Il presidente Xi Jinping ci prova. I tempi però sono cambiati. E per fare come allora dovrebbe arrestare migliaia di persone...

Verso la fine d’agosto, i cinesi sono stati intrattenuti dall’ipnotizzante processo a Bo Xilai, una stella politica al tramonto. Il processo ha svelato i numerosi reati ed errori di cui è accusato Bo, tra cui avere accettato tangenti, l’appropriazione indebita di risorse pubbliche e il tentativo di nascondere l’assassinio di un uomo d’affari britannico per mano della moglie. Tutto ciò non poteva che affascinare un Paese nel quale la vita dei governanti è di solito tenuta rigorosamente segreta. Un aspetto dell’operato di Bo sul quale la dirigenza del Partito comunista cinese non ha tuttavia insistito è la rinascita della simbologia politica maoista da lui lanciata durante il suo mandato come capo del Partito nel municipio di Chongqing.

E i leader hanno buone ragioni per evitare un tema tanto scottante. Politicamente, nella saga di Bo Xilai, più che altro è ironico il fatto che egli sia stato purgato da politici rivali - la nuova dirigenza - i quali, dopo un processo che rinchiuderà Bo in carcere per molti anni, si sono appropriati della sua più importante eredità politica: il neo-maoismo.

La nuova leadership ha infatti mandato un segnale chiaro sulla direzione che Pechino intende prendere. Chi sperava che si orientasse in un senso più liberale e democratico ha molti motivi per preoccuparsi. La nuova dirigenza guidata da Xi Jinping sembra intenzionata a riportare sulla scena una certa retorica e pratiche politiche solitamente associate a un regime del passato, quello dittatoriale di Mao.
Due mesi fa, Xi ha visitato la località nella quale Mao Tse Tung tenne una storica riunione prima di marciare vittoriosamente su Pechino nel 1949. Poi la macchina della propaganda ufficiale ha continuato a camminare a pieno vapore, sollecitando al Partito a far rinascere il suo spirito rivoluzionario. Ora è in corso una “campagna di rettificazione”, uno degli strumenti preferiti da Mao per ripulire il Partito. La campagna mira in parte a combattere la corruzione all’interno del Partito, ma l’obiettivo reale è quello di consolidare la supremazia della nuova leadership, in particolare l’autorità di Xi. Ancora più preoccupante, è il tentativo di Xi e degli altri dirigenti di alto rango di colpire con forza la nascente società civile cinese e di eliminare qualsiasi minaccia alla sopravvivenza del Partito.

La nuova offensiva politica è cominciata con squillanti attacchi ideologici alle idee che caratterizzano il liberalismo occidentale, quali il primato della legge, la Costituzione, i diritti umani e la democrazia. Un documento segreto del Partito ha stabilito il divieto di discutere di questi temi sui media e nelle università. E la censura ufficiale ha “invitato” i blogger più influenti a un incontro per trasmettere loro una serie di “linee guida” dalle quali non si devono discostare.

La repressione è diventata ancora più brutale. A fine dell’agosto alcuni importanti blogger sono stati arrestati con accuse fabbricate ad hoc (uno sarebbe stato arrestato con una prostituta, un altro è accusato di aver diffuso on line «delle voci»). Un avvocato esperto in diritti civili, che aveva ripetutamente sollecitato il governo ad approvare una legge che imponesse ai funzionari pubblici di rendere pubblica la ricchezza della propria famiglia, è stato arrestato.

Se l’orientamento politico della nuova leadership ora è palese, resta comunque da capire se una strategia neo-maoista, incentrata sul consolidamento del potere di un leader supremo, sulla purga dei ranghi più bassi del Partito e su un più stretto controllo delle libertà personali e di quelli civili, potrà funzionare. A giudicare dalla sicurezza che traspare dalla retorica e dall’uso della mano pesante, evidentemente la dirigenza politica cinese lo crede possibile.

Si tratta tuttavia di una scommessa politica piena di incertezze. Anche se Xi, che guida questa campagna, ha consolidato pienamente il suo potere, non è del tutto chiaro se i suoi colleghi e il resto del Partito vedano di buon occhio un altro Mao seduto nella poltrona più importante. Mao Zedong fece molte cose per il Partito, ma fu anche colui che riuscì a distruggerlo seminando il terrore tra un buon numero degli altri funzionari della sua cerchia ristretta. Difatti, il motivo per il quale i leader di più lungo corso hanno unito le loro forze all’inizio del 2012 per deporre Bo Xilai è stato proprio la loro comune paura che Xilai diventasse un altro Mao. Se Xi tentasse di dettare legge su un sistema disegnato per evitare un nuovo Mao al vertice, gli altri alti funzionari a lui vicini potrebbero spaventarsi e ostacolarlo.

Rendere meno corrotti i ranghi più bassi del Partito potrebbe rivelarsi un compito ancora più ciclopico. Le uniche ragioni per le quali essi vi restano sono i privilegi e i benefici materiali che ciò procura loro. Togliendoli, il Partito potrebbe assistere a uno sgretolamento della sua base. Nell’era maoista, a far rigare dritto i funzionari del Partito comunista erano il carisma personale di Mao, l’ideologia radicale e ininterrotte campagne di massa. Nel contesto odierno non è presente alcuno di questi fattori.

Il tentativo di annichilire la società civile cinese non ha molte speranze di successo. Un buon numero di attivisti farà resistenza. Inoltre, una maggioranza dei cinesi, profondamente disgustata dalla corruzione, dalle disuguaglianze e dal fatto che i politici non sono chiamati a rispondere per i loro misfatti, potrebbe ritirare il sostegno al Partito. Se la nuova leadership non è pronta a cancellare del tutto Internet dalla Cina e ad arrestare e a tenere in carcere decine di migliaia di persone, la mossa neo maoista è destinata a fallire.

traduzione di Guiomar Parada