Più che l’aria fa paura il livello di contaminazione che si registra nell’acqua e nel suolo. Ecco alcuni esempi

Il 21 ottobre a Harbin si è vista una scena infernale. La città industriale (11 milioni di abitanti) nel nord-est della Cina è stata avvolta da un fitto smog tossico. La visibilità è scesa a meno di dieci metri. L’indice di inquinamento dell’aria relativo alle polveri sottili o particolato è balzato a mille per metro cubo, quando si considera sicura una soglia massima di 35. Le scuole sono state chiuse. Il traffico aereo è stato interrotto. La circolazione stradale è stata vietata. La vita si è fermata per due giorni interi.

L’INQUINAMENTO LETALE dell’aria in Cina non è una novità: da un recente studio pubblicato sulla rivista britannica “Lancet” si stima che esso provochi ogni anno la morte di 1,2 milioni di cinesi. Sfortunatamente, gli effetti dell’inquinamento vanno ben oltre la perdita di vite umane. La qualità della vita del 20 per cento della razza umana sta peggiorando. Le attrattive del Paese come luogo ideale per fare affari sono in declino. Ancora di più preoccupa la mancanza di soluzioni tempestive: per soddisfare il 70 per cento del suo fabbisogno energetico la Cina fa affidamento sul carbone e ogni anno altri 20 milioni di veicoli si aggiungono al parco macchine circolante (240 milioni di autovetture).

Ma la minaccia ambientale più pericolosa in Cina non è l’inquinamento dell’aria di cui siamo a conoscenza per un semplice motivo: il Partito comunista cinese al potere non può tenerlo nascosto. Molto meno sappiamo dell’inquinamento del suolo e dell’acqua perché lo Stato cinese monopartitico tiene tutto segreto. Malgrado ciò, da quello che sappiamo il Paese andrà incontro a un rischio ambientale che non ha precedenti nella storia del genere umano. Si pensi, per esempio, all’acqua: le stime variano, ma per lo più indicano che sono contaminati circa i due terzi dell’acqua dolce di superficie. Oltre a ciò la Cina soffre di gravi siccità croniche. In base agli standard internazionali, una disponibilità di acqua inferiore a mille metri cubi pro capite è definita “crisi idrica”. In Cina per gli oltre 500 milioni di abitanti che vivono nelle regioni settentrionali del paese tale indice è inferiore a 200 metri cubi pro capite. Nel complesso, invece, il Paese dispone del 7 per cento delle riserve di acqua dolce del pianeta a fronte di una popolazione pari al 20 per cento di quella mondiale.

NEI PROSSIMI DECENNI il rischio più grave e più plausibile per la sicurezza del patrimonio idrico cinese sarà la sopravvivenza del fiume Yangtze, che per mezzo miliardo di persone delle regioni più prospere del Paese costituisce una risorsa vitale. Lo Yangtze, infatti, sta morendo soffocato da scarichi fognari non trattati, da sversamenti agricoli e inquinanti industriali. Secondo il World Wildlife Fund, negli ultimi cinquant’anni il livello di inquinamento dello Yangtze è aumentato del 73 per cento. Ogni anno sono sversati nel corso d’acqua oltre 25 miliardi di tonnellate di acque fognarie e rifiuti industriali. Oltre a compromettere la vita di mezzo miliardo di esseri umani, la probabile morte dello Yangtze influirà negativamente sull’ambizioso progetto di trasferimento dell’acqua “da Sud a Nord” voluto da Pechino. Per alleviare la penuria nel Nord, infatti, le autorità cinesi stanno spendendo decine di miliardi di dollari per mettere a punto un gigantesco sistema di condutture dell’acqua per portarla dallo Yangtze fino alle regioni settentrionali del Paese. Se però l’inquinamento renderà tossiche le acque del fiume, non avrà senso mandarla nel nord della Cina con una spesa così ingente

A CONFRONTO con l’inquinamento dell’acqua, in Cina l’inquinamento del suolo è un segreto molto meglio mantenuto. I terreni agricoli contaminati da metalli pesanti e pesticidi di solito non sono distinguibili. Tutti i raccolti coltivati su questi terreni devono essere sottoposti a controlli accurati per individuare residui dannosi per la salute. In ogni caso, i dati raccolti dai ricercatori cinesi delineano un quadro molto fosco. Alcune analisi a campione effettuate alla fine degli anni Novanta indicavano che almeno il 10 per cento delle terre coltivabili era stato contaminato da metalli pesanti. Un sondaggio nazionale sull’inquinamento del suolo ultimato nel 2005 ha portato a dati molto preoccupanti, subito ricoperti dal “segreto di Stato”. Le cause principali di inquinamento del terreno sono un uso eccessivo di pesticidi (la Cina li adopera in quantità superiore da tre a cinque volte per ettaro rispetto alla maggior parte degli altri paesi), i metalli pesanti dovuti all’irrigazione con acqua inquinata e le piogge acide provocate dalla combustione del carbone.

Di questo passo la Cina dovrà affrontare presto una grave crisi della sicurezza alimentare. Una crisi alimentare nella nazione più grande e popolosa del mondo, la seconda economia più importante al mondo, avrà ripercussioni spaventose a livello globale. Già ora l’inquinamento dell’acqua e del suolo influisce sulla domanda cinese di importazione di generi alimentari. L’unico interrogativo ancora senza risposta è quando peggiorerà questo trend.

Traduzione di Anna Bissanti