanzia grandi infrastrutture spesso connesse alla Via della Seta.
Più recentemente, oltre alle istituzioni internazionali in versione cinese, Xi ha iniziato a proporre anche sistemi ideologici alternativi a quelli occidentali. Nel 2021 ha creato la piattaforma dell'"Iniziativa per lo sviluppo globale" per coordinare l'attuazione degli obiettivi Onu di sviluppo sostenibile ma a leadership cinese; nel 2022 ha lanciato l'"Iniziativa per la sicurezza globale" come alternativa all'ordine di sicurezza internazionale guidato dagli Usa e dalla Nato, e nel 2023 l'"Iniziativa per la civilizzazione globale", un modello di governance culturale e di dialogo opzionale rispetto a quello liberaldemocratico occidentale.
La grande frattura mondiale
Per creare un sistema internazionale in cui dollaro, Nato, regole e valori occidentali non siano più dominanti, Pechino ha fondato contemporaneamente un sistema economico interno e completamente autonomo, composto da attori simili e paralleli a quelli statunitensi. Il divieto di utilizzare i motori di ricerca e social media americani non è solo la conseguenza di una politica censoria durissima, rafforzata dalla tecnologia. È stato anche lo strumento con cui Pechino ha fatto crescere i suoi colossi. I cittadini usano Baidu al posto di Google; Alibaba invece di Amazon; Wechat anziché Facebook e Twitter; Youkou invece di Youtube e Netflix. Alipay rimpiazza Paypal e Tujia Airbnb. La Cina ha recentemente sviluppato i suoi modelli di intelligenza artificiale con DeepSeek e Qwen; i suoi droni a doppio uso civile e militare con DJI e i suoi produttori di robot con società come Unitree e Deep robotics. In campo energetico, poi, la frattura con l’Occidente è lampante: consapevole di non potere competere sul motore a combustione, si è lanciata nell’elettrico, facendone il cuore della nuova economia sua e dei suoi tributari.
Anche in campo culturale, il fenomeno della biforcazione con il mondo occidentale è in crescita. E non solo perché al mondo della scienza e della cultura è stato chiesto di contribuire al ringiovanimento della nazione. A bordo di Air China i film americani sono stati sostituiti con quelli cinesi con sottotitoli, salvo una manciata di titoli europei. A Hollywood Pechino ha contrapposto le sue major, come la China film group corporation e Huayi brothers, promulgatrici del sistema valoriale sinocentrico.
«La Cina sta mettendo in discussione l’idea che la democrazia liberale costituisca un modello evolutivo universale», ha detto l’analista politico Francis Fukuyama: «Offre (a chi vorrà o dovrà seguirla) la sua leadership, ovvero una versione ingentilita di quella senza moralismi di cui scriveva Tucidide nella “Storia della Guerra del Peloponneso”: “I potenti fanno quello che possono e i deboli soffrono quello che devono”».
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