Mondo
4 settembre, 2025L’accordo per una via che colleghi Azerbaigian e Turchia passando dall’Armenia può stabilizzare la regione. Su cui si giocano gli interessi di tutte le grandi potenze globali
«Hanno combattuto per trentacinque anni. Adesso sono amici, e lo resteranno a lungo». Con queste parole, l’8 agosto, il presidente statunitense Donald Trump ha aperto a Washington la conferenza stampa di un vertice salutato come storico. Alla sua destra il presidente azero Ilham Aliyev e alla sinistra il premier armeno Nikol Pashinyan, mai così sorridenti allo stesso tavolo. Malgrado restino degli ostacoli alla firma del trattato di pace, la dichiarazione sottoscritta alla Casa Bianca segna uno spartiacque: Baku e Erevan si sono impegnate a sviluppare relazioni «basate sull’inviolabilità dei confini».
Il coinvolgimento di aziende americane nella realizzazione della “Trump Route for International Peace and Prosperity”, una strada che, attraverso l’Armenia, connetterà l’Azerbaigian all’exclave del Nakhchivan e alla Turchia, non solo risolve la questione più spinosa nei negoziati tra le due ex repubbliche sovietiche, ma ha il potenziale per incidere sulle rotte commerciali globali divenendo parte del Corridoio di mezzo: la via più breve tra la Cina e l’Europa. Eppure, non mancano le incognite.
Il collegamento terrestre primario tra il gigante asiatico e il Vecchio Continente è il Corridoio settentrionale, che passa per il Kazakistan, la Russia e la Bielorussia. Le sanzioni occidentali imposte a Mosca all’indomani dell’invasione su larga scala dell’Ucraina hanno però incentivato lo sviluppo di una rotta alternativa – la Trans-Caspian International Transport Route, o Corridoio di mezzo – una rete di ferrovie e porti che si snoda lungo l’Asia centrale, il mar Caspio e il Caucaso del Sud, per poi proseguire tramite la Turchia o il mar Nero. Il traffico lungo questo tragitto è cresciuto sensibilmente in pochi anni: il volume delle merci, circa 600mila tonnellate nel 2021, ha superato i 4 milioni alla fine del 2024 e, secondo la Banca mondiale, triplicheranno entro il 2030. Una connessione tra l’Azerbaigian, l’Armenia e la Turchia, tratta sigillata dal primo conflitto del Nagorno Karabakh, ridurrebbe i tempi di transito e migliorerebbe la resilienza della rotta: l’itinerario attraverso la Georgia non sarebbe più l’unica opzione.
L’Unione europea ha iniziato a interessarsi a un corridoio commerciale che eluda la Russia anni prima della guerra in Ucraina, ma quest’ultima ha avuto una funzione catalizzatrice. Nel 2024, Bruxelles si è impegnata a investire 10 miliardi di euro nelle infrastrutture di trasporto in Asia centrale: un’attenzione che riflette anche la crescente importanza delle materie prime essenziali per la transizione energetica e abbondanti nella regione, in particolare in Kazakistan e Uzbekistan.
Per quanto riguarda Pechino, «prima del 2022 il suo impegno nel Corridoio di mezzo era minimo, ma da allora è cresciuto drammaticamente», nota Yunis Sharifli, ricercatore del China Global-South Project, che osserva come la possibilità di accedere ai mercati internazionali attraverso una varietà di rotte sia un elemento chiave nella strategia del Dragone. L’analista cita il conflitto in Ucraina, le ricorrenti crisi nel trasporto attraverso il mar Rosso causate dagli attacchi degli Houthi, l’instabilità in Medio Oriente, quindi delle rotte che passano per l’Iran, come elementi che stanno favorendo la crescita della via transcaspica. Con un occhio non solo al processo di normalizzazione tra Armenia, Azerbaigian e Turchia, ma anche tra Kirghizistan e Tagikistan, parte del più ampio rafforzamento della cooperazione tra le nazioni centroasiatiche, questo allineamento, ritiene Sharifli, sta agevolando «l’emergere di una rotta stabile e priva di rischi legati alle sanzioni. Malgrado una partnership strategica con Mosca – prosegue l’esperto – Pechino vuole ridurre la propria dipendenza dalla rotta russa» e investendo nel Corridoio di mezzo «accresce al contempo l’influenza cinese nei paesi dell’Asia centrale e del Caucaso meridionale». È però importante sottolineare che qualsiasi discorso sulla rotta transcaspica è legato al concetto di diversificazione e non di sostituzione: una volta ultimate tutte le infrastrutture, il Corridoio di mezzo, stima Sharifli, «potrebbe ridurre la dipendenza dalla rotta russa del 40 per cento».
Seppur in competizione, le iniziative di Pechino e Bruxelles in Asia centrale e nel Caucaso meridionale presentano aree di potenziale complementarità. E il crescente impegno dell’Ue in regioni a lungo sottoposte all’egemonia di Mosca, per quanto non accolto con favore, non è percepito dal Cremlino come una grave minaccia. Una presenza statunitense in Armenia introduce invece un elemento potenzialmente destabilizzante in un quadro geopolitico delicato, dove, oltre alla Russia, è attivo un altro attore di peso: l’Iran. Tuttavia, reputa Richard Giragosian, direttore del Regional Studies Center di Erevan, sebbene Trump «abbia giocato un ruolo nel mettere in moto questa opportunità», e il suo intervento sia un deterrente all’uso della forza da parte di Baku, il progetto non è sostenuto da un forte interesse nazionale Usa, ma piuttosto «trainato dall’ego [del presidente]». La Russia si è astenuta dal criticare l'intesa: «Dubita della solidità dell’impegno statunitense», ritiene Giragosian. Mosca è inoltre consapevole che un’opposizione aperta alienerebbe sia Baku sia Erevan. «Se i russi si muoveranno con intelligenza, cercheranno di ritagliarsi un ruolo accanto alle aziende statunitensi», riflette l’analista. Inoltre, nota Sharifli, «la Russia sta investendo nel Corridoio nord-sud, che attraverso l’Azerbaijan e l’Iran giunge in India. Questa strada potrebbe integrarvisi, fornendo a Mosca un nuovo accesso alla Turchia».
Quanto all’Iran, «aveva tracciato una linea rossa: nessuna modifica al proprio confine con l'Armenia, e questa richiesta è stata soddisfatta», ricorda Giragosian. Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian si è recato in visita ufficiale a Erevan il 18 agosto, e Pashinyan ha fatto del suo meglio per rassicurarlo, affermando che, se venissero aperti i collegamenti con l’Azerbaigian, anche l’Iran potrebbe accedere al mar Nero. L’intesa raggiunta a Washington, ha sottolineato il premier armeno, «non implica una presenza di forze Usa», solo commerciale. Teheran resta preoccupata. Secondo Sharifli, né Baku né Erevan «intendono permettere che la rotta venga utilizzata come strumento geopolitico».
E così, in una singola strada nel Sud dell’Armenia si intersecano gli interessi di Washington, Bruxelles, Pechino, Mosca, Teheran e Ankara. Se mal gestita, rischia di fare del Caucaso meridionale un nuovo palcoscenico della rivalità globale. Se maneggiata con attenzione, potrebbe persino rivelarsi fedele al proprio nome.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Vergogna - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 5 settembre, è disponibile in edicola e in app