Berlusconi, Grillo e la Lega vogliono ripudiare l’euro. Convinti che il ritorno a una moneta debole ridarebbe fiato all’economia. Ma non è così: è stata proprio la droga delle svalutazioni in serie a produrre i guasti peggiori

Lo spaccio di una nuova bestia trionfante minaccia di imbrogliare, ogni giorno di più, il dibattito politico sul destino dell’Italia in Europa. Da più parti, infatti, giungono chiari segnali di imbarbarimento del confronto. Quasi che le dure ristrettezze economiche del Paese abbiano già prodotto un effetto pericolosamente restrittivo anche delle capacità intellettive di non pochi attori della scena politica. Accade così che si affaccino insistenti proposte - tanto più disinvolte quanto di più facile smercio demagogico - per risolvere tutti i problemi del Paese con un colpo di magia: l’abbandono dell’euro per un ritorno alla lira.

Se ne fanno alfieri da tempo i leghisti, ora la stessa palla è lanciata ancora più in alto da Beppe Grillo che rievoca con focosa nostalgia l’antico partito della svalutazione. Quanto alla nuova/vecchia Forza Italia, Silvio Berlusconi ha già fatto intendere che la polemica contro la moneta unica sarà al centro della sua prossima campagna elettorale per il parlamento di Strasburgo e, se la situazione interna dovesse precipitare, anche per quello di Roma. È poco chiaro quanto questo variopinto gruppo di, chiamiamoli così, “tolemaici della lira” creda davvero in quello che propone e quanto, invece, dei loro propositi sia soltanto frutto di un’estemporanea deriva propagandistica. Fatto sta che il tema dell’euro sì o no - anche se non proponibile come referendum a termini di Costituzione vigente - dominerà i prossimi mesi sull’onda del voto per il Parlamento europeo.

I fautori della fuoriuscita dall’euro sorvolano con grande vaghezza sulle non poche controindicazioni implicite in una simile scelta. Nulla dicono, per esempio, sulle conseguenze per la gestione di un debito pubblico che andrebbe comunque rimborsato in euro. E se qualcosa dicono, com’è il caso di Grillo, si improvvisano rivoluzionari (da cortile paesano) suggerendo la moratoria dei debiti verso l’estero. Così dimenticando la storica lezione di un rivoluzionario vero, Leone Trotskij, che fu rapidamente rimosso dal primo governo bolscevico proprio per aver inaridito le fonti di finanziamento della nascente Unione sovietica con una scelta consimile.

Ancor più allarmante, tuttavia, è che i “tolemaici della lira” considerino un argomento di forza a loro favore proprio quello che rappresenta il punto più debole e pericoloso della loro proposta. Ovvero la possibilità di offrire in pasto a un sistema produttivo fiaccato dalla crisi una robusta svalutazione (20 o 30 per cento) del cambio lira/euro: al fine di restituire alle imprese domestiche in termini di prezzi quella competitività che le medesime non sono riuscite a guadagnarsi per altre vie. Ipotesi che prefigura per il futuro del Paese niente di meglio se non il ritorno al peggiore cancro del passato. Quello delle ricorrenti svalutazioni competitive responsabili di aver drogato con crescenti dosi di morfina monetaria il sistema produttivo. Al costo - ma su questo si tace - di debilitare in ampi settori la capacità di tener testa alla concorrenza internazionale in termini di innovazione, di investimenti, insomma di ricerca di maggior valore aggiunto.

Proprio le difficoltà incontrate dall’apparato industriale italiano nel convivere con una moneta più stabile quale l’euro sono oggi la prova provata di quali e quanti guasti siano stati prodotti con la prolungata somministrazione dell’oppio delle svalutazioni facili. Era ed è evidente che la disintossicazione del nostro sistema imprenditoriale non poteva essere opera rapida e facile, tanto più in anni di crisi economica generalizzata. Ma il fatto che la nostra bilancia commerciale sia oggi in pur modesto attivo, anche con un euro ben tonico sul mercato dei cambi, indica comunque l’esistenza di imprese - che non saranno magari l’Alitalia o la Fiat - in grado di cavarsela egregiamente senza “pere” valutarie. Dunque, chi vaneggia di ritorno alla lira non compie soltanto un crimine di bassa demagogia politica ma suggerisce un errore economico esiziale per il futuro del Paese.

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