Alla guida del governo c'è oggi un uomo come Mario Monti che ha saputo ingaggiare (e vincere) memorabili battaglie antimonopolistiche nella sua qualità di commissario europeo alla concorrenza. Al suo fianco, come sottosegretario alla presidenza, il nuovo premier ha voluto chiamare Antonio Catricalà, che si è trasferito a Palazzo Chigi dal vertice dell'Autorità Antitrust: una scelta che è subito apparsa come un chiaro messaggio di specifico impegno sul fronte della lotta contro i troppi abusi di posizione che caratterizzano la struttura del potere economico domestico. E, infatti, il primo frutto del lavoro di questa singolare accoppiata è subito maturato nell'articolo 36 del decreto cosiddetto Salva- Italia.
Dice testualmente la nuova norma: "È vietato ai titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo e ai funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari di assumere o esercitare analoghe cariche in imprese o gruppi di imprese concorrenti".
A prima vista, la soddisfazione è davvero grande. Finalmente qualcuno che prende per le corna uno dei vizi più odiosi del capitalismo italiano: quello dei ben calibrati incroci di poltrone che consentono di aggirare i sani principi della concorrenza riducendo l'economia di mercato al vuoto simulacro di se stessa.
Non si fa fatica a riconoscere nella stesura di questo testo di legge anche la mano di Catricalà. Giusto un paio d'anni fa, un'indagine condotta dall'Antitrust sotto la sua presidenza aveva messo in luce in materia una realtà sconvolgente: spulciando i nomi dei membri dei consigli d'amministrazione delle società quotate in Borsa era emerso che in quasi il 90 per cento dei casi vi erano cumuli di incarichi in imprese fra loro concorrenti.
Mettere la parola fine a questo malcostume è opera meritoria. Quel che si capisce francamente meno è perché il divieto sia limitato ai mercati di credito, assicurazioni e finanza. Forse che l'intreccio delle poltrone è meno pericoloso per il dispiegarsi della concorrenza nel settore industriale? Si dura fatica a crederlo.
Un'altra e ben più seria questione riguarda, però, quella particolare struttura tardo-feudale del capitalismo italiano che sta a monte degli scambi di poltrone e ne costituisce spesso il fonte battesimale.
Secondo la già citata indagine dell'Antitrust sotto la gestione Catricalà, ben il 60 per cento delle società quotate in Borsa ha nel proprio capitale azionisti che sono al tempo stesso concorrenti. Va bene, anzi benissimo cominciare con il divieto dei cumuli di incarichi. Ma poiché quest'ultimo potrebbe anche essere aggirato con il ricorso a professionisti prezzolati alla bisogna, occorre fare un altro passo avanti per spezzare il cerchio di un potere economico che - come ha certificato, appunto, Catricalà - si fonda su una diffusione tenace e pervasiva del conflitto d'interessi. Ovvero sul più micidiale ostacolo alla realizzazione di un'economia di mercato aperta alla leale e libera concorrenza.
Certo, opera non facile né spedita quella di imporre per legge lo scioglimento degli abusi in materia di incroci azionari fra concorrenti. Ma questo è il prossimo passo che è lecito attendersi dall'uomo che da Bruxelles ha saputo sfidare in materia i titani dell'economia americana e perfino la Casa Bianca.
Opinioni
15 dicembre, 2011Quello italiano è un capitalismo chiuso, feudale, protetto da incroci di potere che niente hanno a che fare con la concorrenza. Ma finora il governo si è mostrato molto timido nell'affrontare la questione
Conflitti di interessi, che paura
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