Supererà entro fine anno gli Stati Uniti per volume del Pil. Ma il reddito medio è molto più basso. E Pechino è scarsa in finanza
Raggiungere gli Stati Uniti e diventare il Paese e l’economia più potente del mondo è stato il sogno di intere generazioni di leader cinesi. Il sogno potrebbe finalmente avverarsi. La Banca Mondiale ha annunciato recentemente che, usando come parametro il potere di acquisto, l’economia cinese supererà quella americana entro la fine dell’anno diventando la più grande del mondo con un Pil di 16.720 miliardi di dollari, 100 miliardi in più rispetto a quella statunitense.
I media occidentali e i commentatori hanno finora messo l’accento su quanto sia stata sottotono la reazione di Pechino all’incoronazione come prima economia mondiale. Apparentemente, il governo cinese vuole evitare di attirare troppo l’attenzione, perché essere il numero uno implica anche assumersi una maggiore responsabilità riguardo ai problemi del mondo.
Purtroppo, non sono state svolte ancora molte analisi su che cosa il sorpasso economico della Cina in termini di potere di acquisto significhi per i cinesi, per gli americani e per il resto del mondo. Nel breve periodo, l’attribuzione alla Cina del titolo di principale economia del globo resta un esercizio contabile e, in quanto tale, non avrà alcun impatto effettivo sul Paese asiatico, sugli Stati Uniti o sul resto del mondo. Le implicazioni a lungo termine della nuova posizione cinese nella graduatoria economica, devono invece essere ancora digerite. Come il nuovo status della Cina inciderà sugli affari del Paese, sull’economia globale e sulle relazioni internazionali dipenderà in maniera cruciale da tre variabili tutt’altro che certe: la sostenibilità della crescita, gli sviluppi della finanza e il progresso tecnologico.
Nella storia economica mondiale, la Cina ha seguito un percorso davvero unico. Se da una parte ha conquistato il primato mondiale in termini di parità di acquisto (ma non dal punto di vista valutario), dall’altra è ancora una società in via di sviluppo con un reddito medio di livello medio. La sua popolazione vive ancora in villaggi. Quando gli Stati Uniti raggiunsero la Gran Bretagna nel 1872, non solo avevano un’economia più forte, ma anche un reddito pro capite più alto, perché nel frattempo avevano raggiunto lo status di reddito medio alto. Non è questo il caso della Cina oggi. Anche se la dimensione aggregata della sua economia supera quella Usa in termini di potere d’acquisto, il reddito pro capite cinese è ancora solo il 24 per cento di quello americano. In altre parole, il cinese medio è molto più povero dell’americano medio.
Questa disparità di reddito pro capite restringe la dimensione reale del mercato del consumo cinese. Al momento, la dimensione assoluta di questo mercato è consistente, ma il consumo pro capite è molto inferiore a quello americano. Un esempio sono le vendite di auto nel 2013: 20 milioni in Cina, rispetto a 15,6 milioni negli Stati Uniti. A prima vista, i numeri rifletterebbero un mercato gigantesco per le automobili in Cina. Esaminata invece in termini pro capite, la dimensione del mercato cinese è molto differente: implica che un cinese su 68 ha acquistato un’auto nuova, mentre negli Usa il rapporto è stato di uno a venti.
Dunque, per i cinesi, arrivare in cima alla graduatoria mondiale non è sufficiente. Il divario della ricchezza tra Cina e Stati Uniti, per quanto si stia chiudendo, resterà ampio per vari decenni ancora. Per recuperare terreno in termini di reddito pro capite rispetto agli Stati Uniti, la Cina dovrà mantenere un sostenuto ritmo di crescita. Negli ultimi 35 anni, da quando hanno avuto inizio le riforme, la Cina è cresciuta in media di quasi un 10 per cento l’anno, mentre gli Stati Uniti hanno registrato una crescita molto più lenta. In futuro, però, il tasso di crescita cinese dovrebbe scendere significativamente. La previsione più ottimistica indica una media del 7 per cento entro il 2020 e un ulteriore calo al 5 per cento nel periodo 2020-2030. Il reddito cinese pro capite potrebbe raggiungere i 15.000 dollari Usa a parità di cambio (sarebbero circa 6.600 dollari odierni) nel 2030, ma anche se ciò costituirebbe un enorme successo, il reddito, pur se ponderato per la parità di acquisto (che ingrandisce le dimensioni dell’economia cinese reale) sarebbe sempre la metà di quello statunitense odierno.
Per gli Stati Uniti, la vera sfida di una continua espansione dell’economia del Dragone è duplice. Una è ovviamente quella tecnologica. Oggi, la Cina sarà pure economicamente forte, ma non costituisce una minaccia significativa alla leadership tecnologica americana o alla sua potenza militare. Le cose potrebbero cambiare, se la Cina riuscisse ad aggiornare le proprie basi tecnologiche e recuperare il ritardo rispetto agli Stati Uniti. Al momento è una prospettiva remota perché il colosso asiatico non possiede un sistema socio-economico che favorisca l’innovazione. La Cina potrebbe ridurre in certi campi la distanza tecnologica rispetto agli Usa avvalendosi della “forza bruta”, ovvero, una massiccia spesa in ricerca e sviluppo, ma difficilmente supererà l’America nei prossimi decenni quanto a sofisticazione tecnologica e innovazione.
L’altra sfida per la Cina è più conseguenziale e superabile e riguarda la rapida crescita del suo peso finanziario. Oggi il Paese è un colosso economico, ma finanziariamente è un nano, che ha un impatto sull’economia globale più per il commercio che per gli investimenti (anche se procede in questo senso molto rapidamente). Ciò che lo trattiene è un sistema finanziario non sviluppato e la non convertibilità della sua moneta: gli investitori cinesi non possono investire liberamente all’estero, mentre quelli esteri trovano difficoltà a investire in Cina acquistando titoli o partecipazioni. Esternamente, l’influenza della Cina sulla finanza globale passa soprattutto dal gigantesco tesoro costituito dai 4 miliardi di dollari di riserve in valuta estera (investito principalmente in obbligazioni sovrane). Se l’anomalia persistesse, il dollaro Usa manterrebbe lo status egemonico di valuta di riserva principale. Se invece la Cina riuscisse a modernizzare il suo sistema finanziario e adottasse la convertibilità totale della moneta, il renminbi potrebbe diventare un serio concorrente per il dollaro Usa e Shanghai potrebbe emergere come nuovo centro finanziario globale. L’impatto dell’ascesa della Cina al primo posto tra le economie del mondo si sta facendo sentire già nel commercio internazionale. Nei prossimi anni è improbabile una crescita assoluta del volume delle esportazioni cinesi, perché il Paese è già il primo esportatore al mondo, mentre crescerà probabilmente il valore del suo export grazie alla crescente sofisticazione tecnologica.
Se la crescita cinese mantenesse un ritmo moderato, il mondo assisterebbe a due rivoluzioni economiche. La prima sarebbe quella dei consumi in Cina – trainati da un aumento del reddito pro capite – che renderebbe la Cina un mercato per il consumo di beni e servizi più grande di quello attuale americano. La seconda sarebbe una rivoluzione finanziaria. Anche in questo caso, se la Cina riuscisse a sviluppare un sistema finanziario moderno, potrebbe diventare sia un luogo attraente per investimenti di capitale, sia una ricchissima fonte di capitali privati per il resto del mondo.
Complessivamente, questi sviluppi dovrebbero essere positivi per l’economia mondiale, ma per ora la prudenza impone di ricordare che la Cina può avere raggiunto la cima, ma ha ancora molta strada da fare.